Lavoce.info

Come si risolve il problema dei voucher

Rappresentano una piccola quota del reddito e prestazioni che in ogni caso non si tramuterebbero in contratti stabili, ma che semmai non verrebbero commissionate. Dunque anche se si aboliscono i voucher resta la questione di come regolamentare il lavoro accessorio. I possibili tetti all’utilizzo.

Breve storia dei voucher

I voucher sono un metodo per retribuire prestazioni di lavoro accessorie. Il datore di lavoro acquista i buoni online, oppure presso poste, edicole, banche o tabaccai e li consegna al lavoratore che, del valore facciale di 10 euro, ne incassa 7,5. I restanti 2,5 si ripartiscono in contributi e spese di gestione Inps e una copertura Inail. Questo reddito non dà diritto ad alcun ammortizzatore sociale, ma è riconosciuto ai fini del calcolo della pensione, non incide sullo stato di disoccupazione del lavoratore ed è esente da imposte.
Introdotti nel 2003, sono rimasti inapplicati fino al 2008. Lo strumento, inizialmente riservato a studenti e pensionati limitatamente al settore agricolo, è stato progressivamente esteso a tutti i settori e a tutte le categorie. L’ultima novità arriva dal Jobs act che, insieme all’ampliamento del tetto annuale percepibile da un singolo lavoratore a 7mila euro, ha modificato i requisiti di tracciabilità, introducendo l’obbligo di attivazione telematica e di indicazione dell’orario della prestazione.
Nonostante la crescita esponenziale e l’allarmismo dei sindacati, i voucher rimangono uno strumento marginale e rappresentano solamente lo 0,23 per cento dei redditi da lavoro privato.
Tuttavia, la Cgil ha raccolto 3,3 milioni di firme per abolirli. Vale dunque la pena analizzare vantaggi e svantaggi dello strumento.

Lavoro nero emerso o coperto?

Chi è per l’abolizione ritiene che i voucher vengano utilizzati per coprire il lavoro nero, vadano a discapito di altre forme di contratto più tutelanti e rappresentino perciò una nuova forma di precarietà.
Prima del Jobs act, lo strumento si prestava innegabilmente alla copertura di lavoro nero. Per regolarizzare una giornata lavorativa senza incorrere in sanzioni, era infatti sufficiente che il datore di lavoro attivasse un solo voucher e, in caso di ispezione, poteva dichiarare la presenza del lavoratore solo per quell’ora. Ora, con l’introduzione dell’obbligo di indicazione dell’orario della prestazione, non è più così. Per non rischiare sanzioni, il datore deve pagare il lavoratore con almeno un voucher l’ora per l’intera durata della prestazione.
Nonostante la costante crescita, il numero medio di voucher riscossi per prestatore è rimasto stabile intorno ai sessanta annui. Nel 2015, il 97,8 per cento dei prestatori ne ha incassati meno di trecento. Dunque, per la quasi totalità dei prestatori sono entrate marginali. Senza voucher, questi rapporti di lavoro non verrebbero probabilmente formalizzati in alcun modo o, nel caso peggiore, non verrebbero nemmeno instaurati. In ogni caso, dati gli importi, si tratterebbe di contratti a tempo determinato di durata minima e non certo di contratti stabili.
I sostenitori dei voucher, invece, ritengono che lo strumento faccia emergere lavoro che verrebbe altrimenti pagato in nero. Il sistema è inoltre ritenuto vantaggioso dal punto di vista burocratico e fiscale.
È tuttavia opportuno chiedersi quali siano i vantaggi dell’emersione. Il reddito da lavoro accessorio è esente, l’erario non ricava alcun introito. Il lavoratore non accede ad alcun ammortizzatore sociale: non ha diritto a malattia né a disoccupazione e non ha ovviamente alcuna garanzia sulla continuità del rapporto lavorativo. I dati Istat rilevano inoltre che l’84 per cento dei percettori ottiene meno di 130 voucher in un anno, la quota necessaria a farsi riconoscere un solo mese di contribuzione. I contributi così versati dunque concorrono solo all’importo della pensione per la quasi totalità dei prestatori, ma con un impatto quasi irrilevante.
Se si esclude il vantaggio statistico dell’emersione di questa piccola quota di sommerso, l’unica differenza rispetto al lavoro nero è perciò la copertura Inail, tutela certamente importante ma non sufficiente per il lavoratore.

