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Soldi dei fondi strutturali a impatto zero*

Molto si è discusso dei ritardi nella spesa dei fondi europei. Poco invece della capacità di questi finanziamenti di incidere sulle prospettive economiche dei territori interessati. Uno studio suggerisce che negli ultimi anni il loro effetto è stato scarso.
Il problema di spendere i fondi strutturali
A fine anno verrà meno la possibilità di spendere le dotazioni dei fondi strutturali europei relative al ciclo di programmazione 2007-13. Si è discusso molto della capacità delle nostre amministrazioni di spendere i soldi messi a disposizione, molto meno dell’impatto dei fondi sull’economia locale. I trasferimenti concentrati su aree specifiche possono non solo incidere sull’occupazione, ma anche sull’attrattività dei territori per la popolazione. Inoltre, un aumento dell’attività economica locale potrebbe dare luogo a una crescita delle rendite immobiliari, riducendo l’afflusso di lavoratori. In un lavoro in corso di pubblicazione su IZA Journal of Labor Policy abbiamo provato a verificare se i sistemi locali del lavoro del Mezzogiorno che hanno ricevuto nel periodo 2007-13 più finanziamenti sono stati quelli in cui il mercato del lavoro e quello immobiliare sono andati relativamente meglio e dove le dinamiche della popolazione sono risultate meno sfavorevoli. Per svolgere il nostro esercizio abbiamo utilizzato i dati del portale Open Coesione per quanto riguarda i pagamenti relativi ai fondi strutturali (con l’associata quota di co-finanziamento nazionale). I dati relativi a occupazione e popolazione sono di fonte Istat, mentre i valori immobiliari sono di fonte Omi (Osservatorio mobiliare italiano).
Più fondi, più crescita?
La figura 1 mette in relazione i pagamenti annui pro-capite a livello di sistema locale del lavoro con le variazioni percentuali annue di occupazione, popolazione e prezzi delle case. La retta di regressione mostra una relazione molto debole tra i fondi strutturali e le tre variabili. Ovviamente è difficile concludere in base alla sola figura che i fondi non abbiano sortito effetto. Finanziamenti più generosi potrebbero essere stati destinati proprio a quelle aree che risultavano maggiormente colpite dalla crisi. Per evitare questa difficoltà il nostro esercizio ha provato a misurare l’impatto dei fondi avendo avuto cura di rendere dapprima i sistemi locali del lavoro meridionali quanto più simili tra loro, tenendo conto anche delle caratteristiche delle aree che hanno determinato la loro più o meno accentuata esposizione alla crisi economica. Tecnicamente, abbiamo valutato la capacità esplicativa di un insieme di variabili con valori dati all’inizio del periodo in esame e che ci hanno aiutato a meglio isolare l’effetto dei fondi dagli andamenti ciclici. Tra le tante variabili che potevamo usare, ne abbiamo scelto alcune seguendo una procedura statistica (la double selection di Belloni).
I risultati
La tavola 1 mostra i risultati. L’impatto medio dei fondi su tutte e tre le variabili è molto vicino allo zero. Risultati simili si ottengono mettendo in relazione il tasso di crescita medio e i pagamenti pro-capite cumulati per l’intero periodo. Insomma, anche tenendo conto delle diverse intensità con cui i singoli territori hanno subito le conseguenze della crisi, non sembra che una maggior spesa relativa ai fondi strutturali abbia determinato conseguenze apprezzabili.
Ovviamente, il risultato medio potrebbe nascondere possibili eterogeneità fra territori o tipi di spesa:

  • I risultati sono simili tra le regioni dell’Obiettivo convergenza (Campania, Calabria, Sicilia e Puglia) e il resto del Mezzogiorno. Non si osserva efficacia neanche nei territori maggiormente depressi dal punto di vista del mercato del lavoro e immobiliare.
  • Negli anni finali del programma, probabilmente anche a seguito dell’accelerazione e del ri-orientamento dei pagamenti avvenuti con il “Piano di azione e coesione” del 2011, emerge un effetto positivo sul tasso di crescita dell’occupazione, seppur economicamente piuttosto contenuto (circa 0,07 punti percentuali in più per un aumento del 10 per cento nei pagamenti pro-capite).
  • Le spese per l’acquisto di beni o servizi e gli incentivi agli agenti economici privati avrebbero un impatto sull’occupazione lievemente più positivo rispetto a quelle di tipo infrastrutturale. Di nuovo, però, si tratta di effetti piccoli.
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In sintesi, la nostra analisi suggerisce che un aumento dell’esecuzione finanziaria degli stanziamenti potrebbe non essere, di per sé, sufficiente: visto che questi finanziamenti non sembrano essere in grado di apportare benefici, forse varrebbe la pena di impegnarsi per spenderli meglio.
Figura 1 – Tassi di crescita annuali dell’occupazione, popolazione e prezzi delle abitazioni nei sistemi locali del lavoro del Mezzogiorno, in relazione ai pagamenti pro-capite annuali relativi a progetti finanziati dai fondi strutturali europei, 2008-13
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  1. Cristofaro

