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Equilibrismi tra conti nazionali e regole europee*

Con la presentazione all’Europa delle loro leggi di bilancio, Francia e Italia mettono sul piatto in maniera esplicita il tema dell’efficacia delle politiche di austerità per affrontare la crisi economica. Ma come reagirà la Commissione europea? Procedure, sanzioni e la questione della sovranità.

LO SCENARIO POLITICO
Francia e Italia si preparano a presentarsi in Europa con leggi di bilancio diverse da quelle pattuite a livello europeo nel programma di stabilità approvato pochi mesi fa.  Il programma di stabilità è il documento che contiene gli obiettivi di finanza pubblica che ogni paese si impegna a conseguire per l’anno in corso e quelli a venire. E la Francia, per la terza volta di fila, chiede più tempo (due anni) per rientrare nel disavanzo del 3 per cento, mentre l’Italia chiederà di posticipare il raggiungimento dell’equilibrio strutturale di bilancio, pur impegnandosi a tenere il deficit al di sotto del 3 per cento sia questo che l’anno prossimo. Entrambi i paesi avanzeranno giustificazioni basate sull’aggravamento del ciclo economico, metteranno sul tappeto riforme effettuate o promesse che comunque, secondo loro, dovrebbero consentire una ripresa dell’economia a partire dai prossimi anni e dunque maggiore sostenibilità futura delle finanze pubbliche. E solleveranno anche argomentazioni più tecniche, quali la difficoltà della strumentazione europea a tener conto della situazione strutturale delle finanze pubbliche in una situazione di crisi continua e deflazione. Ma ovviamente la scelta ha anche una valenza politica: la seconda e terza economia dell’area euro pongono in maniera esplicita la questione dell’efficacia delle politiche di austerità, fortemente volute dalla Germania e dai suoi alleati nordici, per affrontare la crisi economica che ormai attanaglia i paesi dell’euro da quasi sei anni. Si tratta anche di una battaglia in parte solitaria, perché gli altri paesi mediterranei, che nel frattempo sono stati costretti a bere la medicina dell’austerità, con vario successo, temono una riedizione del 2004, quando le procedure di disavanzo eccessivo, puntualmente applicate al Portogallo, vennero disattese da Germania e Francia, con la complicità dell’Italia. Difficile spiegare alle proprie opinioni pubbliche che quello che vale per loro, non vale invece, patti o non patti, quando si tratta di toccare Francia o Italia.
Ma come reagirà l’Europa? Quali sono le procedure previste? Quali le sanzioni?
LE PROCEDURE EUROPEE
Nell’ambito della riforma della governance europea, successivamente all’emanazione del Six-Pack (2011) e alla stipulazione del trattato internazionale Tscg (2012), meglio noto come Fiscal Compact, nel 2013 è stato emanato il cosiddetto Two-Pack, cioè una coppia di nuovi regolamenti (472 e 473). Il primo regolamento, oltre all’introduzione dell’obbligo di previsioni macroeconomiche indipendenti a base della programmazione di bilancio, prevede anche che ogni anno, entro il 15 ottobre, gli Stati membri trasmettano alla Commissione e all’Eurogruppo un progetto di documento programmatico di bilancio (Dpb), per l’anno successivo. Il progetto di documento programmatico di bilancio deve essere coerente con le raccomandazioni formulate nel contesto del ciclo annuale di sorveglianza, anche per quanto concerne la procedura relativa agli squilibri macroeconomici (istituita da uno dei regolamenti dei Six-Pack). Il regolamento prevede alcuni elementi obbligatori nella struttura del Dpb da trasmettere a Bruxelles, tra cui l’obiettivo di saldo di bilancio per le amministrazioni pubbliche, ripartito per sotto-settori; le proiezioni delle entrate e della spesa a politiche invariate; gli obiettivi di entrate e di spesa per le amministrazioni pubbliche e le relative componenti principali; indicazioni sulle modalità con cui le riforme e le misure contenute nel progetto di Dpb, tra cui in particolare gli investimenti pubblici, danno seguito alle raccomandazioni in vigore rivolte allo Stato membro interessato. Se gli obiettivi di bilancio indicati nel progetto di Dpb o le proiezioni a politiche invariate si scostano da quelli previsti dal più recente programma di stabilità, le differenze devono essere debitamente motivate. La Commissione adotta, il prima possibile e in ogni caso entro il 30 novembre, un parere sul documento programmatico di bilancio. Tuttavia, nei casi in cui la Commissione riscontri un’inosservanza particolarmente grave degli obblighi di politica finanziaria definiti nel Patto di stabilità e crescita, allora: 1) entro una settimana (23 ottobre) dalla presentazione del Dpb, consulta lo Stato membro interessato; 2) entro due settimane adotta il proprio parere (30 ottobre). Nel parere la Commissione chiede, con richiesta motivata e pubblica, che sia presentato un progetto riveduto di documento programmatico quanto prima e comunque entro tre settimane dalla data del suo parere. Lo Stato membro deve dunque presentare un nuovo Dpb (indicativamente 21 novembre), che deve essere valutato entro le successive tre settimane dalla Commissione (indicativamente 12 dicembre). Entro la fine di novembre, la Commissione procede anche a una valutazione globale della situazione di bilancio e delle prospettive nell’intera zona euro, sulla base delle prospettive di bilancio nazionali e delle relative interazioni in tutta la zona, fondate sulle previsioni economiche più recenti dei servizi della Commissione. La valutazione globale comprende analisi di sensibilità atte a indicare i rischi per la sostenibilità delle finanze pubbliche in caso di andamento finanziario, economico o di bilancio negativo. Delinea inoltre, ove appropriato, misure per rafforzare il coordinamento delle politiche macroeconomiche e di bilancio a livello della zona euro. La valutazione globale è resa pubblica e tenuta in considerazione nelle indicazioni generali fornite agli Stati membri dalla Commissione. L’Eurogruppo esamina i pareri della Commissione riguardanti sia i progetti di documenti programmatici di bilancio, sia la situazione e le prospettive di bilancio per l’intera zona euro basandosi sulla valutazione globale effettuata dalla Commissione. I risultati di tali esami da parte dell’Eurogruppo sono resi pubblici.
LA SOVRANITÀ
Una questione importante riguarda il rispetto del principio di sovranità, ossia in che misura il parlamento nazionale rimanga sovrano nella determinazione della decisione di bilancio, di fronte alla richiesta di modifica della legge di bilancio da parte della Commissione. Non essendoci stata nessuna esplicita cessione di sovranità a Bruxelles, la legislazione europea appare ambigua. Nella premessa del regolamento (paragrafo 21), si afferma per esempio che “gli Stati membri sono invitati a tener conto nei loro processi di adozione della legge di bilancio, del parere della Commissione sui loro progetti di documenti programmatici di bilancio”. Ma al paragrafo 22 si dice che “la misura in cui tale parere è tenuto in considerazione nella legge di bilancio di uno Stato membro dovrebbe far parte della valutazione, se sono rispettate le condizioni, e quindi portare a una decisione circa l’esistenza di un disavanzo eccessivo nello Stato membro interessato. In tal caso, il mancato seguito alle indicazioni impartite in via preliminare dalla Commissione dovrebbe essere considerato una circostanza aggravante”. In sostanza, gli Stati sono solo “invitati” a seguire le indicazioni della Commissione, non essendoci un obbligo legale a farlo. Tuttavia, qualora non si conformino, ne pagheranno le conseguenze, sotto forma di una circostanza aggravante, laddove ci siano gli estremi per il lancio di una procedura per deficit eccessivo (che nonostante il nome può riguardare sia gli obiettivi di deficit che di debito) che può poi portare fino all’introduzione di sanzioni.Sta alla valutazione della Commissione e poi del Consiglio decidere se questi estremi ci siano o meno.
* Le opinioni qui espresse sono personali e non coinvolgono l’istituzione presso la quale Lucio Landi esercita la propria attività professionale.

