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Chi ha paura della valutazione nelle scuole? *

Un documento di alcune associazioni contesta l’impianto e l’utilizzo delle prove Invalsi. Soprattutto negli esami di fine ciclo scolastico. Il rischio è di riaprire il vaso di Pandora delle contrapposizioni preconcette che ha bloccato il mondo della scuola italiana negli ultimi venti anni.

VALUTAZIONE A RISCHIO

Il documento di alcune associazioni vicine al mondo della scuola – Aimc–Cidi –Fnism -Legambiente Scuola e Formazione-Mce–Proteo Fare Sapere-Per la Scuola della Repubblica-Cgd–Udsribadisce una serie di principi senz’altro validi e condivisibili, ma rischia di rappresentare un passo indietro nel dibattito sulla valutazione del sistema educativo in Italia e nella difficile opera della sua effettiva costruzione. Due sono i pericoli che vedo e che mi portano a contestarne l’anima complessiva. (1)
Il primo pericolo è sotteso nell’obiettivo, più o meno implicito nel documento, di contestare l’emanazione definitiva del regolamento sul sistema nazionale di valutazione. Quel regolamento senz’altro andrà meglio precisato nella prassi applicativa futura, tuttavia ha il grosso pregio di rappresentare uno storico compromesso tra fautori dell’autovalutazione e fautori della valutazione esterna delle scuole, tra chi pensava si debbano guardare solo gli esiti formativi (da qualcuno ulteriormente circoscritti ai soli risultati nelle prove Invalsi, magari senza tener conto delle diverse condizioni di contesto delle singole scuole) e chi pensava che alle scuole si debba chiedere di dar conto solo dei processi posti in essere, come se i risultati formativi, che anche da quei processi sono determinati, fossero irrilevanti.
Il rischio è oggi di riaprire un vaso di Pandora di contrapposizioni, ideologiche e preconcette, che han diviso, e bloccato, il mondo della scuola italiana negli ultimi quindici-venti anni.
Il secondo rischio è che dal sacrosanto principio dei limiti della valutazione  e dalla corretta sottolineatura delle diversità tra i suoi vari aspetti– valutazione delle prassi educative, del sistema, delle scuole, degli alunni e degli operatori del settore, troppo spesso confuse tra loro e ridotte all’uso delle rilevazioni degli apprendimenti condotte su base universale dall’Invalsi – discenda il rigetto dei passi in avanti che anche con l’uso di quelle rilevazioni si stanno già facendo.

I RILIEVI DEL DOCUMENTO

Il documento parte dalla contestazione di un approccio alla valutazione come mera creazione di graduatorie per premiare i più meritevoli: si sottolinea che, oltre all’identificazione della presenza o dell’assenza di un particolare merito, altre cose sarebbero necessarie, non ultimo un maggior volume di risorse al comparto scuola. Subito dopo si enfatizza come si debbano distinguere i vari aspetti della valutazione e si sottolinea la sua inevitabile “politicità”, che richiede di definire in via preliminare, e non per implicita iniziativa di qualche tecnostruttura, un’idea di “buona scuola”. Si passa poi a contestare l’idea che le rilevazioni degli apprendimenti debbano essere, in alcuni gradi, universali, ritenendo in particolare esagerato e distorsivo il ruolo da esse svolto nell’esame conclusivo del I ciclo. In quanto focalizzate sugli esiti formativi e non sui processi messi in atto all’interno della scuola, si contesta poi che le rilevazioni possano essere considerate come esaustive dei fenomeni da osservare. Si auspica infine una terzietà dell’ente che si occupa di valutazione e un più forte ruolo del Parlamento (in alternativa al Governo).

