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Regolarizzare il lavoro nero fa bene al fisco*

La regolarizzazione dei lavoratori stranieri può contribuire ad aumentare le entrate tributarie, Iva compresa. Ma i benefici maggiori si avrebbero se il provvedimento riguardasse tutti i settori e comprendesse anche gli italiani che lavorano in nero.

Crescita Iva e lavoro irregolare

L’emergenza sanitaria Covid-19 ha accesso i riflettori sull’importanza della regolarizzazione dei cittadini stranieri che lavorano in Italia, con effetti sul mercato del lavoro che sono già stati discussi in precedenti contributi. Ora il decreto legge “Rilancio” ha sì affrontato la questione, ma ha limitato la regolarizzazione ai lavoratori impiegati solo in alcuni settori: agricoltura, allevamento, assistenza familiare, lavoro domestico. La scelta non è giustificata da motivazioni economiche e riduce i possibili effetti positivi in termini di entrate pubbliche.

In un recente lavoro, abbiamo studiato la relazione tra Iva dichiarata (dati ministero dell’Economia e delle Finanze sull’Iva di competenza) e tasso di irregolarità (dati Istat) in Italia, che include i lavoratori irregolari sia italiani sia stranieri. I risultati delle stime suggeriscono che, su base nazionale, una variazione positiva di un punto percentuale del tasso di irregolarità produce un effetto di segno opposto, che varia tra -1,1 e -1,5 per cento, in termini di gettito Iva.

Sono almeno tre le ragioni economiche che possono spiegare il legame inverso tra lavoro irregolare e crescita dell’Iva. Primo, le imprese che usano lavoro irregolare sono propense a non dichiarare tutta l’Iva sulle vendite per evitare eventuali controlli fiscali volti ad accertare discrepanze tra costi e ricavi. Secondo, le imprese con lavoratori irregolari sono generalmente più piccole e meno produttive di quelle che non ricorrono al lavoro irregolare, rimangono perciò nell’ombra più facilmente, con conseguenze negative sul volume di attività totale e sulla base imponibile Iva. Terzo, le imprese con dipendenti irregolari così come i lavoratori autonomi irregolari utilizzano in larga misura denaro contante e tendono a effettuare acquisti senza fatture, riducendo il meccanismo di tracciamento delle operazioni business-to-business in quanto non hanno incentivi a dedurre i costi di produzione ai fini della dichiarazione Iva.

Quanto vale la regolarizzazione in termini di Iva

Proviamo a quantificare, seppur in modo approssimato poiché non disponiamo di dati aggiornati, i possibili effetti sull’Iva della regolarizzazione dei cittadini stranieri lavoratori irregolari in tutti i settori produttivi. Abbiamo calcolato la riduzione del tasso di irregolarità usando il dato del 2017 (ultimo anno disponibile): in Italia, era pari al 13,1 per cento per un totale di circa 3,3 milioni lavoratori irregolari. Poiché non disponiamo di dati su quelli stranieri, adottiamo l’ipotesi proposta in altri studi e assumiamo che rappresentino il 10 per cento del totale, pari a circa 330 mila lavoratori irregolari. Di conseguenza, la regolarizzazione di tutti i lavoratori stranieri irregolari implicherebbe una riduzione del tasso di irregolarità in Italia di circa l’1,3 per cento.

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Nel 2018, ultimo dato a disposizione di fonte Mef, l’Iva dichiarata di competenza era pari a circa 106.780 milioni di euro. Calcolando l’elasticità stimata nel nostro modello, con la riduzione dell’1,3 per cento del tasso di irregolarità, otteniamo un incremento dell’Iva dichiarata tra 1,2 e 2 miliardi di euro. La differenza è dovuta all’applicazione della relazione quadratica (limite inferiore) o della relazione lineare (limite superiore) nel nostro modello.

È tuttavia importante sottolineare che i nostri calcoli si riferiscono a una regolarizzazione generale, senza i limiti settoriali previsti nel Dl “Rilancio”. Infatti, i lavoratori irregolari impiegati nei settori indicati dal decreto rappresentano circa il 50 per cento del totale del lavoro irregolare in Italia, senza possibilità di distinguere tra italiani e stranieri. Di conseguenza, gli effetti positivi in termini di Iva che ne risulteranno saranno inferiori a quelli da noi stimati.

Tre ulteriori aspetti meritano particolare attenzione. Primo, la variazione da noi calcolata si riferisce all’Iva di competenza, che non corrisponde necessariamente a quella che sarà versata nelle casse dello stato: ad esempio, per i mancati versamenti. Secondo, l’emersione di base imponibile Iva e, quindi, di Iva dichiarata a seguito della regolarizzazione consentirebbe di aumentare anche le imposte dirette: ad esempio, per le fatturazioni di ricavi prima non dichiarati. Terzo, effetti maggiori si potrebbero avere se si favorisse anche la regolarizzazione dei cittadini italiani che lavorano in nero.

Cosa accade a livello regionale

La relazione tra lavoro irregolare e Iva assume la forma di una U-inversa, con effetti negativi sul tasso di crescita Iva prima decrescenti e poi crescenti. Gli effetti negativi maggiori si registrano per livelli più alti di irregolarità. Ad esempio, al Sud dove il tasso di irregolarità Istat è pari a circa il 17 per cento (rispetto al 10 per cento del Centro-Nord), si osserva una variazione positiva dell’Iva dichiarata superiore al 2 per cento a seguito di una riduzione del lavoro irregolare di un punto percentuale. Dalle nostre analisi emerge anche come gli effetti maggiori si abbiano nel settore dei servizi privati, dove una riduzione del tasso di irregolarità dell’1 per cento consentirebbe un incremento dell’Iva di circa l’1,7 per cento.

