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Iva, il tempo delle scelte

Far scattare la clausola di salvaguardia sull’Iva non sembra una buona idea. Meglio forse introdurre una nuova aliquota unica. Ma qualunque sia la scelta, va sfruttato il patrimonio di informazioni ottenuto dalla trasmissione elettronica delle fatture.

Clausola sì o no?

Con il prossimo Documento di economia e finanza e con la legge di bilancio si potrà verificare se il governo confermerà la volontà di non attuare la cosiddetta clausola di salvaguardia, volontà già espressa nel “contratto di governo”.

Per il 2019 infatti la clausola, rivista con la legge di bilancio per il 2018, prevede l’incremento all’11,5 per cento dell’aliquota ridotta (attualmente al 10 per cento) e al 24,2 per cento dell’aliquota ordinaria (attualmente al 22 per cento). Per evitare gli aumenti, secondo le stime attualmente contenute nei documenti di finanza pubblica, servirebbero circa 12 miliardi.

Se analizzata da un punto di vista microeconomico, la decisione di non far scattare gli aumenti appare opportuna. In ambito internazionale, l’efficienza dell’Iva viene misurata dalla capacità di ridurre due divari: il compliance gap e il policy gap. Il primo indica il gettito perso a causa dell’evasione, il secondo indica il gettito perso a causa dell’applicazione delle aliquote ridotte e delle esenzioni. Entrambi in Italia si collocano, se correttamente calcolati, intorno al 30 per cento nel 2014. L’attuazione della clausola non ridurrebbe il policy gap e, peggio, aumenterebbe presumibilmente il compliance gap, ovvero l’evasione. Per comprenderlo, si consideri la tabella 1, dove vengono riportati i compliance gap stimati, per la prima volta, per ciascuna delle tre aliquote (super-ridotta, ridotta e ordinaria) per il periodo 2009-2014.

Tabella 1

Fonte: “Clausola di salvaguardia: impatti sull’evasione dell’Iva e sul gettito” di Elena D’Agosto e Alessandro Santoro in La finanza pubblica italiana. Rapporto 2018.

La tabella 1 indica due cose. Primo, l’evasione è più elevata per le transazioni tassate alle aliquote superiori, e in particolare all’aliquota ordinaria. Secondo, nei periodi successivi agli aumenti dell’aliquota ordinaria (che è stata portata nel settembre del 2011 dal 20 al 21 per cento e nell’ottobre del 2013 dal 21 al 22 per cento) il compliance gap sulle relative transazioni è tendenzialmente aumentato.

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Questa tendenza è contraria a quella che si evidenzia nello stesso periodo per il gap sulle transazioni con aliquota al 10 per cento, la cui base per ampiezza e tipologia è più confrontabile con quella tassata all’aliquota ordinaria. La differenza di tendenze potrebbe dipendere dal fatto che, a parità di altri fattori, la propensione all’evasione è tendenzialmente diminuita a seguito dell’introduzione, nel 2010, della stretta sulle compensazioni che l’ha resa meno conveniente, ma, per le transazioni ad aliquota ordinaria, l’effetto è stato controbilanciato e superato dalla maggiore propensione all’evasione a seguito dell’aumento dell’aliquota.

Quest’ultima osservazione fa nascere dubbi sul fatto che l’obiettivo di gettito previsto possa essere effettivamente raggiunto con l’attuazione della clausola: se si verificasse un incremento della propensione all’evasione come quello riscontrato tra il 2012 e il 2014, il gettito potrebbe essere inferiore di quasi 3 miliardi rispetto a quello previsto nei documenti di finanza pubblica.

Una nuova aliquota unica

Da queste considerazioni nasce l’idea alternativa di mantenere l’aliquota al 4 per cento e di introdurre una nuova aliquota unica tra quelle attuali del 10 e del 22 per cento. L’aspetto cruciale riguarda ovviamente il suo livello. Se l’obiettivo fosse semplicemente di aumentare l’efficienza dell’Iva, bisognerebbe fissarla a un livello di poco superiore al 10 per cento. Tuttavia, è necessario tenere conto delle esigenze di finanza pubblica. La base imponibile dichiarata oggi tassata al 10 per cento vale circa 230 miliardi, mentre quella tassata al 22 per cento vale circa 315 miliardi. Ne segue che, a comportamenti fiscali invariati, l’aliquota intermedia dovrebbe essere portata a circa il 17 per cento per avere la parità di gettito. Per ottenere un aumento di gettito di 11 miliardi, simile a quello previsto dalla clausola di salvaguardia, sempre a comportamenti fiscali invariati, l’aliquota dovrebbe essere portata al 19 per cento.

Ovviamente, i comportamenti fiscali, e in particolare la propensione all’evasione, potrebbero variare. Tuttavia, in questo caso, la maggior propensione all’evasione delle transazioni tassate con aliquota ridotta potrebbe essere compensata dalla minore propensione a evadere quelle tassate con aliquota ordinaria. Infine, bisogna tenere conto degli aspetti redistributivi: un forte incremento dell’aliquota ridotta andrebbe a colpire anche beni (alcuni cibi, i consumi energetici) molto consumati da famiglie a basso reddito.

