La sanità è sicuramente uno dei settori su cui si concentrano le maggiori aspettative di contenimento e razionalizzazione della spesa pubblica previsti dal decreto sulla spending review. La manovra impone necessariamente a tutte le Regioni, anche a quelle considerate virtuose, di intraprendere un percorso graduale di riorganizzazione dei propri servizi sanitari, in modo da rafforzarne l’efficienza e l’efficacia. Sono molti gli ambiti sui quali agire, pur nel rispetto degli obiettivi di tutela della salute che sono alla base del nostro Servizio sanitario nazionale.
La sanità è sicuramente uno dei settori della spesa pubblica su cui si concentrano le maggiori aspettative di contenimento e razionalizzazione previsti dal recente decreto sulla spending review. (1) Secondo il ministro Balduzzi l’obiettivo del decreto in questo settore è una riduzione della spesa di quasi 8 miliardi di euro nel triennio 2012-2014 a cui si arriva ricorrendo a una serie di misure tipicamente top-down come la riduzione del posti letto sotto il limite a livello regionale di 3,7 per mille abitanti (7mila posti letto pubblici in meno a partire dal 2013), la riduzione della quota della farmaceutica territoriale, degli acquisti di prestazioni dal privato accreditato e della spesa per dispositivi medici. (2) Altri cospicui risparmi di spesa sono attesi dall’applicazione del criterio del costo standard o di riferimento per quanto concerne le forniture di beni e servizi. (3)
CHE DECIDE SULLA SANITÀ
Una prima doverosa riflessione sul provvedimento passa necessariamente attraverso una domanda preliminare: secondo il governo il nostro Servizio sanitario nazionale ha o meno un assetto regionale? Perché su questo punto non si può cambiare idea ogni mese. Se siamo in una logica di un servizio sanitario regionalizzato e visti gli obiettivi di contenimento della spesa pubblica complessiva, allora lo Stato può (e deve) solo ridurre gli stanziamenti alle Regioni e porre obiettivi sui livelli essenziali di assistenza (Lea), lasciando alle Regioni medesime le scelte di policy su come contenere le spese e sviluppare i servizi. Se siamo un paese centralizzato, allora è giusto che lo Stato ragioni per singolo fattore produttivo ed entri nel merito delle singole voci che compongono il variegato contenuto della spesa sanitaria (farmaceutica, ospedaliera convenzionata, forniture di beni e servizi, personale medico e tecnico, eccetera). Quello che non si può fare è essere federalisti la mattina e centralisti la sera. E la logica del provvedimento governativo e delle successive dichiarazioni ministeriali si muove purtroppo dentro questa irrisolta ambivalenza e contraddizione di fondo.
DOVE RAZIONALIZZARE
Fatta questa premessa di metodo, l’esistenza di margini di recupero di risorse e di miglioramento dell’appropriatezza delle prestazioni è una convinzione comune a tutti gli operatori sanitari, a partire dai responsabili delle stesse Regioni. Basti solo ricordare le analisi sui differenziali di prezzo ingiustificati nell’ambito delle forniture, l’eccessivo ricorso rispetto agli standard internazionali a prestazioni come i parti cesarei o gli interventi di angioplastica, oppure alla diffusione eccessiva e poco razionale di apparecchiature interventistiche come i robot chirurgici che rappresenta una vera e propria anomalia per il nostro paese in sede di confronti con i paesi più avanzati.
La manovra appena approvata impone necessariamente alle Regioni, a tutte indipendentemente dal considerarsi o essere considerate “virtuose” o di “eccellenza”, di intraprendere un percorso graduale di riorganizzazione dei propri servizi sanitari, esplicitando le proprie scelte di policy e utilizzando gli ambiti di autonomia loro assegnati dal vigente quadro normativo e istituzionale.
