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Ma così l’Italia diventa un’isola*

Nella Nadef 22 miliardi in più di deficit. Per disinnescare l’aumento dell’Iva e cominciare a rispettare le promesse della maggioranza. Ma la spesa in più arriva a 40 miliardi. E ciò presuppone una rapida crescita del Pil.  Sostenibile? I dubbi dei mercati. E dell’Europa.

Le anticipazioni sulla manovra di bilancio contenute nella Nadef (Nota di aggiornamento al Def) stanno creando un intenso dibattito nel paese e acuito il livello di scontro tra governo italiano e Commissione europea. Quest’ultima, pur riservandosi un giudizio complessivo al momento in cui verrà presentata la legge di bilancio, ha già chiarito che i numeri presentanti nella Nadef rappresentano una deviazione significativa dagli obiettivi pattuiti dall’Italia nel luglio di quest’anno, preludio all’apertura di una procedura di infrazione. Il governo ribatte che il disavanzo è funzionale ad una ripresa dell’economia e che consentirà una più rapida riduzione del rapporto debito su Pil. Chi ha ragione e chi ha torto? E perché mai il deficit previsto dell’Italia nel 2019 non va bene alla Commissione e quelli degli anni passati sì?

I numeri della Nadef

Con la Nadef , il governo propone in sostanza un peggioramento del disavanzo per il 2019 dall’1,2 per cento del Pil ora previsto al 2,4. Si tratterebbe di circa 22 miliardi di deficit addizionale. Con questi soldi il governo intende, in primo luogo, azzerare l’aumento dell’Iva previsto dalla clausole di garanzia (per 12,7 miliardi). In secondo luogo, cominciare a rispettare la lunga lista di promesse che i due partiti di maggioranza hanno fatto durante la campagna elettorale. E dunque reddito di cittadinanza (9 miliardi più 1 per i centri per l’impiego), revisione della legge Fornero (7 miliardi); “flat tax”, cioè l’estensione del regime forfettario alle partite Iva(2 miliardi); indennizzi per i “truffati dalle banche” (1,5 miliardi); rafforzamento forze di polizia (1 miliardo); investimenti addizionali (4 miliardi). È anche prevista una riduzione (dal 24 per cento al 15) dell’imposta sulle società per gli utili reinvestiti, ma questo è almeno in parte compensata dall’abolizione dell’Ace, una facilitazione preesistente che mirava al rafforzamento patrimoniale delle imprese, e dell’Iri, l’imposta sul reddito imprenditoriale.

Considerando altre spese indifferibili, siamo dunque attorno ai 40 miliardi di spesa in più, una cifra ben superiore ai 22 miliardi di deficit addizionale previsti. Sulla dimensione di altre possibili coperture, la Nadef è molto vaga (eccetto per un’indicazione di 4 miliardi di tagli ulteriori ai ministeri); si parla solo vagamente di “revisioni dei regimi agevolativi” delle varie imposte. Ma è evidente che i conti possono quadrare solo se si immagina che a seguito della manovra il Pil cresca in modo sostanziale e dunque generi entrate tributarie addizionali. E difatti la Nadef prevede un incremento del tasso di crescita del PIL reale nel 2019 dello 0,6 per cento, dallo 0,9 ora previsto per il 2019 all’1,5, e un’accelerazione della crescita del Pil nominale, dal 2,7 per cento al 3,1. È credibile questa crescita?

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Molto dipende dai dettagli degli interventi che sono ancora ignoti, ma se non si considerano gli effetti della manovra sui mercati finanziari e sul credito (su cui torno più avanti) la risposta è probabilmente sì. È cioè ragionevole immaginare che a fronte di un disavanzo ulteriore di 1,2 per cento del Pil in un anno, questo possa crescere dello 0,6 in più in quello stesso anno. La domanda vera è sulla qualità e sostenibilità di questa crescita ulteriore. La maggior parte degli interventi previsti hanno un carattere redistributivo, più pensioni e più trasferimenti: maggiori risorse che possono certo sostenere la domanda aggregata, ma difficilmente possono incentivare una crescita del reddito potenziale. Gli interventi che più potrebbero agire su questo fronte (maggiori investimenti pubblici e privati, riduzione strutturali di imposte sulle imprese o sul costo del lavoro) sono marginali nell’impianto della manovra. Ma senza un più alto tasso di crescita strutturale è molto poco credibile che si possa innestare la riduzione del deficit prevista negli anni successivi (2,1 per cento del PIL nel 2020 e 1,8 nel 2021).

