È vero che gli immigrati sfruttano i sistemi di welfare dei paesi di arrivo? Gli stranieri che risiedono in Italia sono mediamente più giovani della popolazione italiana. Ed è più bassa la loro domanda di servizi sanitari, facendo scendere la spesa.
Immigrati e welfare: prendono o lasciano?
Da tempo è in corso un intenso dibattito sugli effetti socio-economici dell’immigrazione, accompagnato da una diffusa percezione che gli immigrati siano un peso perché sfruttano i sistemi di welfare nei paesi di arrivo. In un recente lavoro di ricerca mostriamo che in Italia l’aumento di 1 punto percentuale della quota di cittadini stranieri sulla popolazione totale porta, in media, a una riduzione della spesa sanitaria regionale pro capite di circa 70 euro.
L’Italia si è trasformata in “paese di immigrazione” rapidamente e in tempi abbastanza recenti. All’inizio degli anni Duemila, gli immigrati regolari erano meno del 3 per cento della popolazione totale, mentre nel 2015 rappresentavano oltre l’8 per cento, con una distribuzione non uniforme tra regioni (figura 1).
Figura 1 – Immigrati regolari sulla popolazione regionale (2003, 2015)
Fonte: elaborazioni su dati Istat
Oltre il 90 per cento degli stranieri proviene dai paesi che l’Istat definisce “a forte pressione migratoria” e a basso reddito. Sulla scelta del nostro paese come destinazione potrebbero quindi influire i maggiori benefici e la migliore accessibilità ai servizi assistenziali, sanitari ed educativi rispetto ai paesi di origine (“welfare magnet effect”). Tali fattori potrebbero tradursi in oneri più elevati per la spesa sanitaria nelle regioni che ospitano più immigrati.
L’impatto sulla spesa sanitaria regionale
Nel nostro lavoro di ricerca abbiamo analizzato l’effetto della presenza di immigrati regolari sulla spesa sanitaria pubblica delle regioni italiane durante il periodo 2003-2015.
Dopo aver controllato per i possibili nessi di causalità inversa tra le due variabili e per le imposte regionali destinate al finanziamento della spesa sanitaria, e dopo aver rimosso altri fattori di attrazione per gli immigrati, troviamo che all’aumentare del numero di stranieri residenti sulla popolazione regionale si osserva, in media, una riduzione della spesa sanitaria pro capite. Il risultato è coerente con le stime contenute nel bilancio fiscale dell’immigrazione per la regione Lombardia per il 2016, secondo cui la spesa sanitaria regionale pro capite per gli stranieri era pari a meno di tre quinti di quella complessiva (rispettivamente, 1.053 e 1.807 euro), e con quelle relative al costo dei ricoveri in Emilia Romagna nel 2015, mediamente più basso per i cittadini stranieri rispetto a quelli italiani (rispettivamente, 2.426 e 3.521 euro).
La relazione negativa è confermata quando: i) ci concentriamo sugli immigrati dai paesi a “forte pressione migratoria”; ii) escludiamo potenziali distorsioni dovute alla presenza di rifugiati e richiedenti asilo negli ultimi anni; iii) teniamo conto della crisi economica e delle misure di consolidamento fiscale che hanno riguardato il nostro paese, influenzando anche il settore sanitario.
Conta la struttura demografica
In primo luogo, dai meccanismi che potrebbero spiegare la relazione negativa, abbiamo escluso effetti di spiazzamento verso la spesa sanitaria privata dovuti al possibile congestionamento dei servizi pubblici. Secondo, la relazione negativa tra immigrazione e spesa sanitaria è confermata anche quando si tiene conto del diverso grado di efficienza dei sistemi sanitari regionali, ossia l’effetto non è attribuibile alla concentrazione degli immigrati nelle regioni che offrono servizi sanitari in modo meno costoso. Terzo, abbiamo valutato la presenza di barriere all’entrata, come la lingua, che potrebbero limitare l’accessibilità degli stranieri al sistema sanitario pubblico. A prescindere dall’utilizzo dei mediatori culturali, la spesa sanitaria pro capite diminuisce in tutte le regioni con l’aumento degli immigrati.
Ciò che appare determinante è invece la struttura demografica degli immigrati, che si differenzia notevolmente da quella della popolazione nativa (figura 2).