UNO SPECCHIO PER LE SCUOLE

Molti dei passaggi sono condivisibili. Ma in cosa l’attività dell’Invalsi degli ultimi anni può essere tacciata di essere portatrice d’una reductio della valutazione alla premialità? Basti ricordare che l’Invalsi non crea e non pubblica league tables. Sta lavorando sul concetto di valore aggiunto, per poter dire a tutte le scuole, indipendentemente quindi dalle condizioni di favore o di sfavore in cui operano, quanto possano ritenersi soddisfatte. E da subito ha cercato di approssimare tale concetto restituendo alle scuole informazioni non solo sul livello degli apprendimenti dei propri alunni, ma anche sul confronto con quelli di scuole con alunni dal background familiare simile.
In futuro l’Invalsi progetta di utilizzare quelle stime anche per identificare le scuole “problematiche”, intese come quelle che operano in contesti difficili e che raggiungono risultati, in termini di apprendimenti, particolarmente insoddisfacenti. È a questo scopo che si chiedono informazioni sul background familiare degli alunni, non certo per schedare i bambini.
Il fine non è perciò “premiare” (le altre), ma meglio aiutare chi è in difficoltà. Certo, tra identificare chi debba essere aiutato e aiutare concretamente ce ne corre. Non basta guardare, dal centro, agli apprendimenti degli alunni o a questo o quell’indicatore: servono risorse e servono riflessioni aggiuntive, innanzitutto all’interno della singola scuola, sul cosa concretamente fare in quella specifica situazione. Ma la sperimentazione sul come passare a una fase di miglioramento all’interno di ogni singola scuola non è proprio l’idea alla base del progetto Vales? (2) Non è proprio lì che si chiarisce come l’attenzione agli esiti formativi non esaurisca la valutazione delle scuole? E anziché sottolineare quel che è per molti aspetti ovvio – ovverossia che valutare richiede di avere un’idea di “buona scuola”, ampia, condivisa e non partigiana, ma al tempo stesso sufficientemente precisa – perché il documento non si esprime sull’abbozzo di tale idea che è stata pubblicamente avanzata in Vales?
Proprio perché il fine non è di fare graduatorie, l’Invalsi pone l’enfasi sulla restituzione alle scuole delle informazioni sugli apprendimenti per innescare in ciascuna scuola la riflessione su se stessi. Si dovrebbe far di più e di meglio? Sono d’accordo, ma è quanto si sta cercando di fare, pur in un quadro di risorse alquanto limitate: da quest’anno si sono restituiti dati che in media son più veritieri (perché corretti dalla presenza del cosiddetto cheating), hanno maggiori dettagli (perché si guardano i vari sottoambiti delle prove), sottolineano gli aspetti di equità interna alla singola scuola (oltre al confronto con i benchmark esterni) e coinvolgono potenzialmente un maggior numero di soggetti, tra cui anche il presidente del consiglio d’istituto, ovverosia un genitore. (3)
Dal prossimo anno scolastico, l’obiettivo è restituire i dati prima (entro il 1° settembre) e, più gradualmente, dare un ancoraggio dei risultati della singola scuola nel tempo: utilizzando le informazioni sui risultati degli alunni nei gradi precedenti, si cercherà di dare informazioni alle scuole sul punto di partenza dei propri alunni. Soprattutto, si cercherà di sostenere l’uso delle rilevazioni Invalsi a fini di ricerca didattica: evitando di dare indicazioni che non spettano al centro (e tantomeno all’Invalsi), si vuole creare una sorta di repository delle esperienze esistenti. Come si potrebbe mai procedere in questa direzione se le rilevazioni cessassero di essere universali? Certo, se il fine fosse solo quello di conoscere cosa avviene nella media di un sistema sarebbe meglio procedere su una base campionaria, con costi minori e una maggiore possibilità di tenere sotto controllo la qualità delle operazioni di rilevazione. A partire dall’anno scolastico 2013-14 l’Invalsi ha in animo di seguire questo approccio in alcuni gradi scolastici non coperti dalle attuali rilevazioni universali e per alcuni altri ambiti disciplinari, in primis le scienze naturali e l’inglese, testando anche l’uso del computer come mezzo tecnico. Ma per dare a ciascuna singola scuola uno specchio in cui guardarsi, non si può sostituire lo specchio con una fotografia, anche se ben nitida, del sistema nel suo complesso.