I mercati finanziari

Ma il vero problema dello scenario discusso nella Nadef, anche per quello che riguarda il solo 2019, è che non considera gli effetti della manovra stessa sui tassi di interesse e sulla credibilità complessiva del paese. L’inasprimento dello spread sui nostri titoli pubblici, quello che è già avvenuto e quello che ancora potrà seguire alla manovra, non soltanto aumenta gli interessi da pagare sul debito pubblico, ma influenza anche i tassi a cui si finanziano le banche, la loro dotazione di capitale e dunque la loro capacità di finanziare famiglie e imprese. C’è dunque il serio rischio che questi effetti di riduzione del credito e di inasprimento dei tassi di interesse finiscano con il vanificare, in tutto o in parte, gli effetti espansivi della manovra stessa, conducendo anche nel 2019 ad un deficit più alto di quanto previsto. È anche opportuno ricordare che alla fine di ottobre le principali agenzie di rating rivedranno il giudizio sulla sostenibilità del debito pubblico italiano proprio alla luce della manovra. Il paese è già molto vicino al non investment grade, il giudizio secondo quale molti fondi di investimento non possono più investire sui titoli pubblici e le banche non possono più usare i titoli di stato come collaterale per finanziarsi presso la Bce. È probabile che la manovra conduca a un ulteriore declassamento, con ovvi effetti sullo spread e i tassi di interesse.

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La Commissione europea

Da questo punto di vista, cercare a tutti i costi lo scontro con la Commissione è stato un errore. Può pagare sul piano elettorale, ma rischia di essere controproducente rispetto agli obiettivi che lo stesso governo si è dato. Questo non perché la procedura di infrazione di per sé comporti chissà quali sanzioni, ma perché certifica l’isolamento del paese e rende più difficile immaginare che l’Italia possa ricorrere agli strumenti predisposti nell’Unione monetaria per sostenere i paesi membri in caso di attacchi speculativi (cioè ricorso all’Esm e finanziamento del debito tramite le Omt). Questo aumenta ulteriormente la percezione di rischio da parte degli investitori, spingendoli a chiedere tassi di interesse ancora più alti per detenere i titoli del nostro debito pubblico.

Ma perché la Commissione esprime un giudizio così critico sulla manovra di bilancio? Forse che i governi Renzi e Gentiloni non hanno pure fatto manovre in deficit? Si, ma in quei casi la deviazione dal percorso di aggiustamento previsto dalle regole europee è avvenuta sempre come risultato di un confronto serrato con la Commissione. Il governo italiano ha argomentato (sicuramente a ragione nel 2014-16, è più dubbio negli anni successivi) che la situazione economica fosse più critica di quanto stimato dalla Commissione e che quindi il processo di aggiustamento potesse essere solo molto più graduale di quanto previsto dalle regole europee. E in tutti i casi, il peggioramento del bilancio strutturale (cioè il bilancio al netto del ciclo, il principale indicatore su cui si innestano i controlli europei) è sempre rimasto nei limiti degli spazi di tolleranza previsti dagli accordi. Al contrario, il governo prevede ora un peggioramento del bilancio strutturale dello 0,8 per cento nel 2019 e la sua sostanziale invarianza negli anni successivi, ponendosi dunque del tutto al di fuori delle regole europee. Impossibile per la Commissione non reagire.

*Massimo Bordignon è membro dell’European Fiscal Board. Le opinioni espresse nell’articolo sono personali e non impegnano in alcun modo l’istituzione di appartenenza.

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  1. Henri Schmit

    E se il problema istituzionale (dal lato) europeo fosse quello di una Commissione troppo moscia, incoerente ed inefficiente? Tutti sono estremamente preoccupati, dell’azzardo italiano (calcolato), della propria inadeguatezza , dell’incoerenza passata, della reazione dell’elettorato in Italia e per ciascuno nel proprio paese e nell’Unione in genere. La ministra francese degli Affari Europei, equilibrata e politicamente (troppo) corretta, ha detto che non spetta ne a lei ne alla Francia rimproverare all’Italia lo sforamento dei limiti convenuti, perché anche il suo paese per anni ha sforato. Il vero problema non è la percentuale del deficit, ma il bluff (come nel poker) della maggiore crescita, e soprattutto il contenuto misero misero della manovra, senza coraggio sul versante taglio alle spese, demagogica sul versante delle spese nuove, con evidenti obiettivi clientelari-elettorali, invece di interventi strutturali coerenti ed incisivi per favorire la crescita attraverso semplificazioni per le imprese e spese per investimenti pubblici, scuole, ricerca, infrastrutture, digitale, ambiente, energia, territorio, patrimonio culturale, turismo … Invece niente. E la Commissione, arresasi alla propria impotenza e all’impossibilità (non di superare le difficoltà congiunturali ma) di guarire il male italiano, non osa rispondere come dovrebbe, immischiarsi nella definizione delle politiche fiscali dei singoli paesi. È quello il dramma della sovranità, l’UE ritiene che non lo può fare.

