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Quando uscire dalla povertà fa rima con integrazione

In Italia la povertà rimane un’emergenza che riguarda soprattutto gli stranieri. Nuovi strumenti per contrastarla possono favorire anche una maggiore integrazione? E quali sarebbero i costi e i benefici per il paese? I dati e una contrapposizione tra lavoratori italiani e immigrati da evitare.

Povertà italiana e povertà straniera

Una notizia Ansa di pochi giorni fa riporta che l’Italia è il paese Ue con il più alto numero di persone con “gravi privazioni materiali“, una definizione di povertà legata non solo al reddito, ma anche alle condizioni di vita. La statistica proviene da dati Eurostat 2015, che presentano valori generalmente positivi per il resto d’Europa, con una diminuzione significativa nella percentuale di persone in condizioni di povertà (dal 9 per cento del 2014 all’8,2 per cento del 2015). Un miglioramento che non si ritrova in modo altrettanto netto in Italia, dove la quota scende solamente dall’11,6 all’11,5 per cento della popolazione.
Gli stessi dati Eurostat relativi al periodo 2006-2014, rielaborati nel grafico, mettono in evidenza una tendenza curiosa: la povertà è aumentata vertiginosamente fra gli stranieri residenti in Italia, molto di più rispetto al totale italiano e addirittura in controtendenza rispetto ad esso a partire dal 2012.

Grafico 1

tortuga

Il fenomeno dell’immigrazione, e in particolare il problema dell’integrazione degli stranieri nel nostro paese, sembra quindi avere un ruolo importante sul livello di povertà in Italia. Un messaggio che, visti i numeri, è vitale tenere a mente quando si richiede un intervento serio di lotta contro la povertà.

Lotta alla povertà e integrazione

Una conseguenza del divario evidenziato nel grafico (come spiegato qui) è che le famiglie straniere, proprio perché in media più povere, beneficiano di più (in termini percentuali, rispetto alle famiglie italiane) delle misure di contrasto alla povertà in vigore (bonus Renzi, bonus gas e elettrico), così come dei potenziali interventi futuri al vaglio del governo.
Consideriamo ad esempio l’ipotesi di un reddito minimo per coloro che sono al di sotto della soglia di povertà assoluta: principali destinatari della misura sarebbero le famiglie italiane in condizioni di povertà (circa il 5 per cento del totale). D’altra parte, in termini di intensità, il reddito minimo andrebbe a beneficiare quasi una famiglia straniera su quattro, visto che il tasso di povertà assoluta per famiglie di soli stranieri era al 23,4 per cento nel 2014. Tutto ciò contribuisce alla già cospicua narrativa su come gli stranieri dirottino risorse altrimenti destinate a cittadini italiani, fino a costituire la miccia di una “guerra tra poveri”.
Una misura strutturale contro la povertà, invece, sarebbe non solo un fondamentale aiuto per moltissime famiglie italiane, ma anche un modo per disinnescare il crescente divario fra italiani e stranieri, favorendo il processo d’integrazione.
Lo stesso discorso vale per altri due fenomeni che nell’immaginario collettivo sono associati alla presenza di immigrati: la criminalità e il lavoro nero (e, di riflesso, il gioco al ribasso salariale). Come spiegare a lavoratori italiani in regola e con retribuzioni esigue, ma al di sopra della soglia di povertà un intervento a favore di famiglie straniere con storia contributiva quasi nulla?
In realtà, la letteratura accademica suggerisce che un alto tasso di povertà e di disuguaglianza è correlato ad alti livelli di lavoro nero e criminalità (Fajnzylber et al. (2002), o Kelly (2000)). Piuttosto che ignorare il problema, un intervento a tutto campo contro la povertà potrebbe aiutare a spezzare il circolo vizioso.

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Il saldo positivo degli stranieri

È importante mettere a fuoco le cifre di entrate e uscite legate ai cittadini stranieri. Ci rifacciamo qui al rapporto sull’economia dell’immigrazione per il 2015 della Fondazione Leone Moressa, che dà una misura dell’impatto dei lavoratori stranieri sulla finanza pubblica italiana. In particolare, su 5 milioni di residenti stranieri, 3,46 sono contribuenti, per un ammontare totale di contribuzioni Irpef di 6,8 miliardi di euro. Aggiungendo tutte le altre entrate fiscali (non Irpef) provenienti da stranieri residenti si raggiungono 16,5 miliardi. I costi per lo Stato si fermano invece a 12,6 miliardi, con un saldo di cassa attivo. Altre ricerche riguardo all’impatto dell’immigrazione sulla sostenibilità della nostra spesa pubblica arrivano a conclusioni analoghe (Devillanova (2008) e Coda Moscarola (2003)). È quindi errato pensare che un sostegno agli stranieri poveri sia un “regalo”. Piuttosto, sarebbe una misura di equità.
Il fenomeno dell’immigrazione aggrava dunque la nostra emergenza povertà ed è innegabile che in alcune realtà locali siano spesso i cittadini italiani meno abbienti a subirne le conseguenze. Tuttavia, se consideriamo il saldo positivo apportato dalla presenza di stranieri alle casse statali e i potenziali benefici economici e sociali che una maggiore integrazione potrebbe garantire, si può pensare a misure di contrasto alla povertà che abbiano come obiettivo anche la riduzione del divario fra cittadini italiani e stranieri. Nei numeri la “guerra tra poveri” non ha ragione di esistere, se non per l’inerzia di alcune istituzioni e la miopia di alcune narrazioni politiche.

