Lavoce.info

Troppo precari per essere formati in azienda

Una maggiore protezione dell’impiego dovrebbe favorire relazioni di lungo periodo e quindi l’investimento in formazione. Ma potrebbe anche indurre le imprese a utilizzare di più i contratti a termine, riducendo l’interesse a formare la forza lavoro.

Imprese e formazione

La legge di bilancio 2018 (legge n. 205/2017) prevede nuovi incentivi alle imprese per la formazione dei lavoratori; in particolare, si prevede un credito d’imposta pari al 40 per cento per sostenere le spese in formazione nell’ambito del piano nazionale Impresa 4.0. È indiscutibile la necessità di formazione continua per aziende che devono costantemente adeguarsi alle condizioni del mercato e al progresso tecnologico per sostenere la loro competitività. Tuttavia, bisogna capire quanto gli incentivi possano risultare efficaci in un mercato del lavoro in cui la quota di assunzioni con contratti a termine si avvicina al 90 per cento, come indicato di recente da Andrea Garnero.
La teoria economica ha evidenziato gli scarsi incentivi delle imprese a contribuire alla formazione dei lavoratori in contesti concorrenziali, ma alcuni contributi più recenti mostrano come la possibilità sia concreta in presenza di imperfezioni nel mercato del lavoro e di vincoli di natura istituzionale che limitano, di fatto, la capacità delle imprese di assumere e licenziare liberamente. In questo caso, la formazione potrebbe generare rendite aggiuntive dalla relazione lavorativa che aumentano gli incentivi dell’impresa a fornire training.

La differenza tra piccole e grandi aziende

Per una serie di fattori (non ultimo la maggiore disponibilità di risorse finanziarie), le imprese di grandi dimensioni offrono più formazione ai propri lavoratori. La figura 1 mostra ad esempio la situazione in Europa. Se, per il nostro paese, non sorprende il divario tra imprese grandi e medie (13 punti percentuali a favore delle prime), più curiosa è la vicinanza tra aziende medie e piccole, con un gap nella fornitura di training a vantaggio delle seconde.

Figura 1 – Percentuale di individui occupati in imprese che forniscono Continuing Vocational Training che hanno partecipato a corsi di training (2010)

Leggi anche:  Il derby d'Italia: risultati in campo e risultati di bilancio

Fonte: I dati si riferiscono alla Continuing Vocational Training Survey, 2010, Eurostat. Sono considerate imprese di piccole (small), medie (medium) e grandi (large) dimensioni quelle con 1-49, 50-249 e 250 o più dipendenti, rispettivamente

Quali sono i fattori istituzionali che potrebbero contribuire al risultato?
In un lavoro recente abbiamo analizzato come il contesto istituzionale possa influenzare gli incentivi delle imprese a formare i lavoratori. In particolare, abbiamo considerato, per l’Italia, come l’effetto dei regimi di protezione dell’impiego (Rpi) possa influenzare le scelte formative delle imprese. Rpi più forti dovrebbero favorire relazioni lavorative più stabili e quindi l’accumulazione di capitale umano specifico d’impresa.
Il contesto italiano, almeno fino alle riforme più recenti, forniva un ottimo laboratorio sperimentale per valutare questi effetti. La soglia dei 15 dipendenti costituiva infatti uno strumento per distinguere le imprese per cui i Rpi (e i costi di licenziamento in particolare) erano maggiori: ci riferiamo all’articolo 18 dello Statuto dei lavoratori, che prima della riforma prevedeva per le imprese più grandi la reintegra e, in generale, un forte aumento dei costi nel caso di licenziamento senza giusta causa.
I risultati suggeriscono come l’effetto di Rpi più stringenti sul numero di lavoratori formati sia negativo, contrariamente a quanto ipotizzato dalla semplice intuizione economica. Focalizzandoci sulle imprese intorno alla soglia dei 15 dipendenti, che sono più simili tra loro, e confrontando quelle immediatamente sopra con quelle immediatamente sotto soglia, abbiamo verificato che la maggiore protezione riduce il numero di lavoratori formati di 1,5-2 unità (un effetto medio pari a quasi il 20 per cento). L’effetto non è legato alle diverse probabilità, sopra e sotto la soglia, che all’interno di un’impresa operi un sindacato (Rsa o Rsu in particolare) o al fatto che fossero in essere procedure di cassa integrazione straordinaria (riservata alle imprese con più di 15 dipendenti), fattori che avrebbero potuto influenzare le scelte delle imprese riguardo alla formazione dei lavoratori.
Il risultato può essere invece spiegato dal fatto che le imprese più grandi, per evitare di dover fronteggiare più alti costi di licenziamento, hanno aumentato in maniera eccessiva il turnover, utilizzando in maniera anomala le forme contrattuali più flessibili, ovvero i contratti a termine. Diminuendo l’orizzonte temporale entro cui l’investimento in capitale umano può essere sfruttato, queste tipologie contrattuali implicano necessariamente una minore propensione delle imprese alla formazione, riducendone quindi il livello medio offerto dalle imprese ai propri lavoratori.
D’altra parte, i recenti interventi di riforma del mercato del lavoro, con gli incentivi all’utilizzo dei contratti a tempo indeterminato a tutele crescenti (soprattutto se la relazione di lavoro dovesse continuare dopo i primi tre anni), potrebbero favorire la formazione dei lavoratori e in generale migliorarne le prospettive di accumulazione di capitale umano.