Leggi anche:  Dentro il labirinto: il programma Gol visto dagli operatori

Come regolare il lavoro accessorio

Si possono certamente abolire i voucher, ma rimane comunque il problema sottostante del lavoro accessorio e di come regolamentarlo.Ad oggi, l’unico limite all’utilizzo dei voucher risiede nel tetto di 7000 euro al reddito annuale netto percepibile da un singolo prestatore dalla totalità dei committenti. Tale massimale è ridotto a 2000 euro per il reddito percepibile da un singolo committente. La legge non impone tuttavia nessun vincolo sul numero di prestatori per datore di lavoro, il ricorso al lavoro accessorio da parte delle imprese rimane perciò teoricamente illimitato. Per evitare che un committente ricorra in modo intensivo allo strumento a discapito di posizioni più stabili, si otterrebbero risultati migliori spostando il limite all’ammontare dal lavoratore all’impresa, ponendo un tetto ai voucher erogabili dal singolo committente in ragione della forza lavoro che impiega. Sarebbe inoltre opportuno circoscriverne l’utilizzo alle attività che per natura richiedono prestazioni occasionali, quali ad esempio piccole imprese del settore alberghiero o agricolo, dove i picchi stagionali comportano spesso la necessità di impiegare lavoratori per brevissimi periodi, e a committenti individuali nel caso di servizi domestici occasionali.
Individuare con precisione queste attività è certamente complicato, ma si potrebbe precludere il ricorso al lavoro accessorio quanto meno alle grandi imprese del secondario, per le quali l’utilizzo dei voucher non è giustificato da alcuna esigenza organizzativa.

Lavoce è di tutti: sostienila!

Lavoce.info non ospita pubblicità e, a differenza di molti altri siti di informazione, l’accesso ai nostri articoli è completamente gratuito. L’impegno dei redattori è volontario, ma le donazioni sono fondamentali per sostenere i costi del nostro sito. Il tuo contributo rafforzerebbe la nostra indipendenza e ci aiuterebbe a migliorare la nostra offerta di informazione libera, professionale e gratuita. Grazie del tuo aiuto!

Leggi anche:  L'affaire produttività*

Precedente

L’occupazione nel 2016 è cresciuta. Merito del 2015*

Successivo

Avanti piano con gli investimenti dei comuni

16 commenti

  1. Michele Lalla

    Complimenti. L’articolo è chiaro e abbastanza esaustivo. Mi càpita di usare i voucher per lavoratori domestici occasionali, una media pari a circa una mezza giornata di lavoro al mese. La loro eliminazione mi obbligherebbe a rinunciare all’aiuto. Trovo che i sindacati avrebbero da riflettere nella lettura di questo articolo, ma da anni sono incapaci di elaborare strategie convincenti.

  2. Felice

    Leggo da un recente articolo di Marta Fana che “una valutazione basata sul costo del lavoro calcolato sui contributi previdenziali versati è per forza di cose molto inferiore per i voucher, dal momento che per ogni buono orario da dieci euro, il datore di lavoro versa solo il 13 per cento di contributi e non il 26 per cento come mediamente avviene per i contratti subordinati”. Cosa ne pensa?
    – Nell stesso articolo si legge che tra il terzo trimestre 2016 e il terzo trimestre del 2015, l’incidenza del lavoro tramite i voucher rappresenta il 31 per cento della nuova occupazione complessiva. Ritiene anche lei che l’incidenza dei voucher possa essere utilmente verificata anche tramite il rapporto con il totale dell’occupazione aggiuntiva creata in un determinato anno. Grazie del contributo.

    • Simone Ferro

      Grazie per il contributo.
      Lo 0,23% e’ calcolato come costo totale del lavoro accessorio diviso per il costo totale del lavoro dipendente privato. Non e’ calcolato come scritto erroneamente nell’articolo da lei citato sulla base dei soli contributi.
      (Fonte: tavola 29, pagina 41 del paper inps “Il Lavoro accessorio dal 2008 al 2015. Profili dei lavoratori e dei committenti.”)

      Per quanto riguarda il secondo punto: quel 31% e’ frutto di un calcolo fallace (o tendenzioso). Marta Fana calcola l’incidenza dei voucher dividendo lo stock di lavoro accessorio nel periodo per il flusso di occupazione nello stesso periodo. Questo calcolo non ci dice nulla sull’incidenza dei voucher. Pensi ad esempio che se ci fosse stato un calo equivalente dell’occupazione avremmo concluso che i voucher ammontano a -31% della nuova occupazione applicando lo stesso ragionamento.

