Nel primo trimestre 2019 è finita la recessione e così la crescita 2019 può essere rivista un po’ al rialzo. A patto che il governo non complichi tutto con una nuova raffica di promesse inattuabili.
La mini recessione è finita…
Nei primi mesi del 2019 la mini recessione del secondo semestre 2018 è finita. Come indicato dalle stime preliminari dall’Istat, il prodotto interno lordo – depurato dalle componenti stagionali e dall’inflazione – è cresciuto dello 0,2 per cento nel primo trimestre 2019 rispetto al quarto trimestre 2018. Il dato annuale mostra un’economia in sostanziale stagnazione (un magro +0,1 per cento in più rispetto al primo trimestre 2018), a causa del deludente andamento del Pil trimestrale nel corso del 2018, andamento culminato nei dati negativi (rispettivamente per -0,2 e -0,1 per cento) del terzo e quarto trimestre 2018.
Anche se è giusto registrare con sollievo il dato positivo dell’avvio del 2019, è presto per dire se l’economia italiana sia davvero in ripresa. Per varie ragioni, una delle quali banale: una rondine non fa primavera e bisogna aspettare cosa accadrà nei prossimi trimestri. In secondo luogo, così come un “meno zero virgola” – per quanto ripetuto per due trimestri – non era sufficiente per dichiarare che l’economia italiana fosse di nuovo precipitata in una condizione di crisi permanente, grave come nel 2008-09 (recessione post Lehman) oppure nel 2011-12 (recessione da crisi dell’euro), anche un +0,2 è poco per suonare la fanfara della ripresa. Per ora, come disse il ministro Tria qualche mese fa, si può dire – come fa prudentemente l’Istat nel suo comunicato – che l’economia italiana negli ultimi dodici mesi è stata in stagnazione. Il ristagno dell’ultimo anno ha interrotto la ripresa sperimentata nei tre anni (dodici trimestri consecutivi) compresi tra il secondo trimestre 2015 e il secondo trimestre 2018. A sua volta, come si vede nel grafico, la ripresa era stata preceduta da una (lunga) stagnazione di sette trimestri, dal secondo trimestre 2013 alla fine del 2014.
…mentre l’Europa continua a crescere
Nel frattempo, nel corso del 2018, l’Europa ha continuato a crescere, accelerando nel primo trimestre dell’anno. Lo fa soprattutto la parte dell’Europa più rilevante per noi, cioè l’Eurozona, il cui Pil nel primo trimestre 2019 è stato stimato da Eurostat (battendo le attese) in aumento dello 0,4 per cento sul trimestre precedente e dell’1,2 per cento rispetto allo stesso trimestre dell’anno precedente. Lo fanno in particolare due dei paesi più importanti dell’euro zona, cioè Francia e Spagna, il cui prodotto interno lordo è in aumento sul trimestre precedente dello 0,3 e dello 0,7 per cento (corrispondente a dati annuali del +1,0 e +2,4 per cento, rispettivamente). Manca ancora il dato dell’economia tedesca che sarà diffuso solo nei prossimi giorni ma che potrebbe essere simile o lievemente peggiore al dato registrato per l’Italia (tra 0 e +0,1 per cento sul trimestre, +0,3-0,4 su base annua). Nel complesso, quando nei mesi scorsi i partiti della maggioranza gialloverde e il presidente del Consiglio Giuseppe Conte hanno usato espressioni come “l’Italia non cresce perché è l’Europa che non cresce” non dicevano il vero. In questo ultimo anno l’Europa – seppure in rallentamento rispetto alla dinamica di fine 2017 – ha continuato a crescere. È l’economia italiana che ha perso vigore fino a fermarsi.
Una crescita 2019 che rimarrà dello zero virgola
Con i dati a disposizione si può fare qualche congettura su quello che accadrà alla crescita 2019. Il governo ha prudentemente riportato un +0,2 per cento di crescita “programmatica” nel Def 2019. Il buon inizio del 2019 – lievemente migliore delle attese – suggerisce che la crescita 2019 potrebbe essere rivista al rialzo e collocata in una forchetta tra lo 0,3 e lo 0,6 per cento. Un +0,4 su base annua (cioè su tutto il 2019 rispetto al 2018) verrebbe fuori da una sequenza di +0,2 per cento trimestrali confermati per ognuno degli altri tre trimestri del 2019. Un +0,6 per cento sarebbe il risultato di una crescita trimestrale del +0.3 per cento in ognuno dei trimestri dell’anno in corso (+0,3 è stata la media della crescita trimestrale durante la ripresa 2015-18). Naturalmente potrebbe anche darsi il caso che il +0,2 del primo trimestre non sia sostenibile: con una sequenza di +0,1 nel secondo, terzo e quarto trimestre la crescita annua 2019 si fermerebbe al +0,3 per cento.
