Diversi studi indicano che le assenze degli insegnanti influiscono negativamente sui risultati ottenuti dagli studenti. E i dati mostrano che anche in Italia il fenomeno è rilevante, soprattutto in alcune aree. Nelle regioni dove i docenti chiedono più permessi, l’abbandono scolastico è più alto.
Quando è assente il docente
Il governo ha pubblicato di recente i risultati di un monitoraggio sui permessi retribuiti previsti dalla legge 104/92 nel mondo della scuola. La norma tutela i lavoratori con disabilità o con familiari in difficoltà e, insieme ad altri benefit, consente un numero maggiore di permessi rispetto al normale contratto di lavoro. Il monitoraggio evidenzia una significativa eterogeneità regionale nelle percentuali di chi ha diritto ai permessi garantiti dalla legge 104 sia nel caso del personale docente che di quello Ata e ciò fa nascere il sospetto che una parte più o meno ampia non sia legittima.
Peraltro, con il progetto de La scuola in chiaro, il ministero dell’Istruzione, università e ricerca già da qualche anno ha reso disponibili i dati delle assenze (per malattia, maternità e altri motivi) del personale a livello di singola scuola.
La figura 1 riporta i dati sulle assenze per malattia dei docenti per l’anno scolastico 2010-11 e il quadro è pressoché identico a quello evidenziato dal monitoraggio sulla legge 104. Le regioni del Nord sono più “presenti”, mentre il numero medio di giorni di assenza per malattia è più alto al Sud (in particolare in Calabria, in Sicilia e in Sardegna) e nel Lazio.
L’effetto sui risultati scolastici
Si poteva intervenire prima? Le assenze dei docenti rischiano di costare molto caro allo Stato, soprattutto in termini di acquisizione di competenze da parte degli studenti. Diversi studi internazionali sottolineano che le assenze degli insegnanti possono avere costi elevati in termini di risultati scolastici: oltre a creare ovvie difficoltà nell’organizzazione scolastica e discontinuità nelle lezioni, producono effetti di imitazione,che possono interessare non solo i colleghi di lavoro, ma anche gli studenti. Esther Duflo, Rema Hanna e Stephen Ryan ad esempio mettono in rilievo come la maggiore disciplina dei docenti a seguito dell’applicazione di una politica anti-assenteismo riduca anche le assenze degli studenti, migliorando così clima e risultati scolastici.
I dati Miur forniscono qualche indizio sull’esistenza di un legame tra le assenze dei docenti e i risultati degli studenti. La figura 2 riporta la relazione tra il numero di giorni medi di assenza per malattia dei docenti e il tasso di abbandono scolastico. I dati, aggregati a livello provinciale (in rosso le province del Sud), mostrano che le province con i tassi di assenza per malattia dei docenti più elevati sono quelle in cui il fenomeno dell’abbandono è più preoccupante.
Naturalmente, molti fattori possono spiegare la relazione. Basti pensare alla qualità degli ambienti scolastici e dei servizi di trasporto pubblico locale o ad altri fattori immateriali come le competenze organizzative dei dirigenti scolastici: in tutti questi ambiti, le scuole del Sud del paese presentano un divario importante rispetto al Centro-Nord. Inoltre, insegnare in scuole con alte percentuali di studenti a rischio di abbandono è indubbiamente più complicato e stressante. La figura potrebbe quindi indicare alti tassi di abbandono dove i docenti si ammalano “davvero” di più.
È comunque difficile pensare che in alcune aree non vi sia una quota significativa di assenze dovute a comportamenti opportunistici. Il clima di legalità e il capitale sociale della zona giocano un ruolo nelle scelte dei docenti su se e quanto “bigiare” la scuola. Questi fenomeni si accompagnano infatti a comportamenti collusivi, ad esempio, da parte di chi è chiamato a certificare la malattia.
Un indizio sul possibile legame tra assenze e capitale sociale di un’area lo troviamo nella figura 3 che identifica la relazione, questa volta negativa, tra un indicatore dello stock di capitale sociale a livello provinciale e le assenze per malattia dei docenti. La variabile di capitale sociale qui utilizzata è costruita utilizzando dati sulla diffusione della stampa quotidiana, il livello di partecipazione elettorale, la diffusione delle associazioni sportive e la diffusione di donatori e donazioni di sangue.
Le correlazioni qui riportate forniscono solo indizi, ma nessuna prova. E, per quanto ci è dato sapere, per il momento le informazioni a disposizione non consentono indagini più dettagliate o più aggiornate. Eppure, sarebbe importante approfondire, con dati adeguati, l’analisi di un fenomeno che potrebbe comportare significativi costi di lungo periodo.
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paolo
Mi sembra alquanto “acrobatico” mettere insieme i dati di assenza degli insegnati con i tassi di abbandono, intanto perchè alle superiori ogni classe ha almeno 8/10 docenti, e vi posso assicurare che spesso le assenza degli alunni non sono nemmeno paragonabili a quelle dei docenti. Altra cosa importante che nell’articolo non viene citato è la carenza dei servizi sociali ( leggi sanità ) nelle regioni del sud, per cui spesso sono i familiari che devono assistere le persone malate o molto anziane. Uno degli errori più diffusi nel “tradurre” i dati statistici è quello di concentrarsi sugli effetti e non sulle cause; sorprende che questo accada a due ricercatori che vivono a Cagliari, non mi sembra la Sardegna un’isola felice in termini di servizi.