      Spero di essermi spiegato, grazie ancora per il contributo,
      Simone

      • Felice

        Grazie, ma purtroppo non riesco ad afferrare l’esempio del secondo punto sollevato (comunque, non credo che nel caso di lavoro accessorio abbia senso differenziare tra la parola stock o flusso, assumendo che in quel caso si tratti di “mercato secondo contratti di vendita o spot”). In ogni caso, quali potrebbe essere una modalità opportuna che consente di calcolare l’incidenza dei voucher sulla nuova occupazione? Sempre che il quesito sia interessante.

        • Provo a spiegarmi meglio: se calcoliamo l’incidenza dei voucher dividendo il numero di posizioni dipendenti equivalenti per la crescita dell’occupazione otteniamo un numero che non dice nulla sull’incidenza perché stiamo dividendo uno stock (il tot. del lavoro accessorio) per un flow (la variazione negli occupati). Paradossalmente, a parità di voucher, se l’occupazione fosse diminuita avremmo ottenuto un numero negativo e se fosse aumentata di 1 avremmo 7’650’000%. Mi spiego?

          Anche con contratti spot ha senso differenziare tra stock (il numero di voucher erogati) e flusso (la variazione nel numero di voucher erogati). Lei calcolerebbe l’incidenza dei contratti a tempo determinato dividendo il numero di contratti a tempo det. per la variazione nel n. di occupati? Tale calcolo non dice niente sull’incidenza.

          Se vogliamo calcolare l’incidenza dobbiamo dividere stock per stock. Possiamo calcolarla in termini di reddito dividendo il totale del reddito da lavoro accessorio per il totale del reddito da lavoro privato (ed ottenere quello 0,23%), oppure possiamo farlo in termini di teste dividendo il totale del numero di percettori di voucher per il totale degli occupati (non per la variazione) ed otteniamo un numero molto più alto (8% circa) perché ovviamente il reddito percepito da ciascun interessato è bassissimo (circa 600 euro lordi annui in media).
          Quindi possiamo dire che l’incidenza in termini di reddito è 0,23% e riguarda l’8% dell’occupazione.
          Spero sia più chiaro

          • Felice

            Grazie, molto. Non mi sembra informativo in senso economico il confronto dell’INPS basato sul numero di “teste” (per assurdo, tutti i voucheristi potrebbero in media aver lavorato ben poche ore all’anno, e i secondi essere tutti a tempo pieno e indeterminato) e continua a non convincermi la distinzione qui proposta tra stock e flusso: non possiamo accumulare lavoro accessorio nel tempo, non possiamo costruire uno stock, un potenziale di risorse e di energia acquisito sul mercato del lavoro, non ci sono ulteriori negoziazioni tra i contraenti e l’erogazione avviene immediatamente. Non è patrimonio, capitale, non è un parco macchine. Ogni voucher erogato in ogni momento sembra rappresentare sempre nuova occupazione. Se fosse questo il caso si potrebbero porre in rapporto due grandezze flusso. E il risultato, la Fana la chiama incidenza, informa su quale è la percentuale potenziale di persone a tempo pieno che si sarebbe potuto occupare in assenza dello strumento. Anche con contratti di lavoro a tempo determinato (si noti che tali persone avrebbero, a parità di salario netto, guadagnato in termini di contributi, il ché nel nostro attuale sistema pensionistico rileva). Se la nuova occupazione a tempo pieno avesse valore negativo, quel confronto mi direbbe che senza l’attività lavorativa remunerata con i voucher la congiuntura sarebbe stata peggiore. Se ci fosse stato un solo nuovo occupato, praticamente tutta la nuova occupazione avrebbe quelle caratteristiche, lavoro accessorio.

          • Felice

            Grazie ancora. Rimango perplesso sul punto relativo alla definizione di stock – flusso sul lavoro accessorio. Appare con tutta evidenza che non si puo’ parlare di stock, si tratta di contratti tipicamente spot. Il lavoro accessorio non si puo accumulare, viene erogato subito e i contraenti non rinegoziano. Non e’ patrimonio, capitale fisso, né un parco macchine. Sembra proprio essere sempre nuova occupazione, in ogni momento o periodo temporale. E allora quel rapporto, che la Fana chiama incidenza, non e’ nient’altro che un indicatore del potenziale di lavoratori dipendente che si sarebbe potuta occupare in assenza dello strumento voucher, ceteris paribus.

  3. Paolo mariti

    Come spesso succede anche qui vi sono vantaggi e svantaggi. Tutto sembrerebbe pendere però verso un prevalere dei primi sui secondi e dunque manterei vouchers sembrerebbe una decisione corretta.Così ritengo. Ma allora perchè tanto rumore? Solo ideologia o peggio ideologismi da parte sindacale (che ne riconosce l’utilità (o quanto meno la convenienza) avendone fatto un certo uso? C’è qualcosa che non si capisce.