Leggi anche:  Quanta fatica per l'industria europea nel 2024

Lavoce è di tutti: sostienila!

Lavoce.info non ospita pubblicità e, a differenza di molti altri siti di informazione, l’accesso ai nostri articoli è completamente gratuito. L’impegno dei redattori è volontario, ma le donazioni sono fondamentali per sostenere i costi del nostro sito. Il tuo contributo rafforzerebbe la nostra indipendenza e ci aiuterebbe a migliorare la nostra offerta di informazione libera, professionale e gratuita. Grazie del tuo aiuto!

Leggi anche:  Quanta fatica per l'industria europea nel 2024

Precedente

Concorrenza ad alta velocità

Successivo

Una via italiana per i lavoratori nei cda*

  1. Savino

    L’importante è assumere più giovani, che sono già formati.
    I dati recenti hanno dimostrato che la produttività del lavoro migliora grazie al tasso di scolarizzazione e alle abilità delle nuove leve.
    Il jobs act, anche se è medicina amara sotto certi aspetti di tuela del lavoratore, quantomeno stabilisce linee di discrimine tra lavoro produttivo e no.

  2. arthemis

    altra possibile chiave di lettura: molte aziende hanno processi lavorativi che possono essere appresi in poco tempo, quindi possono cambiare spesso i collaboratori perché ininfluente ai fini dei risultati.
    Sarebbe utile avere l’analisi comparativa sul settore di attività dell’azienda (competitivo, ad alto valore aggiunto o meno), per verificare o smentire l’ipotesi che lavori ad alto contenuto professionale hanno minor tasso di sostituzione dei dipendenti

    • Massimiliano Bratti

      Si questo potrebbe avvenire in media, ovvero potrebbe riflettere un trend storico (anche se nella retorica comune si sottolinea un incremento della complessità e non della semplificazione nei task lavorativi). Tuttavia non è chiaro perché questo dovrebbe generare una differenza tra imprese proprio in prossimità della soglia dimensionale a cui corrispondono diversi livelli di protezione dell’impiego.

  3. FB

    O più banalmente le imprese non investono in formazione perché le persone formate poi vanno a cercare migliori opportunità altrove. Esattamente come accade in alcune nazioni sottosviluppate con medici e infermieri che poi vanno a cercare lavoro in Europa o negli USA.

Lascia un commento

Non vengono pubblicati i commenti che contengono volgarità, termini offensivi, espressioni diffamatorie, espressioni razziste, sessiste, omofobiche o violente. Non vengono pubblicati gli indirizzi web inseriti a scopo promozionale. Invitiamo inoltre i lettori a firmare i propri commenti con nome e cognome.

Powered by WordPress & Theme by Anders Norén