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Molto fumo e poca sostanza nel decreto clima

Il decreto clima rimanda i tagli ai sussidi dannosi per l’ambiente e mantiene il “buono mobilità”, la cui efficacia è dubbia. Ma la portata del provvedimento è data dai 450 milioni di investimento, ben poca cosa rispetto ai 54 miliardi della Germania.

Per ora i sussidi restano

Dopo settimane di ripensamenti e nuove scritture il Consiglio dei ministri del 10 ottobre ha approvato il decreto legge “Misure urgenti per il rispetto degli obblighi previsti dalla direttiva 2008/50/Ce sulla qualità dell’aria (decreto clima)”. Da qualche tempo si usa sottotitolare i provvedimenti legislativi per ragioni di comunicazione politica e perché il titolo completo risulta poco comprensibile ai più. Questa volta, tuttavia, la concessione alla comunicazione è stata più forte del solito se si considera che la direttiva riguarda per l’appunto la qualità dell’aria mentre sul clima, inteso come misure per contrastarne i cambiamenti, nel decreto vi è ben poco.

Rispetto alla versione precedente, manca infatti il provvedimento politicamente più rilevante: gli annunciati tagli ai sussidi dannosi per l’ambiente. Era la progressiva riduzione di 19 miliardi di euro di sussidi su cui ci siamo già soffermati, il 60 per cento dei quali racchiusi in poche categorie del comparto energia. Ora, nel penultimo articolo del decreto, si legge che la riduzione verrà disposta nella legge di bilancio annuale secondo gli obiettivi fissati dal neo-istituito Programma strategico nazionale per il contrasto ai cambiamenti climatici e il miglioramento della qualità dell’aria.

Quanto al contenuto, non è il primo caso, ma si tratta comunque di un decreto in cui si usa un veicolo legislativo in qualche misura obbligato (i provvedimenti relativi alla qualità dell’aria) per riempirlo di contenuti non propriamente coerenti con il titolo. È infatti un testo che si occupa sì di ambiente, ma che dà un colpo al cerchio laddove manca quello alla botte. Gratta la superficie del problema, soffermandosi su temi tutti importanti come la mobilità sostenibile e il trasporto scolastico sostenibile, la piantumazione urbana e le azioni per il rimboschimento, l’informazione e la formazione ambientale, gli impianti di trattamento e stoccaggio dei rifiuti e la loro riduzione con la vendita di prodotti sfusi, ma manca la vera sostanza. Dal punto di vista dello strumento, si usa unicamente quello dell’incentivo e del premio, mentre quello della tassa – o equivalentemente della rimozione di un sussidio – viene espunto dal testo.

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Le novità

La misura centrale, presente anche in precedenza, è il cosiddetto “buono mobilità”, riservato ai rottamatori di auto fino a Euro 3 (precedentemente Euro 4) e motorini a due tempi residenti nelle città e le aree sottoposte a infrazione europea per la qualità dell’aria. Per l’incentivo vengono stanziati 255 milioni di euro. Continuiamo a chiederci quanti saranno davvero interessati a rinunciare all’impiego di un’auto vecchia o vetusta, che serve per ragioni di lavoro o di svago e che si continua a usare probabilmente per vincoli di budget, in cambio di un abbonamento annuale al tram, bus o treno o dell’acquisto di una e-bike. Senza contare che l’auto ha uno spazio per passeggeri, mentre il bonus è individuale. Non sappiamo quante auto inquinanti verranno tolte dalle strade, ma sospettiamo che saranno più efficaci ai fini dell’inquinamento (non del congestionamento) per esempio i due bandi – rivolti a cittadini e a imprese – appena aperti dalla regione Lombardia che incentivano la rottamazione di veicoli a benzina fino a Euro 2 e diesel fino Euro 5 per sostituirli con mezzi la cui premialità è proporzionale alle minori emissioni. E non siamo affatto sicuri che sarà questo provvedimento a “levare mezzi dalle strade”.

Una seconda novità del decreto, addirittura al primo articolo, è la nascita della commissione interministeriale per il contrasto ai cambiamenti climatici e la qualità dell’aria (impossibile un acronimo) di cui non si sentiva onestamente la mancanza. Oltre che della commissione (composta fondamentalmente da tutti i ministri competenti: ben undici), il decreto legge si dota di una Piattaforma, di dubbia utilità, composta dai presidenti di Istat, Cnr ed Enea e da sedici esperti accademici e della pubblica amministrazione da identificare. Tra i suoi compiti, quello di delineare e indicare le misure di attuazione del Programma strategico nazionale per il contrasto ai cambiamenti climatici e il miglioramento della qualità dell’aria.

Ci sono tre problemi con questa novità: 1) il rischio di un ennesimo consesso di dubbia utilità, secondo un’attitudine tutta italiana, con confusione e sovrapposizione di ruoli e competenze; 2) la dubbia opportunità di mettere insieme i cambiamenti climatici e la qualità dell’aria, fenomeni dalle limitate sovrapposizioni, in cui il contrasto del primo è assai più problematico del secondo; 3) non viene detto come si rapporta il neonato Programma strategico nazionale con quelli già esistenti, come per esempio la Strategia energetica nazionale o la Strategia nazionale di adattamento ai cambiamenti climatici o la Strategia nazionale per lo sviluppo sostenibile. Insomma, ci pare necessario un ulteriore atto governativo per dare chiarezza, coerenza e soprattutto efficacia a tutta la materia.

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C’è un ultimo aspetto da considerare, non meno importante, ed è quello delle risorse. Abbiamo già osservato come lo strumento privilegiato sia quello dell’incentivo, politicamente molto vendibile, ma che comporta il piccolo problema di una borsa dai cordoni particolarmente stretti, soprattutto di questi tempi. Il governo parla di una manovra che vale 450 milioni di euro nell’arco di tre anni. Nello stesso arco di tempo il Klimaschutzprogramm presentato dalla Germania poche settimane fa individua investimenti per 54 miliardi di euro, che salgono a 100 da qui al 2030. Il dato ben descrive la portata del decreto e, a ben vedere, anche i contenuti.

Il Movimento 5 stelle ha salutato il decreto come il primo della storia nazionale a essere interamente ed esclusivamente dedicato all’ambiente. Visto che però la coperta è assai corta, e non si può certo abbondare con sussidi e incentivi di sorta, inevitabilmente i problemi – quelli tosti – restano ancora da affrontare.

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Il Punto

  1. Vincenzo

    Sarebbe stato certamente più utile una forte incentivazione del tele lavoro destinata sia alle aziende sia ai lavoratori.Si sarebbero ridotte le emissioni , reso la vita più semplice a milioni di lavoratori urbani ed extraurbani ed incrementato la produttività. A rimetterci sarebbero state le aziende petrolifere, quelle dei trasporti, anche bar e ristoranti ma la qualità della vita sarebbe migliorata per tutti anche per chi avrebbe trovato sulle strade meno traffico .

  2. Federico Levaa

    Anche le bici elettriche possono trasportare passeggeri: in Germania spopolano le “cargo e-bike”.
    https://uk.reuters.com/article/uk-germany-e-cargobikes/germany-land-of-the-car-develops-taste-for-electric-cargo-bikes-idUKKCN1VO25K?il=0

    Qui a Helsinki vedo regolarmente mamme e papà che portano due o piú pargoli a scuola comodamente seduti nella “cabina” della loro bici elettrica. Ho anche visto una signora trasportare l’anziana madre.

    L’osservazione che le bici non possono sostituire un’automobile pecca quindi di provincialismo.

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