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Come scrivere una legge elettorale “democratica”

L’obiettivo principale di una nuova legge elettorale dovrebbe essere la rilegittimazione del sistema democratico. Il governo dovrebbe perciò lasciare alle Camere il compito di mediare. E il percorso dovrebbe chiudersi con un referendum confermativo.

Il maggioritario non fa per noi

Tra le democrazie europee, le sole con sistema elettorale maggioritario di collegio sono il Regno Unito, che adotta da tempo immemorabile il plurality system, e la Francia, dove dagli anni Cinquanta (salvo una breve parentesi negli anni Ottanta) si vota con il doppio turno.

Nel 1983 nel Regno Unito il Partito conservatore guidato da Margareth Thatcher ottenne il 42,4 per cento dei voti e il 62,7 per cento dei seggi; il Partito laburista giunse secondo con il 27,6 per cento dei voti aggiudicandosi il 33 per cento dei seggi, mentre l’Alleanza liberal-democratica fu terza a ridosso del Labour con il 25,4 per cento dei voti, ma conquistò solo il 3,6 per cento dei seggi. Nel 1993 in Francia la coalizione di centrodestra al primo turno ottenne il 44,1 per cento dei voti, ma grazie anche alle divisioni nel centrosinistra, al ballottaggio riuscì a conquistare il controllo quasi totale dell’Assemblea nazionale, con 485 seggi su 577 (84 per cento).

In Italia, quante polemiche e dibattiti si sarebbero aperti se, nel 2018, si fosse verificato un risultato simile a quello del 1983 nel Regno Unito, se la coalizione giunta terza pur ottenendo il 23 per cento dei voti fosse stata quasi interamente privata di rappresentanza parlamentare? E cosa accadrebbe alla democrazia italiana se un leader populista a caccia di “pieni poteri” riuscisse a mettere le mani sull’84 per cento dei seggi pur essendo minoranza nel paese, come nel 1993 in Francia?

Per funzionare, il sistema maggioritario richiede la presenza di due fattori: una cultura politica coesa e un sistema politico dominato da partiti costituzionalmente leali, nell’ambito di un quadro di valori condivisi e di reciproca legittimazione. Le due condizioni in Italia non ci sono. E per questa ragione la fase politica che si apre porta inevitabilmente all’adozione di un sistema elettorale di tipo proporzionale, il più adatto per mettere al riparo dai potenziali abusi del potere e favorire modalità di decisione più inclusive e mediate.

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Tabella 1

Per una rilegittimazione del sistema

 

La tabella 1 riporta una scheda relativa ai sistemi elettorali adottati per la camera bassa in Italia e nei dieci paesi più popolosi dell’Ue. La competizione proporzionale è sostanzialmente la regola: solo il Regno Unito e la Francia possono essere fatti rientrare tra i modelli pienamente maggioritari. Ma dalla tabella si nota anche che non tutti i sistemi proporzionali sono uguali e il rischio di una dispersione della rappresentanza in mille rivoli – concreto quando si ha una destrutturazione pressoché totale dei partiti politici – viene variamente affrontato con l’apposizione di soglie di sbarramento, disegnando circoscrizioni di piccole dimensioni o adottando modalità di riparto dei seggi premiali per le forze politiche maggiori. E quindi discutere di un passaggio da un sistema misto come l’attuale a uno proporzionale non può avvenire se prima non sono chiare le finalità sistemiche che si desidera conseguire e il tipo di innesti di non proporzionalità che di conseguenza si intende inserire. Sarebbe assai grave, infatti, se la sola motivazione del cambio della legge elettorale fosse azzerare le chance di vittoria di uno tra i contendenti, ciò si rivelerebbe molto discutibile sul breve periodo e probabilmente fallimentare sul medio.

Ritengo che l’obiettivo principale debba essere la rilegittimazione del sistema democratico anche per porre fine alla deriva antipolitica e anticostituzionale degli ultimi anni e sia di conseguenza necessario un sistema elettorale che ristabilisca la fiducia nel rapporto tra eletti ed elettori ripartendo dalle radici territoriali della rappresentanza. Ormai sette anni fa, nel mio primo intervento su lavoce.info proponevo una rilettura del modello australiano e tutt’ora lo ritengo equilibrato, a maggior ragione oggi con una competizione tripolare. Probabilmente il legislatore si indirizzerà su scelte meno creative, pertanto mi limito ad auspicare la fine definitiva delle liste bloccate e una competizione proporzionale articolata su collegi uninominali, soglia di sbarramento nazionale e riparto con il metodo D’Hondt. Sostanzialmente, una rilettura del vecchio modello delle elezioni provinciali.