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  1. pier luigi tossani

    a prescindere dalle sanzioni, lo sforamento del rapporto deficit/PIL per “fare crescita” è solo l’ennesimo ribadimento della menzogna keynesiana… ovvero, l’illusione propinata dai governi, specie quelli più deboli e incapaci – come il nostro – secondo la quale la ripresa dell’economia si avrebbe dissipando sempre maggiori risorse finanziarie pubbliche:
    Ci cascherà, il popolo?….

  2. Sergio Brenna

    E perché non dovremmo supporre che la menzogna sia l’austerità e il vincolo al deficit, visti i risultati che hanno prodotto sinora?; o dovremmo credere fideisticamente che i risultati si vedranno “nel lungo periodo”?

  3. stefano monni

    i fatti e i dati macroeconomici, ovvero quelli tanto cari agli economisti, anche quelli che siedono a Bruxelles, dimostrano forse che i vincoli imposti ai Paesi europei per aderire all’euro non sono poi così benefici per le relative economie. D’altra parte, al di là di chi utilizza Keynes strumentalmente, vorrei ricordare che l’economista inglese, che peraltro non ha mai rinnegato il proprio liberismo, non ha mai affermato che, per crescere, è necessario dissipare le risorse finanziarie ma, viceversa, solo in caso di crisi economica, come quella attuale d’altra parte, bisognerebbe incentivare gli investimenti pubblici per compensare la riduzione di quelli privati dovuta ad una caduta dei consumi. Finita la crisi, per Keynes, la gestione del bilancio pubblico dovrebbe cambiare. Faccio presente che tale teoria non si discosta da quella sostenuta da Smith quando parlava del ruolo dello Stato in economia. Non è certo colpa di Keynes se in questi anni politici di diversa estrazione hanno interpratato le teorie dell’economista inglese in modo da giustificare le spese pubbliche dissennate che, sicuramente, lo stesso Keynes avrebbe condannato e che, sicuramente, non ha mai auspicato. Anni di riduzione delle tasse, accompagnata da una riduzione lineare delle spese pubbliche, con quelle di investimento ai minimi storici, ha creato in Italia, produzione nulla, alta, altissima disoccupazione, aumento del livello di povertà e, questi sono dati economici certificati.

  4. Pif

    Ci siamo ficcati in un pasticcio infernale, scelte dissennate prima e dopo. Come si fa a fare un’unione monetaria così abborracciata, al di là della crisi comunque la situazione della zona stava ad indicare quello previsto dalle teorie economiche ovvero una serie di squilibri preoccupanti. Le unioni monetarie in genere seguono le unioni politiche e non viceversa come era nelle idee dei padri fondatori. Credo che da questo pasticcio economico e istituzionale difficilmente se ne esca, francamente non credo nei miracoli, con tutto l’impegno di Draghi. Ormai la situazione è insostenibile con ognuno arroccato sulle proprie posizioni e con le sue colpe, e la storia giudicherà l’ennesimo suicidio europeo, questa volta non militare ma economico-politico.

  5. Gino

    Salve.
    Considerando l’attuale stagnazione dell’economia italiana non si potrebbe temporaneamente pensare ad un aumento del deficit in modo da far ripartire i consumi e nel lungo periodo cercare di risanare il debito? Come fece il presidente americano Roosevelt nel primo dopoguerra con la crisi del 29 investendo in opere e appalti pubblici, il cosiddetto New Deal? Magari per uscire definitivamente dalla crisi è necessario un “new deal europeo” investendo per esempio sulle energie rinnovabili. Sarebbe possibile tutto ciò?

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