Sul fronte dei consumi si può contabilizzare l’entrata a regime del reddito di cittadinanza che dovrebbe contribuire a un piccolo rilancio dei consumi. Mentre l’effetto di quota 100 rimane controverso e difficile da calcolare perché il suo effetto espansivo dipende da cosa facevano e quale reddito percepivano le persone che andranno in pensione e dal fatto che – se occupati – vengano rimpiazzati o no e con quale stipendio. Sul fronte della domanda estera, il ritrovato vigore dell’Europa si associa a una prosecuzione della crescita americana nel produrre uno scenario più roseo per le nostre esportazioni. A questo punto, l’unica cosa che serve davvero è che la politica non complichi di nuovo tutto con una nuova sequenza di promesse sconsiderate che spaventerebbero gli investitori e ucciderebbero la ripresa non ancora nata prima ancora che arrivi davvero nella culla.
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Carlo
L’Istat segnala che “dal lato della domanda, vi è un contributo negativo della componente nazionale (al lordo delle scorte)” e ciò è preoccupante per il 2019 perché nel primo trimestre la politica fiscale intesa sul late entrate è stata positiva. Mi riferisco anzitutto alla flat tax: sono aumentati i lavoratori indipendenti esclusi dalle ritenute di acconto e ciò significa che costoro hanno avuto a disposizione un reddito maggiore (vedasi la diminuzione del 13 % delle ritenute lavoratori autonomi per il mese di febbraio, mese di incasso delle ritenute di gennaio 2019) oppure, se non hanno abbassato i prezzi ai clienti, tali introiti possono essere interamente spesi perché non devono più versare l’IVA.
Poi con la pace fiscale, coloro che avevano debiti, avranno sicuramente aspettato a pagare le cartelle e quindi destinato maggiore risorse ai consumi, ma ciò nel prosieguo del 2019 avrà l’effetto opposto perché per adempiere dovranno mettere mano al portafogli e ridurre i consumi. In particolare ciò sarà più rilevante per i c.d. evasori di sopravvivenza, cioè coloro che esercitano un’attività antieconomica se dovessero pagare le tasse (una ricerca interessante sarebbe quella di valutare che effetto hanno le entrate da condono sui consumi ed investimenti, in particolare valutare se hanno natura reddituale oppure patrimoniale in quanto, stante la decennale evasione, il pagamento con periodicità ultrannuale va ad incidere sull’accumulo del capitale da parte degli evasori).
Henri Schmit
Ottima precisazione! Speriamo che dopo le correzioni dovute agli effetti una tantum della ‘mini-flat-tax’ e della ‘pace fiscale’ rimanga qualche effetto durevole. Da osservatore attento ma non esperto ne dubito. Anche se andasse meglio del temuto, quello che conta è il differenziale con gli altri. La politica fiscale è comunque sbagliata, perché congiunturale – finta strutturale, regressiva e divergente (dal resto dell’eurozona). La colpa non è solo di coloro che la stanno attuando, ma anche di coloro che hanno permesso che siano questi a governare e che peraltro li hanno preceduti con politiche a volte altrettanto demagogiche di cui ora e negli anni a venire pagheremo il prezzo. Il verdetto delle europee sarà anche un giudizio sulla ripartizione delle colpe, pur essendo il giudice delle urne poco esperto e facilmente influenzabile. Mi domando se l’aumento dell’inflazione in Germania non possa essere il primo segnale della fine di un ciclo di denaro a basso prezzo.
Massimo GIANNINI
Il dato del primo trimestre 2019 dimostra solo che tutti i discorsi fatti da molti economisti e giornalisti riguardo ai dati del secondo semestre 2018 non avevano alcun fondamento né giustificazioni economiche valide. Insomma erano pura campagna antigovernativa.
Francesco Daveri
Oppure che è bastato smetterla con gli annunci incredibili di settembre-ottobre 2018 e con le minacce di uscire dell’euro del maggio 2018. Approvando una legge di bilancio “alla Tria”, con il deficit al 2 per cento e meno squilibrata, ha ridotto i danni fatti in precedenza dagli ideologi del sovranismo e dagli apologeti dell’assurdo