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Fondamentale sarà evitare che la “regola delle regole” della democrazia venga adottata a colpi di “wrestling procedurale” come nel 2005 e nel 2017. La nuova maggioranza politica – costituzionalmente legittima, ma politicamente tutta da verificare – dovrà evitare un atteggiamento solipsistico perché una polemica che dovesse investire la stessa base di legittimazione democratica del Parlamento sarebbe troppo pericolosa. Per questo credo che il governo dovrebbe astenersi il più possibile da ogni intromissione nel dibattito, lasciando alle Camere il compito di mediare. La maggioranza dovrebbe poi porsi il problema di includere almeno parte dell’opposizione nel disegno della nuova legge elettorale, per allargarne le basi di legittimità politica e non sarebbe sbagliato suggellare il percorso con un referendum confermativo, che se approvato spegnerebbe ogni polemica sulla “casta che si blinda contro il popolo”.

Con una leggina costituzionale si potrebbe tranquillamente adottare questo percorso (in modo simile a quanto avvenuto nel 1989 con il referendum consultivo sull’integrazione europea) che presenterebbe anche un secondo, non irrilevante vantaggio: creare un precedente di coinvolgimento popolare nella regola legittimante della democrazia rappresentativa, chiudendo la fase delle riforme elettorali capziosamente manipolative.

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15 commenti

  1. Henri Schmit

    Si possono condividere alcune affermazioni, ma l’articolo nell’insieme mi lascia perplesso. Francamente non capisco come – nel passaggio cruciale – si possano articolare i collegi uninominali con soglie di sbarramento nazionali e aggiungervi pure il metodo D’Hondt. Il riferimento alle elezioni francesi del 1993 dove una minoranza nel paese avrebbe messo le mani sul 84% dei seggi mi sembra un po’ sbrigativo. L’osservazione al sistema vigente in Italia circa l’assenza di collegamento fra uninominale e proporzionale è incomprensibile nella misura in cui l’elezione uninominale (è fasulla perché) dipende automaticamente dal voto di lista. Sarei anche più cauto con il referendum che – Brexit insegnando – non è sempre (in materie complesse o che coinvolgono diritti fondamentali) lo strumento di legittimazione più appropriato. Serve un’ampia maggioranza parlamentare, raggiungibile solo sotto “il velo dell’ignoranza” (a prescindere dai risultati attesi). Il bipolarismo contingente potrebbe/dovrebbe essere motivo per riesumare l’uninominale a doppio turno, difeso storicamente dal PD (come R.Prodi e W.Veltroni hanno ricordato), ed ora pure dalla Lega, un’occasione da non perdere. Ma c’è da temere che anche questa volta il cinismo dei manipolatori dietro le quinte prevarrà.

  2. Cesare Didoni

    Per ridare legittimità alla democrazia occorre dare stabilità al sistema elettorale: non è accettabile che ciascuno cerchi ogni volta di ritagliarsi un sistema elettorale su misura delle proprie convenienze. Indecorose che i maggioritari di ieri, oggi siano proporzionalisti e viceversa! Auspico che nella prossima riforma del sistema elettorale, si prevedano dei meccanismi stringenti di stabilizzazione. Non sono un esperto, ma con buon senso e prudenza vedo due soluzioni possibili: (1) dare valore costituzionale alla legge elettorale o almeno imporre il vincolo di una maggioranza molto ampia per gli eventuali cambiamenti (minimo 2/3, meglio 3/4); (2) in alternativa, un piccolo “trucco”, prevedere che nessun corpo elettivo possa cambiare la legge elettorale con cui il corpo stesso verrà rinnovato (cioè l’eventuale modifica della legge elettorale varrebbe non per la prima elezione ma sola per la successiva.