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LE PROVE NEGLI ESAMI FINALI

Un inciso specifico riguarda l’uso delle prove Invalsi all’interno dell’esame conclusivo del I ciclo. Si possono contestare il disegno complessivo di quell’esame e le modalità con cui le prove Invalsi vi furono introdotte, senza che nel primo anno l’Istituto avesse avuto il tempo di produrre con sufficiente anticipo un quadro di riferimento. Ma davvero è così oppressivo per i singoli studenti che le prove Invalsi contino ai fini dello scrutinio? (4) Nell’assegnare un limitato peso alle prove standardizzate nell’esame conclusivo di tutto un ciclo scolastico non vi è nulla di sbagliato: la prova può garantire una maggiore omogeneità nelle valutazioni degli alunni ed evitare derive quali quelle di cui ogni anno puntualmente si discute in occasione degli esami di maturità; se ben fatta, può fungere da segnale culturale per il sistema nel suo complesso, aiutando a superare quei residui di nozionismo tuttora troppo diffusi.
Proprio per evitare di ripetere errori e fughe in avanti sperimentate in passato, l’Invalsi intende chiarire in modo trasparente, e in attuazione d’una direttiva ministeriale anch’essa pubblica, modalità e contenuti della prova per l’anno conclusivo del II ciclo d’istruzione. Per l’anno scolastico in corso, ci si limiterà a un’attività di pre-test in un campione di classi. Per le scuole non campionate che vogliano aderire all’iniziativa c’è comunque la possibilità di sperimentarne un sottoinsieme. Prima, però, verrà pubblicato il quadro di riferimento che sottosta alle prove medesime.
Quanto ai contenuti, la prova è circoscritta alla rilevazione delle competenze degli studenti negli ambiti della comprensione della lettura e della matematica e non contiene elementi di differenziazione tra i diversi indirizzi di studio. Sulla base dei risultati ottenuti, si provvederà poi a condurre una prima prova su base universale nell’anno scolastico 2013-14, quando si sperimenterà, in un campione di scuole, anche la conduzione della prova tramite computer. Già a partire dall’anno scolastico 2013-14 l’Istituto inoltre immagina di testare elementi di differenziazione tra i diversi indirizzi di studio e una graduale estensione ad altri settori disciplinari.
In prospettiva, l’Invalsi immagina di poter definire prove standardizzate che coprano tre ambiti disciplinari di base, con elementi di differenziazione tra indirizzi di studio, per italiano, matematica e inglese. Al singolo studente sarebbe data anche la possibilità di mettersi alla prova all’interno d’una rosa di altre discipline specialistiche. Tutte le prove verrebbero svolte su computer, con selezione delle singole domande da una più ampia banca di quesiti.
Tale struttura di prove potrebbe dare elementi valutativi ricomprendibili all’interno dell’esame di Stato conclusivo del II ciclo e fornire indicazioni per l’orientamento nei successivi studi universitari. Anche per questo motivo, le prove verrebbero utilmente collocate già nella prima metà dell’anno scolastico e non al suo termine. Un loro eventuale utilizzo all’interno dell’esame di Stato, che comunque dovrebbe passare per un intervento di riforma che non spetta all’Invalsi, sarebbe perciò fattibile solo a partire dall’anno scolastico 2014-15, che è l’anno di entrata a pieno regime della riforma del II ciclo.

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Paolo Sestito è commissario straordinario Invalsi.

(1) Per un’esposizione più ampia di quanto qui sostenuto, si veda l’intervista per Le voci della scuola, reperibile anche sul sito dell’Invalsi (http://www.invalsi.it/download/interviste/Intervista_Paolo_Sestito.pdf).

(2) Il progetto Vales è un progetto del Miur a cui partecipano 300 scuole: a un primo percorso di valutazione (autovalutazione e valutazione da parte di un team di valutatori esterni) segue una successiva definizione e implementazione di interventi di miglioramento. Nel progetto l’Invalsi sta definendo, con un intento sperimentale, gli strumenti del percorso valutativo. Si veda http://www.invalsi.it/invalsi/ri/vales/documenti/Logiche_gen_progetto_VALeS.pdf.

(3) Per maggiori dettagli si veda il materiale esposto in http://www.komedia.it/invalsi/guida_invalsi.html.

(4) L’esame conclusivo del primo ciclo comprende un’ampia congerie di prove, tutte concentrate in pochi giorni e tutte aventi lo stesso peso giusto perché nelle norme impropriamente si parla di media e non di media ponderata.
Il voto delle prove Invalsi va da 4 a 10 e pesano per un sesto o un settimo del totale. Solo in casi estremi portano a bocciature (possibili se e solo se l’alunno ha una insufficienza anche in tutte le altre prove), però sono destinate a non essere completate col massimo dei voti da tutti gli alunni, perché si tratta di distinguere le eccellenze (i 10 o i 9) dai bravi.

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11 commenti

  1. enzo

    Chi ha paura? gli insegnanti. c’è poco da essere diplomatici, è evidente che il giudizio “oggettivo – misurabile – confrontabile” dello studente si trasforma in giudizio “oggettivo- misurabile – confrontabile” del docente, della classe , dell’istituto scolastico. questo è ritenuto decisamente sgradevole da molti . il docente simpatico e amicone si troverebbe ad avere anch’egli una poco desiderata pagella, un istituto verrebbe confrontato con un altro in termini di risultato. Persino i genitori si sveglierebbero dal loro torpore e chiederebbero conto ad un docente , ad una scuola; comincerebbe la gara a iscriversi in una scuola piuttosto che un’altra, in una sezione invece di un’altra. tutto ciò non in base a voci, a si dice a consigli ma a dati di fatto .per molti insomma un vero incubo.