  4. Marco

    Il ricercatore dovrebbe precisare che nella legge da nessuna parte e’precisato che il voucher vale per un ora di lavoro .quindi unvoucher potrebbe valere per più di un ora .Utile sarebbe sapere chi controlla chi è dove visto gli organici oggi pressoché ridotti ai minimi termini degli uffici ispettivi.Da ultimo consiglio alla signora lalla di leggere bene cosa viene indicato dalla Cgil nella carta dei diritti.ireferendum sono l’unico strumento rimasto per aprire una discussione diversa in questo paese su cosa oggi è diventato il diritto del lavoro.Prima di dare a tutti degli incapaci leggere cosa qualcuno oggi prova a proporre.

  5. Marco Bat

    Nella mia associazione di volontariato, per risolvere il problema della persistenza della povertà in alcune famiglie senza lavoro, si è creato uno sportello chiamato Incontralavoro. Lo sportello ha lo scopo di far incontrare un datore con esigenze di lavoro temporaneo e lavoratore in disoccupazione, lasciando ai volontari il compito di risolvere la complicata burocrazia dei voucher. Gli stessi funzionari dell’INPS si sono offerti formatori. Il progetto funziona e 35 dei 70 ex disoccupati stanno lavorando, chi con contratti stabili chi con vouchers. Il progetto è iniziato nel 2013. Purtroppo la precisazione del Dlgs 81/2015 è arrivata tardi ed effettivamente si incorreva in persone sottopagate che lavoravano per 8 ore per avere solo due voucher da 10 eur (7,5 per il lavoratore). Questo ha generato le 3,3 milioni di firme per il referendum. Il legislatore prima del 2015 si era dimenticato del compenso minimo per sbadataggine oppure era “l’inganno” creato specificamente?

    • Paolo Mariti

      Si è trattava di una precisazione …arrivata in ritardo” o di una scelta che consentiva minori costi? Si può ora dire che episodi simili cessino del tutto oppure può permanere qualche sacca di lavoro in nero?

      • Per la prima parte ribadisco quanto ho detto nella precedente risposta: tenderei ad escludere la cattiva fede del legislatore, non vedo il motivo di introdurre meccanismi volutamente aggirabili per favorire il lavoro nero. E’ stata probabilmente una mancanza di lungimiranza.
        Per quanto riguarda la seconda: rimangono certamente sacche di lavoro nero ma non sono più attribuibili all’esistenza dei voucher. Ad oggi, come detto, l’obbligo di indicazione preventiva dell’orario di lavoro fa in modo che lo strumento non si presti più a coprire lavoro irregolare, ciò non toglie che il lavoro nero continui ad esistere.

        • Paolo mariti

          Temo di essermi spiegato male. Non mi riferivo a cattiva fede del regolatore, semmai ad imprevidenza. Piuttosto ad un comportamento di certi operatori tendente ad usare i vouchers per alcune ore salvo “prolungare” il rapporto in nero. Si può escludere questo in futuro?

        • Paolo mariti

          Forse, non mi sono ancora una volta espresso bene. Sono interessato a capire se, anche in presenza di buona fede da parte del Regolatore, permanga tuttavia la possibilità, da parte dell’Utilizzatore di una stessa ed unica prestazione di lavoro occasionale, di protrarla in nero.Che il lavoro in nero possa in generale continuare ad esistere è altra questione.Grazie.

    • Caro Marco,
      il problema non era il compenso minimo bensì la mancanza dell’obbligo di indicazione preventiva dell’orario di lavoro durante l’attivazione del voucher. Questo come detto permetteva ai datori di pagare il lavoratore con un solo voucher e, in caso di controllo, dichiarare la presenza del lavoratore solo per quell’ora.
      Tenderei ad escludere la cattiva fede del legislatore, non vedo il motivo di introdurre meccanismi volutamente aggirabili per favorire il lavoro nero. E’ stata probabilmente una mancanza di lungimiranza.
      Complimenti per il lodevole progetto.
      Simone

Lascia un commento

Non vengono pubblicati i commenti che contengono volgarità, termini offensivi, espressioni diffamatorie, espressioni razziste, sessiste, omofobiche o violente. Non vengono pubblicati gli indirizzi web inseriti a scopo promozionale. Invitiamo inoltre i lettori a firmare i propri commenti con nome e cognome.

Powered by WordPress & Theme by Anders Norén