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  1. IC

    Povertà degli stranieri residenti in Italia. Considerazioni giuste se si collega la povertà ai bassi redditi, ma non accettabili se si fa riferimento alla ricchezza. Molti stranieri residenti in Italia pur risultando nullatenenti hanno proprietà immobiliari nei paesi d’origine, ma quasi nessuno denuncia questi immobili nel Mod. RW. Del resto oggi anche non poche famiglie italiane, pur possedendo immobili, sono in condizione di povertà. Il mercato immobiliare in certi settori e in certe aree è fermo ed i proprietari non riescono a mettere a frutto questi immobili e neppure a venderli, pur dovendo sostenete ogni anno spese (tasse e assicurazioni)

  2. Claudio

    Abbiamo tanti poveri perché questo Paese, al contrario degli altri, non ha una misura universale a favore dei più deboli. Al contrario favorisce con misure settoriali interventi per certi versi utili quando sono delimitati nel tempo, vedi CIG ordinaria e straordinaria, ma diventando sussidiari quando durano addirittura decenni, ma non sono UNIVERSALI! Dunque assistiamo con costernazione a sussidi che arrivano anche a 20.000 euro al mese addirittura foraggiati da tasse inventate ad hoc, pensioni che superano i 90.000 euro al mese e via discorrendo mentre ci sono altri italiani non baciati dalla fortuna che non avendo di che vivere sono costretti a rovistare nei cassonetti. UN PAESE CHE CRESCE E’ UN PAESE SOLIDALE!
    poi…personalmente…
    Io non so se sono “povero”, ho 60 anni e quasi 30 di contributi, negli ultimi anni da precario sono stato “messo a riposo” nel 2011 (non ho potuto usufruire neanche della disoccupazione) e da allora non percepisco nessun sussidio ne pensione dunque non ho nessun reddito invero ho qualche euro da parte che sto finendo, una casa e auto ereditata. SONO POVERO? o piuttosto UN’INVISIBILE che non conta più niente buono solo a suicidarsi?

    • bob

      ….la Sua testimonianza vale molto di più di tanti compitini in classe che leggo su questa rivista. Numeri, percentuali, tabelle e statistiche restano sulla carta ….la realtà è ben diversa

  3. JB

    Incredibile come uno sta per affondare non ci siano niente come sostegno, non dico solo economico, ma anche a rifarsi con gli studi per poter prendere in mano la propria vita.
    nel mio caso ho due genitori divorziati, ho sacrificato il mio futuro non andando alle superiori per salvarlo ai miei fratelli che sono di 11 anni più piccoli, perchè in quel periodo eravamo figli di nessuno. Come sorella ho fatto la cosa giusta e la rifarei per loro, che ora sono in Svizzera dove le scuole sono molto più complete ed insegnano persino a cucinare, leggere le bollette ecc.
    Loro sono salvi perchè sono piccoli e si sono trasferiti, ma io rimasta nel mio paese per amore e per convinzione che riuscivo a riprendermi economicamente, volevo fare al più presto un corso per specializzarmi e avere una vita normale… ma vedendoci chiaro di prima persona vedo che vado solo a fondo, nonostante ce la metta tutta di volontà sempre faccia a terra mi ritrovo.
    non ci sono sconti, ho scoperto di essere epilettica da poco e non posso fare i controlli sanitari perchè costosi. il reddito di cittadinanza non posso percepirlo perchè mia madre ha venduto casa e mi ha lasciata per strada, non ho più civico, ho muri davanti creati da genitori e soprattutto dal governo.
    Sono amareggiata di quanto poco siano brillanti per non arrivare che alzando bollette andranno tutti in declino, ormai non segno più da nessuna parte, dovrò restare in nero per sopravvivere, ma sempre indotto dal governo, benchè io volevo già avere una vita mia ora che ho 29 anni, invece di essere incazzata col mondo.
    Al governo si sentono troppo in alto e si scordano da dove vengono distruggendo quello per cui i nostri nonni hanno combattuto, troppi parlamentari anziani, le leggi devono evolversi per non fare un crash del sistema che già c’è .
    Il governo dovrebbe prendere esempio dalle funzionalità di altre regioni estere che vanno a migliorare determinate condizioni, a partire dalle scuole che dovrebbero essere uguali per tutti.
    Soprattutto essere più indipendenti con quello che il nostro paese offre anzi che sperperare in materiale estero se già lo abbiamo.
    Servirebbe un innovazione vera e propria, ci stiamo autoestinguendo e non sono l’unica a pensarlo.
    Il governo è diventato troppo obsoleto e corrotto per poter funzionare. Ad avere avuto la possibilità di studio me ne sarei andata via pure io come altri, e fanno bene.

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