L’aumento della povertà tra 2016 e 2017 riguarda tutti, ma l’incidenza resta molto più alta tra gli stranieri. Eppure, il ministro Di Maio fa leva su questi dati per accelerare sul “suo” reddito di cittadinanza. Da cui i non italiani sarebbero esclusi.
Povertà in crescita …
Tra il 2016 e il 2017 il numero delle famiglie in povertà assoluta è aumentato, secondo le stime Istat, di 158mila unità, passando dal 6,3 al 6,9 per cento del totale. È un incremento che stupisce di fronte a una crescita del Pil che, anche se meno rapida di quella di altri paesi dell’Eurozona, è in atto dal 2015 con una graduale accelerazione, come discutiamo in un altro articolo.
L’aumento della povertà ha tante dimensioni. Nel comunicato Istat si legge che un terzo dell’incremento (due decimi di punto percentuale sui sei decimi totali di aumento) si deve alla crescita dei prezzi al consumo che nel 2017 è stata pari all’1,2 per cento. Se aumenta il costo della vita, meno persone possono permettersi l’acquisto del paniere “minimo” al di sotto del quale una famiglia è classificata come povera. Il comunicato Istat riporta anche che l’ “intensità della povertà” (“quanto poveri sono i poveri”, ovvero di quanti punti percentuali la spesa mensile delle famiglie povere è mediamente sotto la linea di povertà) è sostanzialmente stabile rispetto all’anno precedente. Fa eccezione il sud Italia dove si osserva una crescita di tale intensità che sale dal 20,5 al 22,7 per cento. E ciò avviene nell’anno in cui il Pil del Mezzogiorno è tornato a crescere finalmente sopra all’1 per cento (all’1,4 per cento, per la precisione).
… per tutti, italiani e stranieri
Qui ci concentriamo sulle differenze tra italiani e stranieri per i loro incandescenti risvolti politici. Secondo i dati Istat, nel 2017 c’erano in Italia 158mila famiglie povere in più rispetto all’anno precedente (1 milione e 778 mila contro il milione e 619 mila del 2016).
Tabella – Povertà assoluta delle famiglie per cittadinanza. Anni 2016-2017, valori assoluti (in migliaia) e percentuali
Fonte: Istat
La tabella dice che l’aumento del numero dei nuclei in povertà assoluta coinvolge sia le famiglie italiane che quelle composte da soli stranieri. La variazione assoluta è maggiore per le prime (+184mila) rispetto alle seconde (+56mila). Ma sul totale del rispettivo gruppo l’incidenza della povertà cresce di più per le famiglie straniere (+3,5 punti percentuali) contro il +0,7 per cento delle famiglie italiane. I dati sulle famiglie miste (che completano i dati raccolti dall’Istat) sono difficili da commentare perché mostrano oscillazioni molto ampie per numeri molto ridotti, soprattutto al Centro e al Sud.
Ma i poveri in Italia sono più spesso stranieri
La povertà è quindi in crescita, e l’aumento riguarda sia i nuclei familiari italiani che quelli stranieri. Dati più disaggregati mostrano che è salita la percentuale di famiglie povere di soli italiani al nord (dal 2,6 al 3,1 per cento del totale) e – più nettamente – al sud (dal 7,5 al 9,1 per cento), mentre al centro il dato è in lieve calo.
Ma i dati Istat del 2017 confermano chiaramente che per le famiglie costituite di soli stranieri (sono 1,6 milioni) il rischio di essere in povertà assoluta continua a rimanere di sei volte (29,2 diviso 5,1) più elevato rispetto a quello che pende sui 23,8 milioni di famiglie italiane. È più o meno la stessa sproporzione che si osservava nel 2016. Pur essendo solo il 6,6 per cento delle famiglie residenti in Italia, quelle di soli stranieri rappresentano il 27 per cento di tutte le famiglie povere e il 32 per cento degli individui poveri.