Figura 2 – Popolazione immigrata e nativa (2003, 2015)
Fonte: elaborazioni su dati Istat
Le stime indicano che, a parità di stranieri sulla popolazione totale, l’effetto negativo sulla spesa sanitaria regionale è attribuibile alla quota di immigrati in età lavorativa (15-64 anni). Sembra quindi all’opera un meccanismo di “selezione positiva”: gli stranieri che risiedono in Italia sono mediamente più giovani della popolazione italiana e sono fonte di una minore domanda di servizi sanitari, determinando un minore impatto sulla spesa.
Le sfide per il futuro
Il cosiddetto “effetto migrante sano” sembra essere più marcato per l’Italia che per gli altri paesi europei. Tuttavia, anche il buono stato di salute dei nostri stranieri potrebbe deteriorarsi nel tempo, a causa dell’esposizione a fattori di rischio come povertà, impiego in occupazioni pericolose, malsane e degradanti e stili di vita poco salutari.
Dato il non trascurabile contributo economico che gli immigrati apportano in Italia, politiche per migliorare il loro accesso ai servizi sanitari potrebbero consentire non solo di favorire l’integrazione socio-economica, ma di affrontare meglio la sfida dell’invecchiamento demografico nel nostro paese. Allo stesso tempo, i risultati della nostra ricerca indicano come sinora l’immigrazione abbia costituito un fattore di contenimento, anziché di aggravio, della spesa sanitaria pubblica.
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Savino
Italiani troppo egoisti e dallo stile di vita sballato, dovuto al fatto che stanno a pensare sempre e solo al danaro.
bruno puricelli
Un qualsiasi discreto scacchista sa che le aperture hanno delle mosse obbligate relativamente alle varianti. Se si anticipa una data mossa, la partita cambia prospettiva. A maggior ragione, nella fase centrale se si è in lieve svantaggio un attacco anticipato porterà alla sconfitta. Cosa c’entra? Voglio dire che l’articolo sottolinea quel tipo di risparmio spesso pubblicizzato per una spesa (anticipata) di cui non se ne sentiva la necessità: “vi offro 3 dentifrici ne pagate 2!”. Significa anticipare una spesa per un prodotto che forse non utilizzerò completamente per vari motivi: mi stufo, lo regalo, lo getto in favore di uno migliore ecc. In sostanza, le spese sanitarie a carico del sistema paese aumentano anche se in misura relativamente inferiore. Purtroppo, resta l’abitudine di evidenziare l’aspetto più conforme al mainstream buonista pro immigrati non accorgendosi che, attualmente, si ottiene un effetto contrario in molti.
Oggi, l’Italia non può permettersi il lusso di un’accoglienza irregolare ed è utopistico prevedere un rimedio in tempi stretti. PS< non solo per questioni economiche, la delinquenza aggrava il tutto!
FABIO
Sarò strano io, ma l’esempio dei dentifrici non ha alcun senso. Se diminuisce la spesa procapite vuol dire che se prima un dentifricio lo pagavo 1 euro ora lo pago 80 centesimi il che non implica che io debba necessariamente consumare 1.2 unità di dentifricio (procapite) pagando 1 euro quando in realtà avevo bisogno di una sola unità. Ciò è avallato dal fatto che si parla di stranieri regolari (i quali hanno probabilmente un’occupazione e dunque pagano le tasse) e che dunque è meno probabile che pesino di più sulle spalle degli Italiani. Stesso discorso per la delinquenza, la quale comunque è generalmente un effetto della correlazione con la condizione economica più che una questione di etnia.
Giampiero
Domanda “È vero che gli immigrati sfruttano i sistemi di welfare dei paesi di arrivo?” In primo luogo la sanità è una parte del Welfare. Poi occorre considerare che negli ultimi 10 anni, dal 1°gennaio 2008 al dicembre 2018, sono sbarcati più di 800.000 migranti. I costi esclusivamente sanitari, solo al 2016, sono stati pari a 4 miliardi di euro( fonte rapporto realizzato da Oecd Expert Group on Migration) mentre, sempre nel 2016, gli immigrati inseriti nei Servizi di protezione per richiedenti asilo e rifugiati (Sprar) hanno usufruito di quasi 53 mila prestazioni assistenziali.Per voi i migranti sono tutti giovani, indipendenti e “da lavoro” cioè non esiste l’onere dell’accoglienza?