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Quali che siano le scelte sulle aliquote, per aumentare l’efficienza nell’amministrazione dell’Iva sarà poi fondamentale che il governo metta l’amministrazione finanziaria in grado di sfruttare l’enorme patrimonio informativo che sarà acquisito con la trasmissione elettronica delle fatture, ed eventualmente di ampliare l’obbligo di trasmissione elettronica dei corrispettivi. Questa mole di informazioni potrebbe consentire di individuare alcune forme di evasione nelle transazioni tra imprese (business-to-business) e quindi, a cascata, in quelle tra imprese e consumatori (business-to-consumer) permettendo, così, un notevole recupero di efficienza e di gettito.

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  1. mi pare che in Italia abbiamo due problemi la povertà figlia della diseguaglianza e l’evasione, aumentare l’aliquota ridotta non fa che peggiorare la prima che è gia aumentata, l’evasione seppur endemica si puo ridurre a livello di organizzazione, controlli e semplificazione fiscale, se si aumenta l’aliquota maggiore con diminuizione dell’Irpef generale si attua anche una redstribuzione per classi ( dipendenti vs autonomi) o si potrebbe aver spazio per aumento reddito di inclusione, questo dovrebbe fare un governo attento alle classi disagiate

  2. serlio

    La clausola di salvaguardia è una delle peggiori eredità lasciateci da un signore molto abile a gestire i propri personali interessi (verrà infatti pagato vita natural durante) autore del peggior massacro fiscale della vita della repubblica, cosa che chiunque sarebbe stato in grado di fare. :L’iva à già troppo alta e quindi alzarla ancora sarebbe un ulteriore incitamento alla evasione e quindi l’ideale sarebbe diminuire la spesa pubblica della quota corrispondete (ma non poteva farlo il genio di cui sopra?) di una percentuale ridicola rispetto al bilancio pubblico.

  3. E se invece che fare una sola aliquota se ne facessero 3 (o anche 4) tassando maggiormente i prodotti di lusso quali gioielli, elicotteri e aerei personali, barche oltre una certa lunghezza, case non acquistate per residenza principale, soggiorni in hotel 5 stelle, SPA, quadri d’autore, ma anche prime case di oltre 150 mq, ecc…? Per queste merci si potrebbe portare l’aliquota anche al 50% e più! E l’evasione sarebbe difficile perchè e comunque facilmente controllabile.

  4. enzo

    Forse è giunto il momento di superare il tabù iva. Sarebbero in primo luogo da riconsiderare le aliquote anche in base ad un principio di equità e, nonostante sia un’ imposta indiretta , cercare di dargli un carattere redistributivo del reddito. Un’aliquota unica “bassa” sui beni di prima necessità , magari rivedendo alcune esenzioni e agevolazioni. Ad esempio sulla bolletta del gas e della luce . Al contrario aumentare l’aliquota sugli altri beni e comunque sui cosiddetti beni di lusso. Oltre all’evasione sull’iva esiste quella sui redditi, , risparmio che l’evasore riversa in parte sui consumi. Altra cosa da riconsiderare l’iva comunitaria e quella sull’e commerce , dove si annidano notevoli spazi di evasione ed elusione.

  5. A mio avviso occorrerebbe fare il contrario: DIVERSIFICARE le aliquote in funzione del valore “sottratto” (all’ambiente, alle comunità, alle generazioni future, ecc…) invece che “aggiunto”. Chi compra la prima casa paga, giustamente, il 4% e chi la seconda il 10%. Ma chi ne compra una terza dovrebbe pagare il 30% e chi ne compra una quarta il 40%. Perché se uno compra tante case tiene alto il prezzo e riduce la possibilità di comprarla a chi non ne ha neppure una.
    Ovviamente per i beni di prima necessità invece l’aliquota dovrebbe scendere ancora se non addirittura azzerarsi.
    Nella stessa logica su una bici l’aliquota potrebbe essere del 5% su un’auto elettrica o su un autobus del 10%, su un’auto a benzina del 20%, su un SUV del 40% su un elicottero del 60%, ecc…

    Credo che l’idea sia chiara.

    PER FAVORE NON CANCELLATE QUESTO COMMENTO. E’ LA SECONDA VOLTA CHE VE LO SCRIVO

  6. Ermes Marana

    In sintesi: aumentare del 7% l’iva sui beni protetti per poterla abbassare del 3 su quelli generici…
    Scritta cosí non suona tanto geniale vero?

    Oltre a questo c’é un errore di fondo: la “propensione all’evasione” in Italia non é direttamente legata al valore dell’aliquota (pensiero forse retaggio di studi su mercati angofoni) ma sulla certezza della pena: anche con l’iva allo 0.5% ci sarebbe evasione in doppia cifra perché qui essere “furbi” é segno di status sociale, e “tanto non succede niente”.

  7. angelo rota

    Prima domanda: iva significa imposta sul valore aggiunto perchè allora la deve pagare solo l’ultimo utente?
    sono d’accordo per un’ unico valore di imposta ad eccezione dei generi di prima necessita’..

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