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Verso il cambio della guardia a capo della Bce

In una delle ultime riunioni al vertice della Bce, Draghi (che lascerà la guida a Lagarde a fine ottobre) ha ammesso, senza celare insoddisfazione, di aver mancato l’obiettivo di un’inflazione appena sotto il 2 per cento. Per il resto, ha tenuto la barra diritta in mezzo alla tempesta.

Il Comitato direttivo della Banca centrale europea ha tenuto la sua ultima riunione di luglio che è stata anche una delle ultime sotto la presidenza di Mario Draghi. I tassi sono rimasti invariati e anche per quello che riguarda la forward guidance è rimasto inalterato l’orizzonte entro il quale non si prevedono aumenti dei tassi, vale a dire la prima metà dell’anno 2020 o anche oltre, nel caso in cui l’obiettivo di un’inflazione vicina al 2 per cento non fosse raggiunto. Anche per quello che riguarda il programma di acquisto dei titoli non ci sono state novità rispetto all’ultima riunione del Comitato direttivo. Ma sarebbe sbagliato dire che dalla conferenza stampa non sia emerso niente di interessante.

L’obiettivo di inflazione

Mai prima di oggi Draghi era sembrato pronto ad ammettere che la Bce non è riuscita a raggiungere il suo obiettivo del tasso di inflazione. “We don’t like it” ha detto ripetutamente Draghi. Anche le previsioni sul tasso di inflazione non sono incoraggianti, malgrado i segnali positivi che vengono dai salari. La convergenza verso l’obiettivo di un tasso appena sotto il 2 per cento deve essere spostata ancora nel tempo e Draghi ha espresso chiaramente la sua insoddisfazione a riguardo. Un altro segnale di novità è stata anche la sottolineatura che la determinazione a raggiungere l’obiettivo desiderato di inflazione è simmetrica, cioè che gli scostamenti verso il basso non sono meno rilevanti di quelli verso l’alto. La conseguenza è stata quella di ribadire che la Bce è disposta ad usare tutti gli strumenti a sua disposizione perché il tasso di inflazione converga in modo sostenuto verso il suo obiettivo. Draghi ha anche elencato alcuni di tali strumenti: un rafforzamento della forward guidance sui tassi, un sistema di remunerazione delle riserve delle banche presso la Bce (e quindi, par di capire, tassi ancor più negativi con le possibili conseguenze avverse sui bilanci delle banche) e persino il lancio di un nuovo programma di acquisti di titoli. Non è mancato il solito richiamo alla necessità di altre misure, come le politiche fiscali che devono essere più espansive nei paesi con i conti in ordine. La Bce non può essere l’unico giocatore in campo: con un’attiva politica fiscale, la politica monetaria può agire più in fretta e con minori effetti indesiderati.

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Aspettando Lagarde

Visto che Draghi resterà in carica fino alla fine di ottobre, questi annunci possono sembrare irrealizzabili sotto la sua presidenza, anche perché Draghi ha dovuto ammettere che sulle misure proposte c’è stato “un ampio consenso”, vale a dire che non c’è stata unanimità. Ma è possibile, persino probabile, che Draghi abbia già ottenuto il consenso del futuro presidente della Bce, Christine Lagarde. Quindi è giusto prendere seriamente le sue parole odierne. Infine, una considerazione su questi otto anni di presidenza Draghi. “Whatever it takes” è una frase che resterà nella storia. Senza di essa, è probabile che oggi non ci sarebbe l’euro o, quantomeno, che la zona euro non sarebbe quella che è. Draghi ha quindi meriti enormi e innegabili. D’altra parte, l’obiettivo di inflazione della Bce non è stato raggiunto (e la Bce non ha altri obiettivi esplicitamente dichiarati) e quasi certamente non lo sarà da qui alla fine della presidenza Draghi. Le ragioni di tale insuccesso vanno meglio capite. Più in generale, il legame tra decisioni di politica monetaria e tasso inflazione sembra essere oggi più tenue che in passato e ciò ha implicazioni estremamente importanti per il futuro delle banche centrali. Anche questo aspetto farà parte dell’eredità di Mario Draghi alla Bce.

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  1. Ho il sospetto che il problema della inflazione inferiore al 2%, nonostante la riduzione della disoccupazione, abbia trovato una spiegazione convincente nel fenomeno dei working poors: “Can an ageing workforce explain low inflation?” (BIS Working Papers No 776). Ho anche l’ulteriore sospetto che il problema non sia risolvibile con l’intervento pubblico: logiche NIMBY e localismo politico rendono difficile anche la manutenzione delle opere pubbliche. Restano gli investimenti privati, che non mancano, ma sono condizionati dall’output potenziale e dalle effettive possibilità di profitto.

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