Davide
Io mi chiedo con che coraggio pubblichiate certi titoli.
Spesa pro capite mediamente minore non significa di certo “meno spesa sanitaria”, se aumenta il numero di teste.
Ormai siamo alle fake news.
Peraltro sarebbe interessante, a questo punto, confrontare la spesa sanitaria pubblica pro capite a parità di età, rispetto agli italiani. Magari al netto dei ticket.
Vorrei chiedervi, inoltre, come avete gestito la correlazione tra le variabili esplicative. Ad occhio, come minimo la % di immigrati e l’aspettativa di vita hanno un andamento costantemente crescente nel tempo, e quindi sono correlate. Idem la quota di popolazione anziana (immagino componente più importante al numeratore in “depratio”), dato il generale invecchiamento della popolazione.
Oppure la correlazione tra quota di immigrati e pil pro capite, dato che gli immigrati sono proporzionalmente più numerosi al nord, e quindi nelle regioni con pil pro capite maggiore.
La differente età, che indicate come principale spiegazione del fenomeno, non dovrebbe essere già spiegata dalla variabile “depratio”?
Circa il congestionamento, non avete considerato che l’italiano potrebbe semplicemente rinunciare.
Infine, faccio notare che quando si fanno considerazioni sull’erogazione di servizi sanitari agli immigrati si omette sempre un piccolo particolare: le prestazioni sanitarie erogate non sono frutto solo della spesa attuale, ma di decenni di investimenti accumulati, pagati evidentemente da decenni di imposte precedenti.
Flavio
Ma avete costruito anche delle correlazioni con il reddito degli immigrati? Tendenzialmente, essendo i loro salari inferiori ai livelli degli italiani, contribuiscono in misura minore al finanziamento del sistema sanitario nazionale. Mi viene in mente in particolare l’addizionale regionale all’Irpef.
Md Mohamed Mahmud
Sorpresa: se aggiungi un ulteriore costo, a prescindere da come si classifichi rispetto ad altre medie, la spesa totale aumenta. Non posso che essere d’accordo con tutti i commenti negativi qui espressi riguardo all’articolo. Non si vieta di certo a lavoratori specializzati, siano questi la star Nigeriana o il cardiochirurgo Sud Africano di risiedere regolarmente in Italia, penso nessuno lo proponga. Chi viene da disoccupato ha un incredibile costo, non solo sanitario, che diificilmente riuscirà a ripagare nel corso della sua vita contributiva nel nostro Paese. Basti pensare che quasi tutti i figli di queste persone, che un giorno dovrebbero pagarci le persone, intanto saranno a carico del Ministero dell’Istruzione, delle politiche sociali locali, dei servizi indivisibili nazionali…
Davidino
Oddio si copia incolla il ragionamento di Boeri sulle pensioni. Anche gli immigrati invecchiano, come tutti, quindi anche loro andranno ad ”ingolfare” la spesa sanitaria, quindi il presunto guadagno nel lungo termine non esiste.
Risparmiatevi pure l’elemento ideologico del ”paese di immigrazione”. L’Italia appartiene agli italiani, punto. Non è un paese di immigrazione, non lo sarà mai, gli italiani vogliono mantenere la propria identità etnica e culturale. Pew Research Center dimostra che il 71% degli italiani vuole una riduzione significativa dell’immigrazione, se non addirittura la chiusura delle frontiere. Il vostro modello non lo vogliono.
Davide
Aggiungerei un’altra cosa: questa continua ed ottusa insistenza, ormai anche in palese malefede nell’esporre i dati oggettivi, sta avendo anche delle conseguenze sgradevoli come reazione.
Leggete l’articolo di Soros sul Guardian, che avverte come la UE si stia sgretolando. Se si sgretola veramente, si perderanno anche tutte le cose positive, che sono molte.
Einaudi ammoniva di “licenziare i padreterni” che stavano sbagliando molte cose.
Non hanno capito; erano troppo pieni di sè, troppo convinti di essere nel giusto. E’ andata come sappiamo.
Secondo me stiamo seguendo lo stesso schema. Neanche la Brexit è stata sufficiente. Questa irragionevole insistenza sta facendo arrabbiare (a ragione) troppo troppa gente, e quando la massa si arrabbia rischia di diventare poco ragionevole.