Povertà e reddito di cittadinanza
I dati sopra riportati non sono solo aride statistiche, ma hanno una grande rilevanza politica. Subito dopo la pubblicazione dei dati Istat, il ministro del Lavoro e dello Sviluppo economico, Luigi Di Maio, ha infatti diffuso un comunicato in cui mette fretta al Parlamento e al governo per una rapida introduzione del reddito di cittadinanza come strumento di lotta contro la povertà. Peccato che nella versione delineata nel contratto del governo del cambiamento (articolo 19, pagina 34) dal reddito di cittadinanza gli stranieri siano esclusi. “Il reddito di cittadinanza è una misura attiva rivolta ai cittadini italiani al fine di reinserirli nella vita sociale e lavorativa del paese” (la sottolineatura è nostra).
Andrebbe così a finire che la principale misura anti-povertà del nuovo esecutivo – poiché riservata ai cittadini italiani, per ridurne i costi per lo stato e per ottenere il gradimento della Lega – escluderebbe dai potenziali beneficiari circa un terzo (il 32 per cento) dei potenziali destinatari. Proprio quelli che secondo i dati Istat ne avrebbero più bisogno. E ciò avverrebbe perché queste persone non sono cittadini italiani pur risiedendo nel nostro paese e in molti casi contribuendo alla creazione di reddito in Italia nella posizione di immigrati regolari.
D’altronde, una delle parole d’ordine del nuovo esecutivo è “prima gli italiani”. Un’espressione che si alimenta della speranza – a nostro avviso mal riposta – che la Corte di giustizia europea non condanni presto il nostro paese a estendere la misura anche agli altri cittadini europei residenti in Italia.
Rimane che, al netto del marketing politico, si comincia a capire la sostanza del cosiddetto “reddito di cittadinanza”. Con l’esclusione dei cittadini stranieri, la “cittadinanza” – chiusa fuori dalla porta da un disegno di legge che condiziona i trasferimenti di reddito ai meno abbienti alla loro accettazione di una proposta di lavoro – rientrerebbe dalla finestra. Ma lo farebbe nel modo più odioso: alla faccia dell’universalità, si negherebbe l’assistenza a persone povere che hanno i redditi più bassi di tutti nella società italiana.
Viene da chiedersi se davvero gli elettori italiani vogliano tutto questo: un gigantesco esperimento assistenzialistico declinato in modo discriminatorio. Forse sì, sotto la spinta di una recessione sociale che sembra non avere mai fine – soprattutto al sud – e di politci che sfruttano il malessere esistente. Sarebbe però un ritorno in grande stile del vecchio motto: “italiani brava gente”. Meglio sarebbe limitare l’assistenzialismo e promuovere politiche che creino lavoro per tutti, italiani e stranieri.
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Henri Schmit
Il nazional-populismo è probabilmente il vero collante dei due partiti di governo. Dovrebbero esultare i filosofi dell’identità, dell’omogeneità e della politica come lotta di amici contro nemici, fra noi e loro, in auge negli anni 20 e 30, soprattutto nei paesi germanici, riscoperti nel nuovo millennio e rimessi alla moda fra studiosi. Da un paio di anni il nuovo-vecchio discorso si sta estendono alla politica, alla piazza, alla televisione, ai media. Chi scrive è straniero e sta con loro.
Arduino Coltai
Di fronte a questi dati verrebbe da chiedersi che senso abbiano le posizioni di chi propone di continuare con l’accoglienza indiscriminata ed incontrollata dei migranti. E verrebbe anche da chiedersi quanto possa definirsi ‘di sinistra’ la politica di chi, in tal modo, rischia di incrementare continuamente e considerevolmente il numero di poveri nel nostro paese a fronte di risorse che, nonostante la ripresa (alquanto timida per la verità) continuano ad essere molto carenti.
Fernando
mi piacerebbe togliermi un dubbio: le statistiche sulla povertà ( sul reddito) dei cittadini tengono conto in qualche modo misura dell’evasione fiscale? O forse sono costruite su altri elementi, che la rendono ininfluente ai fini del risultato? Grazie
Mauro Cappuzzo
Dall’articolo sembra di capire che l’esclusione die non italiani sia un problema solo se si tratta di cittadini di altri stati dell’Unione Europea (quali? Romania, Bulgaria, Polonia?) mentre non sarebbe un problema per cittadini provenienti da altrove. Ma i poveri non sono tutti uguali? Credo comunque che in una situazione di carenza di risorse come quella attuale il principio “prima gli Italiani” abbia una sua giustificazione e una sua logica. Usciti dalle difficoltà nulla vieterà di aiutare anche gli altri.