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In figura 1, riportiamo la distribuzione regionale della variazione dell’Iva dichiarata per effetto della riduzione del tasso di irregolarità dovuta alla regolarizzazione dei lavoratori stranieri (valori maggiori sono caratterizzati da una colorazione più scura). Abbiamo ipotizzato, per semplicità, che la riduzione del numero dei lavoratori irregolari stranieri si distribuisca nelle regioni italiane in modo da riflettere il loro peso in una data regione sul totale nazionale. Questo implica una riduzione più marcata del numero degli stranieri irregolari laddove la loro presenza è maggiore.

Figura 1 – Variazione Iva dovuta alla riduzione del tasso di irregolarità dopo la regolarizzazione

Applicando l’elasticità stimata nella relazione quadratica del nostro modello, è interessante osservare come le maggiori variazioni dell’Iva si registrano nelle regioni del Sud, dove il tasso di irregolarità è più alto rispetto al resto d’Italia. Per effetto della regolarizzazione, l’Iva dichiarata nelle regioni meridionali potrebbe crescere di circa 3 punti percentuali.

Regolarizzare i cittadini stranieri irregolari, insieme alla riduzione del lavoro nero degli italiani, consentirebbe di avere maggiori entrate pubbliche, utili in questo periodo d’emergenza. Tuttavia, limitare la regolarizzazione a determinati settori significa ridurre gli effetti positivi sulle entrate fiscali.

* Le opinioni espresse dagli autori sono esclusivamente personali e non coinvolgono le istituzioni per cui lavorano.

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  1. umberto

    Impossibile regolarizzare una badante albanese o ucraina o che arriva da un paese extracomunitario perchè :
    1) fotosegnalazione…e quando mai se è arrivata clandestina ???
    2) autodenuncia all’arrivo…e quando mai…???
    3) documento di un ente pubblico…una clandestina..???
    Mi sembrano regole demenziali

  2. Giuseppe Moncada

    Proprio stamani con altri due amici, uno ex deputato e sindacalista , l’altro, come me pensonato della P.A, parlando della situaziione in Sicilia si osservava che il lavoro nero è diffusissimo sia a livello di aziende che nei lavori privati. Ed infatti , un artigiano bravo, prorietario di una azienda per fare infissi, su quattro operai che aveva tre erano in nero. I tre in nero lo avevano lasciato, causa Coronavirus, prendevano il reddito di cittadinaza. Per cui aveva difficoltà ad prendere altri lavori,La considerazione che facevamo era, fino a quando non si farà uno sforzo serio per eliminare questa grossissima piaga, sopratutto del meridione, sarà difficile che potremo sollevarci dal baratro in cui stiamo avviandoci. Condivido in pieno il prezioso scritto dei due autori.

  3. Mahmoud

    Regolarizzare il lavoro nero fa bene al fisco, regolarizzare lavoratori stranieri fa male ai livelli salariali ed ai disoccupati comunitari.

  4. Fabrizio Razzo

    Pur apprezzando lo sforzo dottrinale mi pare il solito calcolo da tavolino senza contatto con la realtà. Anche acquisendo quanto fornito dai commenti precedenti, dall’approfondimento di Alberto Brambilla su Itinerari Previdenziali, al quale potete riferirvi per i dettagli statistici, sui dati forniti dall’INPS, risulta che i rapporti di lavoro degli immigrati sono alquanto mobili e di breve durata: dalla passata sanatoria l’INPS ha registrato tra il 2012 e il 2013 un aumento di circa 100mila iscritti che sono rimasti tali esattamente il tempo della durata delle istruttorie presso gli sportelli unici dell’immigrazione, in grande prevalenza maschi, puntualmente usciti dal fondo in questione nell’anno successivo.
    Decine di interventi della guardia di finanza hanno documentato la presenza nel territorio di organizzazioni di commercialisti, avvocati, e intermediari italiani e stranieri finalizzate alla presentazione e alla gestione delle pratiche a pagamento, simulando i rapporti di lavoro anche per favorire nuovi ingressi di persone dai Paesi di origine. Buona parte degli “imprenditori “ erano stranieri che favorivano così la regolarizzazione di parenti e conoscenti. Tornando subito dopo fuori regola. Ecco uno dei molteplici effetti negativi della nuova sanatoria.

  5. silvano

    Mi sembra che continui la confusione sul termine regolarizzazione ; se si riferisce al rapporto di lavoro è sicuramente una battaglia sacrosanta ed è ovvio che darebbe un incremento del gettito fiscale ( non solo IVA ma anche IRPEF e contributi social). Se invece si intende sanatoria per coloro che sono in Italia in maniera irregolare mi sembra un bluff visto che è ben noto che gli immigrati che lavorano nei campi agricoli soprattutto del sud son in larga parte regolari. D’altra parte chi li assume già fin d’ora protrebbe farlo con contratti regolari ma evidentemente non ha interesse a farlo. Ed inoltre con la vasta disoccupazione che c’è in quelle aree non avrebbero difficoltà ad assumere personale italiano.

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