PS: spero di ottenere risposta alle mie domande più tecniche.
Se continuiamo così, mi tocca citare Taleb: “The reason social science calls itself a “science” is because of statistics. And their statistics are practically BS everywhere. I mean, really, everywhere.”
Max
L’utilizzo della misura della spesa sanitaria procapite è utile per capire se i cittadini stranieri, a parità di condizioni, consumano in media più servizi sanitari di quelli italiani. Più complesso è stabilire
costi e benefici di aprirsi/chiudersi all’immigrazione. E’ vero che la spesa sanitaria aumenta all’aumentare della popolazione immigrata, così come aumenterebbe se aumentasse il numero di italiani (ovvero per l’effetto di scala), ma è anche vero che aumenteranno i redditi prodotti ed i contributi pagati dai lavoratori stranieri (come aumenterebbero se lavorassero gli italiani).
L’argomentazione che l’effetto positivo sui conti (in attivo) si ha solo nel breve periodo, mentre nel lungo periodo l’effetto sarebbe negativo perché gli immigrati invecchiano e consumano più servizi sanitari, è anche fallace, perché nel lungo periodo gli immigrati faranno figli, in media di più degli “italiani” (e se della seconda generazione molti saranno proprio italiani), che lavoreranno e pagheranno i contributi. Quindi nulla esclude che il saldo possa essere più che positivo anche nel lungo periodo (si veda la situazione del Giappone). Giusto gestire l’immigrazione, ma non conviene a nessuno azzerarla, anche solo quella economica.
Mi sembra più che chiaro che al momento gli elettori siano divisi tra “tifosi” per e “tifosi” contro l’immigrazione, ed il tifo è irrazionale. Tuttavia, su materie che hanno implicazioni economiche (es. Brexit) sarebbe meglio tifare di meno e ragionare di più
Alelubo
L’unico commento dettagliato, sensato e super partes.
Giampiero
“ma è anche vero che aumenteranno i redditi prodotti ed i contributi pagati dai lavoratori stranieri (come aumenterebbero se lavorassero gli italiani)”.Questa affermazione è assolutamente teorica con un tasso reale di disoccupazione che tra le nuove fasce viaggia in Italia al 35%.
Max
Esatto….quindi visto che gli arrivi sono stati quasi azzerati forse sarebbe il caso di iniziare ad occuparsi di disoccupazione e crescita, cosa dice? O ci aspettiamo che la riduzione degli arrivi dei barconi stimoli la crescita e riduca quel 35% di disoccupazione che cita (prevalentemente al Sud ed in buona parte intellettuale)? Il Tasso di Fecondità Totale in Italia è di 1.34 figli per donna, uno dei più bassi al mondo, se la disoccupazione giovanile e’ al 35% come dice lei, forse c’e’ qualcosa che non va nella nostra economia? Cosa propone per ridurre la disoccupazione, ridurre la popolazione, fino a zero figli per donna? Perché altri Paesi hanno fecondità più alta (ovvero più popolazione) e meno disoccupazione? Che sia forse una priorità mettere in campo politiche economiche che promuovano la crescita? O no?
Luciano Dorigotti
Ma non avete dimenticato il parametro fondamentale e di maggior peso?Intendo la fascia di età.
Il ricorso alle prestazioni sanitarie aumenta con l’eta e la età media degli emigrati è certamente più bassa di quella media della popolazione italiana.
Andrea
C’è un solo modo per capire se un immigrato è un peso o meno per il sistema sanitario, in media: (somma di tasse e contributi versati da tutti gli immigrati regolari) MENO (spese pubbliche, incluse quelle sanitarie, per tutti gli immigrati, inclusi quelli irregolari). Arrivati a questa somma si divide per il numero di immigrati, inclusi quelli irregolari, e si stima l’impatto, positivo o negativo. È evidente il motivo per cui questo studio non lo fa: per poter dire che la spesa *media* è più bassa. Ma la spesa media non c’entra nulla con l’obiezione che l’immigrazione aumenta i costi del SSN: è la somma che fa il totale, come diceva Totò. Così avete dimostrato solo due cose che sapevamo già tutti: i giovani usano meno il SSN degli anziani e gli immigrati sono in larga parte giovani (e quindi migranti economici, non famiglie). E ci voleva uno studio per arrivarci?