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Cronache dalla Brexit: battaglia sull’accordo con la Ue

Giorni di fuoco a Londra. Theresa May presenta al Parlamento l’accordo con la Ue sui dettagli della Brexit e la proposta è attaccata da destra e da sinistra. Non manca uno stillicidio di dimissioni ministeriali e di voltafaccia tra i deputati tory.

L’accordo

Un documento di 585 pagine stilato dagli sherpa britannici e della Ue – approvato, tra rancori e lacrime, dal consiglio dei ministri, i cui membri hanno potuto leggerlo per poche ore in camere semi-blindate – contiene i dettagli dei possibili termini per una uscita negoziata del Regno Unito dall’Unione europea. Difficile riassumerlo in pochi punti:

  • Un periodo di transizione, per cui tutto resta come ora fino a dicembre 2020.
  • Dopo questa data, il libero movimento delle persone cessa (chi è nel Regno unito a quella data, e vi rimane per cinque anni, potrà restare).
  • Dopo quella data ci sarà una pratica “semplice e rapida” per permessi di soggiorno e assenza di visti per i turisti.
  • In termini di sicurezza, criminalità e antiterrorismo, rimarrà più o meno tutto invariato, continuerà la cooperazione esistente su estradizioni, arresti internazionali e scambi di informazioni.
  • Promesse di nuovi accordi e negoziati per energia nucleare, ricerca e università, compreso il diritto di accesso a prestiti universitari per studenti.
  • Sul commercio internazionale, insieme all’immigrazione il punto più ostico della trattativa, un regime che rimane in vigore finché non c’è un’alternativa accettata da entrambe le parti, per cui il Regno Unito rimane nell’unione doganale, accetta le regole ambientali, di omologazione dei prodotti e di protezione dei lavoratori decise a Bruxelles.
  • E, forse la goccia che ha fatto traboccarre il vaso, giurisdizione della Corte di giustizia europea in caso di disaccordi.

 

La crisi

E il vaso è traboccato, eccome. Le dimissioni e le lettere formali al segretario del partito per chiedere un voto di fiducia sono fioccate continue: alla fine del duello parlamentare (per ora vocale), due ministri, due viceministri e tre sottosegretari si sono dimessi: Theresa May può semplicemente rimpiazzarli e continuare a governare, ma è difficile che possa continuare a ignorarne l’effetto. La dinamica interna è più oggettiva: se 48 deputati chiedono un voto di fiducia, il segretario è obbligato a organizzarlo (qualcuno dice già lunedì 19 novembre): sembra improbabile che May possa venir sconfitta, ma ora è davvero difficile fare previsioni. Se perdesse la fiducia, i deputati tory selezionerebbero due candidati da sottoporre ai membri del partito per la scelta definitiva.

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Nel frattempo, il difficile tragitto legislativo del trattato continua: dovrà esserci prima un summit europeo, poi il voto in parlamento. Mentre sembra probabile che i governi europei approveranno il testo, viste sia le sostanziali concessioni che Bruxelles ha ottenuto da Londra, sia la posizione – chiaramente a favore della proposta – del premier irlandese, il voto favorevole del parlamento del Regno Unito sembra impossibile. May è senza maggioranza e almeno un’ottantina di tory ha già dichiarato che voterà contro la proposta, mentre il leader del Labour, Jeremy Corbyn, convinto anti-europeo, sembra aver finalmente ceduto alle pressioni della stragrande maggioranza dei deputati laburisti e, pur titubante, allineerà il partito contro il governo. Forse ritiene pure che opporsi a questo accordo potrebbe condurlo al numero 10 di Downing Street.

Il futuro

Per la prima volta da quando è leader, Theresa May considera la possibilità che Brexit non avvenga. Sembrano essere d’accordo con lei Donald Tusk, presidente del Consiglio europeo, e Jeremy Corbyn. Un sondaggio lampo per Sky News riporta che il 54 per cento del pubblico preferisce restare nella Ue e solo il 14 per cento è a favore della proposta May. Il restante 32 per cento è a favore della linea dura di un’uscita senza accordo.