Mario Angli
Se importi 600 mila poveri in 5 anni, di sicuro il numero dei poveri stranieri aumenta..
Ciro
Ovviamente, pur valutando i dati su cui si basano queste autorevoli considerazioni in buona parte corretti, volevo far sommessamente notare che in molte grandi città dell’Italia meridionale (Napoli, Palermo, Bari) è diffusissima la cultura del lavoro nero o, peggio, l’aggregazione di interi nuclei familiari al sistema economico allargato della criminalità organizzata. Questi nuclei familiari, come è naturale, non percependo alcun reddito ufficiale rientrano naturalmente anch’essi nella grande platea di “poveri assoluti”, pur avendo un tenore di vita ben al di sopra della soglia di povertà. Chiaramente, non arrivo a dire che sono tutti “finti poveri”, ma vi assicuro che se in numeri reali fossero quelli teorici avremmo ogni giorno le barricate in strada. Quel sottoproletariato urbano, a cui mi riferisco, è “povero professionale” motivo per cui preferisce l’assistenza all’occupazione. Con l’assistenza attuale ma, soprattutto, con i futuri strumenti assimilabili (Reddito Cittadinanza comunque declinato) potranno continuare a godere di questo speciale statuto di povertà teorica. Purtroppo, senza efficaci e sofisticati strumenti di verifica del reddito reale molte famiglie “finte povere” continueranno a sottrarre risorse destinabili ai veri poveri.
Pentangeli
Grazie, questo articolo è l’ennesima dimostrazione della vetustà dell’indicatore PIL per apprezzare la bontà del progresso di una nazione. Questo indicatore è sempre più irrilevante in quanto, contrariamente agli anni del boom economico dove crescita del PIL andava di pari passo con lotta alle diseguaglianze e cicli keynesiani, ma anche con l’assenza di vincoli di tipo ambientale o etico al consumismo sfrenato, oggi la crescita del PIL si sposa, senza complessi, con la crescita delle diseguaglianze. Sarebbe ora di abbandonare questo indicatore in ambito politico.
Guido Di Massimo
Combattere solo la povertà degli italiani ignorando gli stranieri non solo è eticamente vergognoso; è anche un errore politico: creare un ghetto di “esclusi per legge” invece di favorire l’integrazione non può che accentuare o creare problemi sociali.
Gerardo Gaita
Quando si capirà che il problema a monte non concerne una corretta distribuzione della ricchezza ma quello di assicurare la migliore contribuzione possibile al processo di creazione della ricchezza e che il PIL è un indicatore economico quantomeno poco affidabile, essendo costruito in accordo con il punto di vista secondo cui ciò che guida l’economia non è la produzione di ricchezza ma il suo consumo, non sarà mai troppo tardi.
lucio
vivendo in Africa mi viene difficile capire queste stime dell’Istat e l’uso del termine poverta’ assoluta che in genere in quest’area viene riservato a persone che vivono con meno di un dollaro e un quarto al giorno.
dal sito istat https://www.istat.it/it/dati-analisi-e-prodotti/contenuti-interattivi/soglia-di-poverta vedo che una famiglia composta da una coppia con due bambini di eta’ compresa tra 4 e 10 che vive in una citta’ del sud viene considerata povera assoluta se spende meno di 1.300 euro al mese. senza alcuna considerazione sul livello di ricchezza patrimoniale della famiglia (casa di proprieta’, affitto, mutuo o no). mi pare del tutto irrealistico e sovrastimato: sbaglio?
RobertoSxyz
Tutti possono ricadere in periodi di povertà. Il cibo non si dovrebbe negare ma si potrebbe fare un programma di volontariato per pulire le strade da oggetti estranei offrendo un buono omaggio per mangiare in un ristorante a scelta che aderisce al programma. Si può fare anche con i carcerati che hanno poca pena da scontare. Si può certamente fare con italiani ed immigrati in povertà. Con limite al servizio di netturbino e non altri settori del governo, ci guadagna il governo ed i poveri. Non è caporalato ma è volontariato al servizio pubblico. Mai dare soldi. Se si da solo il pasto essi lo porteranno anche ai loro figli. I soldi, alcuni di loro, se li sprecano. Si presume preferiscano un pasto a loro scelta che il mangiare in un refettorio.