  3. Antonio Carbone

    Chiudere “la fase delle riforme elettorali capziosamente manipolative” iniziata con la legge Calderoli 270/2005 (secondo me più manipolativa della “legge truffa” del ’53) é certamente la cosa più importante.
    Nel 2016, proprio commentando un articolo del dr. Cucchini su la Voce, scrivevo:
    “Quello che sembra caratterizzare quest’epoca politica è la disinvoltura istituzionale e la sua diffusa accettazione popolare (anche da parte delle “elite” culturali). Possibile che a chiunque sembrino normali riforme “governative” della costituzione e della legge elettorale !? Stiamo per legittimare cambi di costituzione e legge elettorale ad ogni cambio di maggioranza? Sono diventate materia dell’esecutivo!? Ma quale gas ha avvelenato l’aria che TUTTI respiriamo? Di certo non è esilarante.”
    La situazione nel frattempo è peggiorata di molto e la “rilegittimazione del sistema democratico” richiamata dall’autore è diventata una esigenza vitale per il paese.
    Il metodo suggerito nell’articolo, a prescindere dal tipo di legge elettorale indicato, è l’unico auspicabile a tale scopo: 1 iniziativa lasciata alle Camere, senza alcuna intromissione del Governo, 2 introduzione di un referendum confermativo.
    Credo, tuttavia, che i due partiti “spaventati” che condividono il governo potranno al massimo seguire la fase 1. Per la 2 ci vuole troppo coraggio. Confidiamo nel fatto che il coraggio é figlio della paura.

  4. Franco

    Sistema francese: al primo round si candidi “chiunque” (si fa per dire) e poi il ballottaggio fra i primi due. Il cittadino si ASSUME LA RESPONSABILITA’ DELLA SCELTA. Ovviamente con una repubblica presidenziale: il cittadino da la FIDUCIA ALLA PERSONA e non come in Italia dove si vota il partito e non si sa come va a finire (inciuci, spostamenti e cose varie – in politica la fantasia non ha limiti!).

  5. carlo giulio lorenzetti settimanni

    Per sottoporre al referendum confermativo (ma la locuzione è impropria, in quanto il referendum previsto dall’art.138 della Costituzione può condurre ad esiti opposti, come dimostra quello del 2016 sulla riforma costituzionale) una nuova legge elettorale bisognerebbe che questa venisse approvata con legge costituzionale. Per le leggi ordinarie è infatti previsto soltanto il referendum abrogativo. Ora, a parte la difficoltà
    politica di mettere insieme le maggioranze qualificate previste per l’approvazione delle leggi costituzionali, questa scelta finirebbe per cristallizzare il sistema elettorale che, in ipotesi, venisse approvato prima dal Parlamento e successivamente dagli elettori, andando contro l’orientamento dei padri costituenti che saggiamente non vollero costituzionalizzare alcun modello di legge elettorale, nella convinzione che fosse più opportuno fare sì che la scelta di un sistema, piuttosto che un altro, dovesse adattarsi alle diverse condizioni storiche e politiche che maturano nel tempo. E’ vero, peraltro, che di questa flessibilità si è forse abusato, sol che si pensi che negli ultimi venticinque anni abbiamo cambiato sistema elettorale ben cinque volte. E quasi sempre perché i cambiamenti sono avvenuti non in base ad una logica di sistema, ma sulla base delle convenienze or di una, ora dell’altra forza politica.

  6. Stefano Longano

    Sono un sostenitore dei referendum. Per questo non mi piacciono per nulla gli approcci plebiscitari allo strumento, quale quello proposto in questo articolo. Nell’apparire “democratico” nega la vera essenza della democrazia.
    I referendum funzionano se sono parte integrante del sistema istituzionale. E se il loro utilizzo non è lasciato alle esigenze intrinsecamente populiste dei rappresentanti. Il referendum non si concede. O è obbligatorio, o si chiede con le firme. Tutte le altre forme sono pericolose degenerazioni.
    Per quanto riguarda la legge elettorale, la legge costituzionale va bene solo se afferma che il referendum diventa obbligatorio per ogni modifica futura della legge stessa.

    • Henri Schmit

      Giustissima l’analisi dello strumento di decisione popolare. Condivido appieno. Aggiungerei solo che il rischio dell’abuso populista c’è sempre. Servono perciò condizioni severe di firme e di quorum, e per la definizione del quesito, oltre ad un dialogo con le istituzioni rappresentative, per dare loro la possibilità di correggere, non di impedire. La legge elettorale come l’istituto del referendum occupano una posizione particolare nella gerarchia delle norme: essendo la democrazia fondata sul consenso, serve una procedura non viziata per decidere e per eleggere rappresentanti che decidono.