Davvero impossibile predire cosa avverrà: la stragrande maggioranza della leadership intellettuale è contro la Brexit: Confindustria, sindacati, accademici, artisti, medici, dirigenti pubblici. Il Daily Telegraph è del tutto isolato nel suo cocciuto anti-europeismo. Ma se due terzi dei deputati, oltre che quasi tutti i lord, hanno votato al referendum per restare nella Ue, ora, come ipnotizzati da un cobra, si intestardiscono sulla necessità di “ubbidire al popolo”, senza neppur considerare la possibilità di chiedergli se ha cambiato idea. Mi limito perciò a elencare alcuni scenari, non perché li ritenga più probabili di altri, ma per illustrare la gamma di possibilità che il Regno Unito ha davanti a sé.

  • May si dimette, i tory scelgono un leader pro-europeo, che indice elezioni anticipate, promettendo di cancellare la Brexit. Molti elettori laburisti (tra cui il sottoscritto) si turano il naso e votano tory per restare in Europa. Dalle urne esce una forte maggioranza tory che rifiuta Brexit, mentre Corbyn, umiliato, si dimette e viene sostituito da un leader pro-europeo. Come il figliol prodigo, il Regno Unito, riunito in un novello europeismo e dopo un nuovo referendum, rientra contrito nella Ue.
  • Per una serie fortuita di astensioni, voti tattici e cambi di idea all’ultimo minuto, May vince di misura il voto in parlamento il 7 dicembre. Il 29 marzo, il Regno Unito esce dalla Ue, per rimanere a tempo indeterminato nel limbo della pseudo unione doganale prevista dal trattato approvato il 14 novembre. Sconfitti ma non distrutti, come Sauron, i brexitisti duri continuano a complottare in segreto.
  • I tory scelgono un leader radicale, magari la stessa camaleontica May, che utilizza il no del parlamento per uscire dalla Ue senza accordo. Qualche anno di caos, con una decisa svolta autarchica dell’economia, più mele e meno pesche, più Hyundai e Toyota e meno Bmw e Fiat, declino delle università (un professore su sei è europeo) e del turismo, distruzione dell’agricoltura e ridimensionamento del settore manufatturiero. Poi l’economia si adegua e si riaggiusta al nuovo regime. Intanto, tenore di vita più basso per gli anni persi, minor afflusso netto di manodopera specializzata, fine della secolare leadership intellettuale dell’Inghilterra.
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12 commenti

  1. Savino

    Chi vuole sfasciare l’Europa per sola frustrazione alla fine si rompe le corna da solo, a causa della propria ignoranza e pochezza di fronte alla grandezza del progetto di Ventotene. Vale in UK e in Italia.

  2. Henri Schmit

    Le soluzioni sostanziali sono 4: LM, l’accordo di massima difeso dalla May; LH, un hard Brexit senza accordo; LN, un accordo diverso nonostante l’UE abbia dichiarato che non intende riaprire le trattative; RE, revocare l’attivazione dell’articolo 50 per rimanere nell’UE. L’alternativa a monte è fra L e R, già decisa nel discusso referendum del 2016. Solo un nuovo referendum potrebbe rovesciare il verdetto precedente. Solo il Parlamento può decidere se indirlo. Prima spetta al parlamento votare su LM. I contra sono maggioranza (cf. Il Guardian “interattive” di oggi che distingue i gruppi infra-partitici e come si presume che voteranno). Ma potrebbe paradossalmente convenire proprio ai più duri Brexiters (120 tories e 20 labouristi) e ai 10 dell’Ulster di votare a favore di LM per evitare non tanto la caduta del governo quanto nuove elezioni e peggio ancora un secondo referendum; con elezioni rischiano di perdere peso e con il referendum sicuramente perderebbero tutto, se i sondaggi fossero confermati. Ma quale sarebbe il quesito, quale la scelta? Un caso da manuale per studiare le conseguenze assurde di un maggioritarismo cieco ed ignorante, molto di moda. Forse il referendum “consultivo” doveva esigere una maggioranza qualificata, assoluta degli aventi diritto, per rovesciare un consenso pluridecennale al quale nessuno era in grado di opporre un’alternativa certa. La scelta non era fra due soluzioni equivalenti, ma fra una certezza criticabile e un’alternativa indeterminata

  3. Virginio Zaffaroni

    La nostra Europa è piena di difetti ma è la cosa geo–politica più bella inventata dai tempi del Sacro Romano Impero. Teniamocela stretta, cercando di restare comunque amici con la vicina Albione a cui tanto dobbiamo.