    L’articolo è senz’altro interessante: mi piacerebbe conoscere il risultato replicando la stessa metodologia per le regioni del Centro Nord. Sarebbe inoltre altrettanto interessante, stante la dimensione economica dei “finanziamenti” ex UE, capire su quali variabili è stato effettivamente prodotto un effetto nei sistemi locali del Sud. LC

  2. Luca

    Articolo molto interessante, però bisognerebbe chiedersi se nel meridione i problemi sono i finanziamenti europei oppure questi sono da ricercare tra i numerosi fattori che hanno impedito lo sviluppo del sud nel primo quarantennio della Repubblica, quando il Governo agiva in un’ottica di intervento straordinaria. Sarebbe interessante analizzare i risultati del centro-nord

  3. MS

    A me sembra che l’articolo segua un approccio sbagliato. In primo luogo la spesa dei fondi strutturali, nel Sud, è contestuale ad una severa contrazione della spesa pubblica nazionale e per investimenti (che emerge soprattutto se si opera il confronto tra Centro-Nord e Sud). Quando ciò accade, come negli ultimi 15-20 anni, le spese della coesione intervengono in un quadro macroeconomico che acuisce i divari territoriali nazionali, vieppiù durante la crisi economica.
    In secondo luogo, l’idea che i pagamenti (presi genericamente nell’insieme) possano essere confrontati con effetti su variabili territoriali non tiene conto che tra i pagamenti possono esserci “oggetti” di diversa natura, il cui impatto sui processi di sviluppo differisce nel tempo e nei modi.
    In terzo luogo è mia opinione che l’uso di una varibile come i valori immobiliari non tenga conto della natura “depressa”, di lungo termine, di molti contesti in via di spopolamento e calo demografico, dove la dinamica immobiliare non segue l’andamento delle aree sviluppate. In generale l’articolo non tiene conto della diversità dei contesti. Considera il Sud d’Italia come “la stessa cosa” rispetto al Centro Nord. Questo è a mio avviso un errore teorico prima che statistico, a fronte del quale gli esercizi econometrici “non tornano”. In un’area più arretrata, solo discontinuità consentono modifiche strutturali dei comportamenti.

  4. Piero David

    Sull’efficacia della spesa i due autori hanno ragione. Sulle ragioni non basta l’analisi quantitativa. Ad es. il PO FSE Sicilia 2007-2013 ha finanziato nei sette anni del programma quasi 1 miliardo di euro di cors di formazione (circa la metà della dotazione iniziale del fondo). Ma questa spesa non si è tradotta in nuova occupazione perché quei corsi fino al 2010 gravavano sul bilancio ordinario (circa 300 milioni di euro l’anno). I tagli dei trasferimenti statali e la riduzione delle entrate fiscali ha costretto la Regione Siciliana a spostare la spesa sul FSE. Quindi quella che doveva essere spesa aggiuntiva, per creare nuova occupazione, è diventata spesa sostitutiva per compensare la riduzione delle risorse ordinarie. E lo stesso meccanismo è avvenuto con percentuali molto simili per il FESR.

    • MS

      Esattamente. Il suo esempio indica uno dei casi nei quali la spesa non è aggiuntiva, ma sostitutiva di spesa nazionale. Quando questo succede, e a prescindere dalla qualità/efficacia della spesa, perchè mai ci si dovrebbe attendere una modifica di indicatori di occupazione o sviluppo? Questo sarebbe possibile solo se si assumesse che la spesa dei fondi strutturali fosse qualitativamente di molto superiore alla spesa nazionale. Ma non è del tutto così, o non è sempre così. La spesa non è solo sostitutiva in termini monetari, ma anche le strategie originarie dei fondi strutturali, spesso ambiziose, vengono piegate ad esigenze diverse e molto più ordinarie.
      Una valutazione macro, su serie storiche lunghe, mostra come non ci siano misteri nell’aumento del gap macroeconomico tra Nord-Sud, che è correlato ad una riduzione dell’intervento pubblico per lo sviluppo, cresciuto in termini relativi nel Centro-Nord, con conseguente ampliamento dei divari nel Paese.
      Valutazioni più specifiche, su opere, regolazioni e politiche, contribuiscono a migliorare notevolmente la conoscenza del contesto e dell’efficacia della spesa, purchè non si confonda tutto insieme e non si usino indicatori come i valori immobiliari come variabili dipendenti. I valori immobiliari variano non solo per ragioni di sviluppo, ma per dinamiche speculative connesse ad una grande massa di risparmi in libera uscita in cerca di extraremunerazioni (Piketty).

  5. Claudio B

    Non è chiaro cosa lo studio voglia stimare: l’effetto di breve periodo degli investimenti oppure quello di lungo termine?
    E poi: sono le osservazioni (aree geografiche) di simile grandezza? Altrimenti paragonare il +2% a Napoli con il -2% a Maratea sarebbe come paragonare mele con pere: a livello aggregato l’effetto è ben diverso.

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