  2. Alessandro Z

    Scusate ma com’è possibile da un lato disinnescare l’aumento dell’IVA previsto dalle clausole di garanzia e allo stesso tempo fare più debito?

  3. Carmine Meoli

    Parlare di manovra redistributiva sembra al momento una speranza in mancanza di coniscenza di insieme dell’intero programma . Va ricordato che la “poverta assoluta “statistica o reale comprende in ampia proporzione
    lavoratori dipendenti con piu figli , di sicuro indebitati, che potranno subire tagli alle detrazioni e aumenti nelle rate dei tanti debiti contratti .Alla fine briciole ai bisognosi ,premi agli evasori e ai disonesti .
    Pare chiaro che il fine principale di questa strategia è lo scontro con la Commissione e argomenti per la compagna elettorale di primavera.

  4. Michele

    Per 350 mld di debito pubblico (18% di incremento sul totale) dobbiamo ringraziare gli ultimi governi Letta/Renzi/Gentiloni.
    In cambio di tutta questa spesa cosa hanno ottenuto? Una crescita del PIL mediamente della metà rispetto a quella della UE, una disoccupazione diminuita marginalmente e solo per mezzo di maggior lavoro precario, disuguaglianze aumentate anche grazie a politiche redistributive a favore delle imprese (vedi jobact) le quali per ringraziare hanno aumentato i dividendi, assunto solo precari e ridotto gli investimenti. Malgrado la continua precarizzazione del lavoro la produttività ristagna da decenni. Alla luce di questo disastro incontestabile, ci si vuole accanire nelle stesse politiche economiche? Si vuole continuare, ipocritamente, a chiamare politiche per lo sviluppo quello che in realtà sono politiche redistributive a favore dei più abbienti? Ci si meraviglia del populismo e dell’anti europeismo crescente?

    • Massimo GIANNINI

      Infatti l’autore non considera che con le precedenti manovre, da Monti in poi, il debito e il debito/PIL sono in ogni caso cresciuti e molto. Per il resto i tassi di interesse sono cresciuti in tutto il mondo e in Europa prevalentemente a seguito dell’annuncio di fine del QE da parte della BCE e non dell’annuncio della manovra finanziaria. Che poi i due abbiano coinciso e ora i mercati speculano sull’annuncio della manovra e fine del QE ci sta, ma incide di più la fine del QE.

  5. Savino

    Gli italiani furbetti credevano di fare il gesto dell’ombrello al resto del mondo e alle istituzioni finanziarie e comunitarie, continuando a lavorare in nero con la sicurezza del reddito di cittadinanza e della pensione a 60 anni, ma questa volta la storia finirà molto male per tutti. Cari italiani, la pacchia è finita per davvero.

  6. Henri Scumit

    Mi rendo conto che non interessa probabilmente nessuno ma ribadisco quanto affermato circa una settimana fa: e se il difetto della Commissione fosse l’eccessiva morbidezza nei confronti dell’Italia (e di tutti i paesi più o meno inadempienti , che prediligono politiche fiscali di breve respiro rispetto a politiche strategiche convergenti. Per essere più incisiva, a danno della presunta sovranità, nazionale, la Commissione dovrebbe non solo esprimere pareri sui numeri consuntivi dei piani finanziari nazionali, ma valutare, giudicare, con varie conseguenze possibili, le singole misure. Non sarebbe stato quello il primo compito del ministro delle finanze europee rivendicato fino a pochi mesi fa dall’Italia e promosso anche dal presidente francese fino alla nuova situazione creata con le elezioni tedesche (il rischio di una coalizione con i liberali radicalmente opposti a questi sviluppi) e quelle italiane (con un governo che promuove politiche non solo fiscali divergenti. Mi fermo, intanto non sembra interessare.

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