  4. Henri Schmit

    Correggo il numero dei Tories Brexiters fornito dalla pagina “interactive” di The Guardian di ieri: sono oltre 130 divisi a metà fra duri e convinti. Ma il punto interessante è la decisione collettiva sul da fare. Avendo interpellato il popolo sovrano sulla scelta zoppa fra Leave e Remain il Parlamento dovrebbe riferire al suo principale anche per la decisione definitiva. Ignorando l’opzione LN rimarrebbero comunque tre soluzioni. Come organizzare correttamente un referendum? Una via razionale sarebbe un alternative vote: chiedere agli elettori di stabilire un ordine decrescente fra le tre possibilità e dichiarare vincitore la soluzione che riceve la maggioranza assoluta delle prime preferenze o la maggioranza relativa delle prime e seconde scelte. Dal 72% nel 2016 la partecipazione salirebbe probabilmente oltre l’80%. Un milione e mezzo di elettori prevalentemente L sono morti, lo stesso numero di giovani prevalentemente R avranno il diritto di voto. Oltre un milione ha cambiato parere a favore del RE che raccoglierebbe secondo gli ultimi sondaggi il 54% di coloro che hanno un’opinione. Se il 30% preferisse un LH, solo un 16% voterebbe LM. Ma poco importa: il RE vincerebbe solo se ottenesse oltre il 50% delle prime preferenze; se no trionferebbe il piano LM, perché tutti i LH voterebbero LM come seconda scelta. Questa previsione condizionerà il posizionamento strategico dei vari protagonisti nel Parlamento che perciò potrebbe approvare l’accordo negoziato da May.

  5. paola

    Ciao Gianni il commento sull ‘ubbidire al popolo (quindi che so al pizzicagnolo all’angolo) in questo momento è tristemente ricorrente in italia. non posso che ricordare le parole del tuo libro. grossomodo “l’ignoranza viene considerata una virtu” . mi domando però quanto – in nome dell’ignoranza – possa/sia sacrificabile da ognuno. un salutone. p.

  6. Lucio

    la brexit e’ stata la piu’ sonora zappata sui piedi fatta da un paese nella storia europea. Pensare di poter sottoporre a referendum un’opzione d’uscita e’ una fesseria colossale dopo oltre 40 anni di appartenenza per altro sancita da analogo referendum sostenuto dai conservatori che oggi sostengono l’uscita. Parte dei conservatori sostiene fortemente un’uscita senza accordo ed e’ quello a cui stanno puntando vedremo se riusciranno ad evitare elezioni anticipate. l’accordo di May e’ un genere di accordo economicamente conveniente per il Regno Unito ma difficilmente digeribile da brexiter duri e puri la cui linea se dovesse passare portera’ invitabilmente a recessione il paese nel breve e medio termine stanti gli ingenti investimenti infrastrutturali che richiederebbe un’uscita dura. Un accordo piu’ favorevole non c’e’ verso di spuntarlo: i negoziatori europei hanno da considerare anche il fatto di non rendere la opt out troppo agevole per non suggerire analoghi comportamenti ad altri membri dell’unione. Difficilissimo momento per l’Inghilterra: non resta che augurargli in bocca al lupo.

  7. enzo

    Mi permetto due osservazioni che c’entrano fino ad un certo punto con l’articolo. La prima: si sta facendo strada l’idea del referendum reversibile o ripetibile. Mi riferisco a brexit, scozia, catalogna. Se un popolo viene chiamato a pronunciarsi ad un referendum è buona regola che sia considerato come definitivo. ve l’immaginate la ripetizione del referendum monarchia/repubblica in italia? oppure che la scozia diventi indipendente e dopo dieci anni si ritorni a votare a favore dell’UK?La seconda: esiste un rischio ulteriore che nasce dalla brexit. I paesi dell’est hanno aspettative diverse dalla ue, i paesi scandinavi anche. I paesi occidentali sono spaccati tra cicale e formiche. voglio dire che dopo le elezioni europee c’è il rischio che si inneschino meccanismi che porteranno a europe a più velocità ed ho l’impressione che l’asse franco-tedesco non combatta più per evitare tutto questo ma si prepari a ritagliare un nucleo omogeneo all’interno della ue.