Un approccio dal basso e più microeconomico dovrebbe cercare di cogliere gli elementi sostanziali su cui raccogliere la sfida data dalla spending review e utilizzare i prossimi anni per rafforzare alcune scelte positive in termini di incremento dell’efficienza e dell’efficacia dei servizi portate avanti, seppure in maniera discontinua e non omogenea, dalle Regioni. Si tratta a nostro parere di rafforzare alcune linee di intervento e di introdurre, concretamente e non solo sulla carta, azioni che hanno dato ampi effetti positivi, sia sul versante della spesa, sia su quello dell’appropriatezza delle prestazioni. Per limitarci ad alcuni ambiti di intervento:
- la semplificazione delle procedure e la diffusione dei diversi strumenti informatici compresa l’attivazione di punti unici di accesso alle prestazioni sanitarie e sociosanitarie. Si tratta di una ambito di intervento che presenta moltissimi margini di miglioramento e di riduzione dei costi amministrativi a partire dall’esigenza di dematerializzazione (basta carta inutile) di molte procedure e di un utilizzo innovativo di tutti gli strumenti informatici e di e-health;
- la riorganizzazione della rete delle cure primarie con il sostegno all’associazionismo in medicina generale e l’avvio concreto delle unità complesse di cure primarie come momento fondamentale per la continuità assistenziale e la riduzione dell’inappropriatezza delle prestazioni di pronto soccorso e specialistiche;
- considerando che la maggior parte delle risorse sanitarie è destinata alla cura delle patologie croniche e invalidanti, caratterizzanti in particolare le fasce più anziane della popolazione, la diffusione degli strumenti di care management a livello distrettuale e di medicina di base in grado di migliorare lacompliance dei pazienti e l’efficacia delle prestazioni. A questo livello occorre aggiungere i positivi ma purtroppo ancora insufficienti risultati riscontrabili dall’applicazione di strumenti innovativi come il day service ambulatoriale o all’insieme delle cure domiciliari in cui molte Regioni sono ancora molto al di sotto degli standard previsti;
- la creazione di una rete di strutture intermedie per la fase post-acuta più appropriate da un punto di vista clinico/assistenziale e meno costose da un punto economico rispetto ai ricoveri ospedalieri, puntando sulla riconversione dei piccoli ospedali esistenti, dando tra l’altro una risposta economicamente e socialmente sostenibile alla carenza di assistenza a pazienti fragili come nel caso della Sla o degli stati vegetativi;
- un rafforzamento dei risultati positivi dei diversi processi regionali di razionalizzazione della funzione acquisti (centrali di committenza, aree vaste, procedure consortili, ecc.) attraverso azioni di accorpamento in sede di logistica e di magazzini centralizzati tra diverse aziende ospedaliere e sanitarie;
- una riflessione sugli effetti attuali e quelli auspicabili di una maggior diffusione dei farmaci equivalentiin ambito ospedaliero e territoriale, nonché delle diverse forme di distribuzione diretta o per conto dei farmaci da parte delle aziende sanitarie.
Si tratta di azioni non contingenti e che richiedono un adeguato periodo di attuazione o rafforzamento, ma sulle quali si gioca la capacità delle Regioni di rispondere concretamente alle esigenze di contenimento della spesa pubblica nel rispetto degli obiettivi di tutela della salute che sono alla base del nostro Servizio sanitario nazionale.
(1) Decreto legge 6 luglio 2012, n. 95 “Disposizioni urgenti per la revisione della spesa pubblica con invarianza dei servizi ai cittadini” in Guri 156 del 6 luglio 2012, So 141.
(2) Per il 2012 è previsto un aumento dello sconto obbligatorio praticato nei confronti del Ssn che passa, per le farmacie, da 1,82 a 3,85 per cento ed è variabile, a partire dall’entrata in vigore del decreto, per il 2012, 2013 e 2014, mentre per le aziende farmaceutiche lo sconto passa da 1,83 a 6,5 per cento, per il solo anno 2012. Dopo il 2012 il controllo della spesa avverrà attraverso una ridefinizione dei tetti di spesa: per la farmaceutica territoriale il nuovo tetto è dell’11,5 per cento rispetto al precedente 13,3per cento, mentre per la farmaceutica ospedaliera sale al 3,2 per cento rispetto al precedente 2,4 per cento. Nel caso di sfondamento del tetto della farmaceutica territoriale il ripiano risulta totalmente a carico della filiera farmaceutica (aziende, grossisti, farmacisti), mentre nel caso della spesa farmaceutica ospedaliera sarà per il 50 per cento a carico delle aziende farmaceutiche. Per gli acquisti di prestazioni dal privato accreditato è prevista una riduzione del budget assegnato alle singole strutture pari all’1 per cento per il 2012 e al 2 per cento per il 2013, rispetto al budget 2011. Quanto alla spesa per dispositivi medici, per il solo secondo semestre 2012 è previsto un abbattimento del 5 per cento degli importi e dei volumi di fornitura. Mentre nel 2013 per tali dispositivi viene fissato un tetto di spesa pari al 4,8 per cento. Le Regioni sono tenute al rispetto attraverso l’utilizzo dei prezzi di riferimento e di altri interventi di razionalizzazione degli acquisti.
(3) È prevista una rideterminazione degli importi e delle prestazioni dei singoli contratti di fornitura nella misura del 5 per cento, a decorrere dall’entrata in vigore del decreto legge e per tutta la durata del contratto. Si tratta di una anticipazione al 2012 delle misure previste dal decreto legge n. 98 del 2011 basate sull’obbligo per le centrali di acquisto di tenere conto dei nuovi contratti dei prezzi di riferimento che l’Autorità di controllo sui contratti pubblici renderà noti. Per i contratti già stipulati è prevista invece una rinegoziazione tra azienda sanitaria e fornitori, oppure la possibilità di recesso da parte della struttura pubblica, nel caso di significativi scostamenti (20 per cento) tra i prezzi in vigore e quello di riferimento (in deroga all’articolo 1171 del codice civile).
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