  7. Carlo

    Se vogliamo parlare di distorsioni del maggioritario, pensiamo alle elezioni UK del 2010,in cui lo Scottish National Party ottenne circa il 90% dei seggi scozzesi con poco più del 50% dei voti! Questa non è democrazia, è una aberrazione oscena!
    Anch’io trovo molti vantaggi nel sistema australiano, che però l’autore non ha spiegato. Un riassunto è questo https://youtu.be/wA3_t-08Vr0
    Vorrei infine ricordare che, come si sgolava a dire Sartori, un maggioritario senza doppio turno o senza sistema all’australiana non fa altro che aumentare il potere di ricatto dei partitini (se tu partito grande non mi dai x candidature nella coalizione, io mi presento ovunque, io non vinco ma faccio perdere te).

  8. angelo rota

    Pienamente d’accordo.Necessario liberare prima i due fattori.

  9. Arduino Coltai

    La verità è che siamo l’unico paese nel quale in ogni legislatura si mette mano alla legge elettorale. E questo perché la legge elettorale stessa non viene vista come un mezzo per contribuire al funzionamento delle istituzioni e quindi del paese, ma come un artificio per fare fuori gli avversari politici (esattamente come si è fatto e si continua a fare con la magistratura, ormai vera depositaria del potere in Italia, con conseguente delegittimazione di fatto degli altri due poteri previsti dalla costituzione). A mio parere bisognerebbe porsi una domanda: le elezioni devono portare ad un governo che sia in qualche modo espressione della volontà popolare oppure è necessario (come previdero i padri costituenti) non mettere mai un governo, quale che sia, nelle condizioni di espletare pienamente il suo mandato per paura di derive “antidemocratiche”? Perché la legge elettorale deve essere conseguente alla risposta a questa domanda. Ed una volta decisa (preciso che le regole andrebbero decise insieme tra maggioranza e opposizione anche se questo pare del tutto utopistico in Italia) andrebbe mantenuta, non cambiata ad ogni piè sospinto, chiunque vinca o perda. Secondo me invece si prospetta l’ennesimo indigeribile pastrocchio fatto ad uso e consumo di chi la farà approvare a colpi di maggioranza (nel parlamento, magari non nel paese…).

  10. Alcune repliche:
    a) COLTAI ha ragione, descrive una patologia italiana gravissima e non so come rimediabile.
    b) CARLO il sistema australiano è spiegato in un link dentro l’articolo. Per comodità: https://www.lavoce.info/archives/1808/un-ballottaggio-istantaneo-per-uscire-dallo-stagno/.
    c) LONGANO neppure io amo i referendum dall’alto (che diventano plebisciti). Quello che propongo avrebbe due finalità: spuntare la polemica sulla riforma “della casta” e creare un precedente di riforma elettorale non autoreferenziale.
    d) LORENZETTI SETTIMANI, come ricordo ci vuole una legge costituzionale apposita. Le obiezioni di storia costituzionale che fa lei sono corrette, ma una qualche modalità di blindatura della legge elettorale va pensata.
    e) FRANCO la sua è una rispettabile scelta di campo. Io sono sempre stato parlamentarista.
    f) DIDONI il suo punto (2) è molto brillante.
    g) SCHMIT tecnicamente è molto semplice: con lo sbarramento stabilisci il numero di seggi di un partito, quindi con il d’Hondt lo riparti per le circoscrizioni esistenti e i seggi – all’interno delle stesse – sono attribuite alla cifra elettorale di collegio più elevata. Oggi non esiste collegamento prop-mag visto che non c’è un meccanismo di scorporo.

    Ringrazio CARBONE e ROTA per i loro commenti.

  11. enzo

    Il maggioritario non fa per noi. Voglio fare un’osservazione politica. L’addio al sistema maggioritario comporta per politici ed elettori un cambio di approccio . I politici dovranno smettere di insultare i loro prossimi e probabili alleati, definire programmi accettabili dai concorrenti. Similmente gli elettori non dovranno cadere dal pero il giorno dopo le elezioni e considerare normale il compromesso, l’accordo ecc. ecc. senza pretendere di tornare alle elezioni ad ogni inevitabile intoppo compensazione ecc.

    • Giuseppe

      Gent.mo ENZO ,non spieghi perchè il maggioritario non fa per noi (elettori o classe politia ?). Se non mi porti uno o piu’ motivi razionali oltre a quello lì proposto, , e non basati su statistiche di quante piu’ volte sia stato adottato il proporzionale, non riesco ad aderire alle tue convinzioni . Attendo con interesse. Grazie

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