Marco
Indagine che mi lascia perplesso. La legge 104 è applicata e non può – come traspare – essere demonizzata o foriera di illegalità. Teniamo conto che assistenza di anziani non autosufficienti è un problema per tutti. Non si parla di sostituzioni continue di docenti (anche nel corso dell’anno !) e infine del bournout dei docenti sempre più anziani ( quella dei docenti è una categoria con alto rischio professionale). Mi pare un esercizio statistico con poche riflessioni di carattere formativo.
stefano delbene
I dati presentati, sia pure molto parziali (è possibile disporre di una prima survey della ricerca?) mi sembra raffigurino un quadro abbastanza chiaro: una situazione di forte differenziazione fra le aree del paese, peraltro rappresentata da molti altri indicatori (reddito, legalità, accesso alla cultura, etc.). Vorrei solo chiedere agli autori se si sono posti una domanda: non è che i due fenomeni (assentismo degli insegnanti e dispersion scolastica), lungi dall’avere un rapporto di causalità (che potrebbe anche essere inverso a quello proposto dall’articolo!), non siano invece sintomi paralleli di una reazione ad una situazione di degrado diffuso della scuola, in particolare in certe aree? Di fatto, prendendo a prestito la terminologia di Hirschman, si tratterebbe di una forma di “exit”, laddove in altre aree siano presenti forme di “voice”. Potrebbe essere interessante esplorare questi due aspetti confrontando dati riguardanti la conflittualità sociale in ambito scolastico. Inoltre andrebbe fatta una differenziazione fra i diversi cicli scolastici (primara, secondaria di 1° e 2° grado), le differenze fra aree (urbane, periferiche, piccoli centri) ed infine, per quanto riguarda le superiori, fra le diverse tipologie (licei, istituti tecnici, etc).
Piero
Lo studio è penosamente limitato. Cerca una correlazione tra assenze degli insegnanti(ritenute implicitamente eccessive). …D’altra parte costringere insegnanti malati a rimanere in servizio non migliorerebbe la situazione. Nessuno si sta preoccupando di indagare sulle malattie professionali degli insegnanti, a parte il prof. Vittorio Lodolo D’Oria. Servono in classe insegnanti giovani e motivati, invece si continua a impedire a chi non se la sente più di rimanere in classe. Non sa il governo Renzi che sta agendo in modo da demolire la motivazione negli insegnanti e, dunque, anche negli studenti?
Norbert
Che strano paese dove la metà dei dipendenti pubblici ha sempre un disabile o invalido da assistere e solitamente permanentemente.
luca
Che l’assenza dell’insegnante incida negativamente sull’apprendimento, in modo proporzionale alla sua durata, mi sembra abbastanza ovvio. D’altra parte non si può pretendere che un insegnante non si ammali o non usufruisca di quanto la legge concede ai lavoratori dipendenti. Sarebbe utile sapere se gli insegnanti si assentano più degli altri lavoratori. La mia esperienza mi dice che non è così, se sto a quel che vedo nelle scuole in cui ho insegnato negli ultimi venti anni. Aggiungo che spesso genitori, alunni e l’opinione pubblica associano all’assenteismo assenza di colleghi in servizio, ma impegnati in altro: accompagnamento di uscite didattiche o manifestazioni culturali, per esempio.
Grilloz
Dal grafico di fig. 1, ad occhio, mi pare che la media dei giorni di assenza all’anno vari da 7 a 12 (sottolineo all’anno). Non mi pare che siano numeri particolarmente significativi per poter parlare di assenteismo. L’abbandono scolastico mi pare molto più logicamente correlabile alla ricchezza procapite.
bob
L’ autogol del ’68 ! La classe degli insegnanti si è autoannientata da sola sminuendo inoltre il suo ruolo sociale fino all’ora elevato e in primo ordine. Il resto dello studio è un elementare esercizio di statistica “tanto per fare il compito”. In Paesi di basso livello culturale come il nostro l’uso populistico della scienza statistica ha un potere enorme
Giovanni
Non mi sembra che la categoria degli insegnanti presenti tassi di assenteismo superiori alla media, anzi la mia esperienza mi porta a dire il contrario. Nei 30 anni in cui ho insegnato sono andato al lavoro anche quando non ero nelle migliori condizioni di salute, consapevole del disagio che avrei creato lasciando le classi scoperte, e lo stesso ha fatto la maggioranza dei miei colleghi. Come ha poi fatto rilevare Marco, è ormai appurato, anche se pochi vogliono riconoscerlo, che la professione dell’insegnante è una delle più esposte alla sindrome del burn- out, con tassi anomali di casi di sofferenza psichica.
ItaliaSalva
Purtroppo siamo sotto la media OCSE anche quando gli insegnanti si presentano puntualmente a scuola … http://www.italiasalva.it/2015/05/la-buona-scuola-sforna-i-peggiori-studenti.html
Markus Cirone
Solo una domanda: il coefficiente di correlazione lineare di quelle due rette di interpolazione quant’è? Dubito che sia vicino a 1.