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Se lo smart working piace a lavoratori e imprese

Un esperimento sui lavoratori di un’azienda che ha adottato lo smart working dimostra che la produttività di un lavoratore non dipende dalle ore trascorse in ufficio. Aumenta anche la soddisfazione per lo stipendio e per la conciliazione vita-lavoro.

Un esperimento di smart working

Il 2017 ha visto l’introduzione della legge sullo smart working (legge 81), detto anche lavoro agile o lavoro flessibile nel tempo e spazio di lavoro: il lavoratore può scegliere, in accordo con il datore di lavoro e per una parte concordata della settimana lavorativa, gli orari e il luogo in cui svolgere la sua attività. L’obiettivo è migliorare l’equilibrio tra tempi di vita e di lavoro, aumentare la produttività e il benessere dei lavoratori, a beneficio dei lavoratori stessi e dell’azienda.

Negli ultimi anni un buon numero di aziende in Italia ha iniziato a utilizzare forme di flessibilità lavorativa e, con l’approvazione della legge, simili modalità lavorative sono proliferate.

Ma quali sono gli effetti dello smart working per lavoratori e datori di lavoro, uomini e donne? Quali i costi e i benefici?

Al di là di varie indagini divulgative, le ricerche accademiche rigorose sugli effetti di questa politica sono poche e in Italia non esistono. È difficile parlare di legami di causa-effetto semplicemente osservando la relazione tra risultati positivi (o negativi) del lavoro flessibile e la sua introduzione, perché la relazione potrebbe dipendere da altre variabili: per esempio, le aziende che introducono il lavoro flessibile possono essere proprio quelle con risultati positivi (o negativi) fin dall’inizio.

Con il progetto europeo Elena (Experimenting flexible Labour tools for Enterprises by engaging men and women), che fa capo al dipartimento Pari opportunità, presidenza del Consiglio dei ministri, in partnership con il Centro Dondena per le dinamiche sociali e politiche pubbliche dell’Università Bocconi, abbiamo provato per la prima volta a dare una risposta rigorosa.

Abbiamo adottato la metodologia dei randomized experiments, nota nel campo delle politiche pubbliche per la sua capacità di portare all’identificazione di rigorosi rapporti di causa-effetto, ma mai applicata in Europa nel contesto della flessibilità del lavoro. Lo studio è stato effettuato su un campione significativo di 300 dipendenti di una grande società italiana che non aveva mai utilizzato prima forme di flessibilità. Il campione è stato diviso in modo casuale tra soggetti “trattati” che hanno sperimentato per un periodo di nove mesi il lavoro flessibile e soggetti “controllo”, con caratteristiche osservabili simili, che non sono stati sottoposti alla politica del lavoro flessibile. La flessibilità è consistita nella possibilità, per un giorno alla settimana, di lavorare fuori sede, con libertà di scegliere il luogo e la completa flessibilità nell’orario di lavoro.

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I lavoratori e i loro supervisori hanno risposto a un questionario prima e dopo l’esperimento. Attraverso un modello difference-in-difference, abbiamo confrontato i lavoratori nel gruppo “trattato” e quelli nel gruppo di “controllo” prima e dopo la sperimentazione, per quantificare l’effetto dell’introduzione del lavoro agile, guardando alle seguenti dimensioni: produttività del lavoratore, benessere del lavoratore (salute, umore, stress), bilanciamento vita-lavoro e dedizione all’azienda.

Più produttività e più soddisfazione

La figura 1 mostra l’andamento della produttività dei lavoratori nei due gruppi – trattamento e controllo – misurata da un indicatore oggettivo che assume valori tra 0 e 5 rilevato dall’azienda ogni mese, basata sul risultato effettivo dei lavoratori. Dopo quattro mesi dall’avvio, vediamo ogni mese un aumento della produttività dei lavoratori che hanno usufruito dello smart working (rispetto a quelli che non l’hanno sperimentato) che oscilla tra il 3 e il 4 per cento. Anche se la differenza non è statisticamente significativa, l’andamento è interessante e conferma l’infondatezza dell’argomento in base al quale per essere produttivi sia necessario essere presenti in ufficio il più possibile. Un risultato simile riguarda le assenze: mediamente i lavoratori soggetti a smart working fanno tra 0,1 e 0,4 giorni lavorativi di assenza (per esempio, per malattia o altro) in meno al mese di quelli che non seguono questa modalità di lavoro. Questo significa tra 1,2 e 4,8 giorni all’anno per lavoratore.

Per quanto riguarda la soddisfazione, l’utilizzo dello smart working fa aumentare mediamente per ogni lavoratore (uomini e donne) del 3,16 per cento quella percepita per il proprio reddito (rispetto al lavoratore che non lo sperimenta), del 2,34 per cento la soddisfazione per il lavoro, del 14 per cento per il tempo libero e dell’8,73 per cento per la vita in generale. Per alcune di queste dimensioni, il miglioramento è più accentuato per le donne rispetto agli uomini (figura 2).

Inoltre, l’utilizzo dello smart working fa aumentare mediamente per ogni lavoratore del 6,6 per cento la soddisfazione per il bilanciamento vita-lavoro (rispetto al lavoratore che non lo sperimenta), in particolare del 5,4 per cento per gli uomini e del 7,94 per cento per le donne.

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Il tema del lavoro flessibile, il suo impatto sull’organizzazione e i risultati del lavoro, così come sul benessere individuale e sull’uguaglianza di genere sono molto attuali e riguardano tutti: tutti i lavoratori sanno, per esempio, cosa significa lavorare da casa o non dover timbrare il cartellino. Tutti sanno anche che spesso le aziende fanno resistenza nei confronti delle modalità di lavoro flessibile, come già accade per il part-time. Le resistenze sono spesso giustificate da un tema di produttività. Ma è una giustificazione che non ha un riscontro scientifico. I legami di causa-effetto individuati dal nostro studio potranno costituire la premessa per la definizione su basi solide di futuri programmi di politiche in Italia e in Europa.

Figura 1 – Andamento della produttività oggettiva: ottobre 2016 – giugno 2017

Figura 2 – Benessere del lavoratore. Soddisfazione media con il tempo libero a disposizione

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  1. Savino

    Ci sarà da fare una dura lotta con la mentalità troglodita dei nostri imprenditori e dei nostri burocrati per introdurre queste formule. Mi sembra che loro vadano dritti per il proprio vicolo cieco con gli occhi bendati. Non sanno o fingono di non sapere che anche le leggi della competitività filano lisce per il proprio percorso.

  2. bob

    Credo che per risolvere tanti problemi (traffico, smog, stress, ecc.), oltre che applicare il lavoro flessibile, bisogna dare la possibilità del telelavoro da casa. Oggi ci sono fin troppe tecnologie che permettono di operare senza alzarsi la mattina alle 5 per andare in ufficio alle 8 a timbrare i certificati di nascita…con tutte le problematiche che ne conseguono per la persona e la comunità

  3. Mita Marra

    Le policy evaluation rigorose non sono solo quelle basate su esperimenti randomizzati controllati. Segnalo un lavoro del 2016 (a cura di Garofalo, Marra e Pelizzari) dal titolo “Quale genere di conciliazione. Intersezioni tra famiglia, lavoro e welfare”, Giappichelli, in cui insieme a Fraire effettuiamo un’analisi quali-quantitativa sull’uso del tempo su un campione di lavoratrici occupate nel pubblico e nel privato profit e non for profit nel Sud Italia.

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