    • Henri Schmit

      Il popolo se davvero sovrano (presupporrebbe che abbia anche l’iniziativa, a condizioni esigenti di firme, come in Italia per il R abrogativo) non può ovviamente essere legato da quello che ha deciso in precedenza. L’errore sta altrove: è giusto decidere con un verdetto popolare si/no una questione super-fondamentale come l’appartenenza all’UE? Non dovrebbero essere richieste condizioni più stringenti per cambiare lo status quo? Per esempio la maggioranza assoluta degli aventi diritto per far prevalere il Leave? L’alternativa fra Leave e Remain era zoppa, asimmetrica: certezza nel secondo caso, incertezza circa le condizioni del Brexit nel primo. Il fatto che ora il Parlamento (davvero) sovrano si sente legato da un verdetto popolare “consultivo”, casuale nel risultato, non voluto da una maggioranza parlamentare, negoziato da qualcuno che ha votato remain, ora repudiato da una maggioranza degli elettori, sia perché capendo meglio alcuni hanno cambiato idea, sia per effetto del rinnovo generazionale, è paradossale, poco meritorio per i deputati che forse hanno dimenticato che sono eletti per avere una LORO opinione. E con questo non abbiamo detto ancora niente sul merito …. Poveri Britannici, poveri noi; trionfano tutti gli anti-UE, da Farage a Trump, da Putin a Salvini. Ma l’unione franco-tedesca di sta rafforzando, appoggiata da numerosi paesi. L’Italia invece sta con “gli altri”. Sarà difficile ricucire.

      • Carlo

        In UK ci vogliono 2/3 dei voti parlamentari per indire una elezione anticipata, eppure per decidere della Brexit basta una maggioranza semplice! Follia pura!!!

    • Carlo

      Sì, la reazione populista, di pancia, sarebbe questa. Ma è un argomento che razionalmente non regge. Dopo tutto fu con un referendum che UK entrò nella UE! Nessuna legge si dovrebbe poter cambiare perché espressione della volontà popolare, allora? Nemmeno quando la prima campagna era fondata su sonore menzogne? Senza contare che è folle, vedi la mostra Costituzione che lo vieta, un referendum su temi internazionali o fiscali. Ve lo immaginate un referendum per chiedere se si vuole tassazione flat al 5%??

  8. Aldo Mariconda

    Spero in un dietrofront sulla Brexit. Ma a parte questo, resta un problema Europa.Come sostiene Fabbrini, con la globalizzazione EU è stata carente nel gestire la crisi finanziaria, i flussi migratori. gli attacchi terroristici. Vi è poi il disinteresse dei Paesi ex comunisti ad una maggiore integrazione (esteri e commercio, difesa, moneta in primis. L’idea di una EU a 2 velocità non mi pare sbagliata.

  9. Gianni De Fraja

    Grazie a tutti dei commenti. Sulla “zappa sui piedi”, vorrei riferire un’osservazione di Anna Soubry deputata tory a capo degli anti-Brexit. La storia è piena di governi che hanno preso decisioni sbagliate in buona fede; è piena anche di governi che hanno ingannato la popolazione facendio scelte che sapevano dannose, ma che hanno presentato come buone. Ma è la prima volta nella storia che un governo prende una decisione, quella di uscire dalla UE, pur ammettendo pubblicamente che è dannosa per il paese.
    Sui referendum reversibili. Di rado è la stessa decisione. Il mondo cambia. Oggi in UK si sa molto di più sulle conseguenze della Brexit di tre anni fa. E se nel 1974 il divorzio fosse stato abrogato, vuol dire che ancor oggi non si potrebbe divorziare in Italia? E ancora: il Regno Unito aveva votato di restare nella CEE nel 1975. Perché rifarlo?
    E vorrei finire, per agganciarmi alla nota positiva di Virginio, parafrasando il pro-Europeo Winston Churchill: la UE è la peggior forma di coesistenza tra le nazioni europee, escluse tutte le altre.

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