    • V.P.

      «il giudizio “oggettivo – misurabile – confrontabile” dello studente» (esteso del tutto arbitrariamente a docenti, classi e istituti) è tale, cioè “oggettivo, ecc….” solo per …. autocertificazione dello stesso invalsi.

  2. marco

    L’articolo pone alcune interessanti riflessioni e pone domande: basta introdurre il principio della concorrenza e della competizione secondo un’idelogia neoliberista globalizzante per migliorare la qualità degli apprendimenti? Non è che introducendo sommari sistemi valutatori si rischia di screditare ancora di più la figura dell’insegnante rendendolo ancora più ricattabile da parte degli studenti? Una scuola inclusiva che insegna la partecipazione democratica, il dialogo la condivisione e la collaborazione all’interno di una comunità può avere come esempio lo scontro e la lotta tra docenti per l’accapparramento di maggiori ricchezze e onori? Il docente non deve forse mostrare per primo solidarietà e senso civico del dovere nell’agire al di là di ogni cinismo? Penso che la ricetta giusta sia un’altra…penso che se vogliamo migliorare la scuola pubblica sia necessario selezionare in modo accurato i docenti in entrata in base non solo al profitto ma anche a valutazioni psicoattitudinali, motivarli maggiormente con più alti guadagni e non abbondonarli nel loro cammino, ma investire soldi in aggiornamenti e formazione continua…

  3. Siedo nella segreteria regionale della Liguria del Coordinamento Genitori Democratici e parimenti sono un collaboratore dell’INVALSI, essendo parte della commissione che elabora il fascicolo di matematica nella scuola ssg. Chiunque legga il mio scritto, quindi, potrà tranquillamente accusarmi di essere di parte.
    Ho letto il documento commentato dal presidente Sestito, non avendo avuto alcuna parte nella sua redazione, e l’ho trovato assai condivisibile nella parte relativa all’enunciazione dei principi, ma l’ho trovato debolissimi sul fronte della delineazione concreta della proposta alternativa.
    Essendo lo scrivente un insegnante della scuola statale italiana, di fronte alle paure, spesso semplicemente evocate da alcuni sindacati riguardo la valutazione dei docenti, resto sempre in attesa delle loro risposte alle seguenti domande: come si valutano gli insegnanti di Tecnologie, Filosofia, Storia dell’Arte ed Elettronica con le prove di italiano e matematica? Come si valutano gli insegnanti di prima, terza e quarta primaria/ssg e di seconda spg?
    E’ parimenti risibile l’idea, che hanno alcuni, di spingere le scuole a migliorarsi tramite classifiche. La “scuola bene” dove va mia figlia si trova in un “quartiere bene” e la stessa cosa succede in ogni città d’Italia. Nessuno ha bisogno di consultare le eventuali graduatorie che evoca spesso il meritocratico Abravanel, perché tutti sanno dove si trovano le “scuole bene” che, tuttavia, avendo capienza limitata,…

  4. vincolano l’iscrizione a criteri il primo dei quali è quello della residenza.
    Credo invece nella “scuola che si specchia” nei risultati delle prove, ma perché questo avvenga, occorre che la scuola venga coinvolta seriamente sul tema. A titolo di esempio, pur lavorando per INVALSI, ed essendo la cosa nota, non mi è mai stato chiesto di elaborare i risultati delle prove della mia scuola e di presentarli criticamente in una riunione di Collegio dei Docenti. In metà delle scuole del regno, sono pronto a scommettere, semplicemente i risultati delle prove INVALSI vengono meramente ignorati e nessuno si scandalizza dello spreco di risorse che questo comporta, allorquando si invocano investimenti. Quali investimenti? Ce ne sono di materiali, beninteso (carta igienica, fotocopie, computer, LIM), ma ce ne sono anche di supporto alla professionalità docente e le prove INVALSI non sono altro che un piccolo strumento ad essa dedicato.

  5. antonio gasperi

    Se partiamo dalla definizione funzionalista di buona scuola del progetto Vales, l’aspetto valoriale va individuato nella specificazione dei “determinati esiti” a cui fa riferimento la definizione.
    Scorrendo il documento, dopo il riferimento alle competenze – chiave per l’apprendimento permanente stabilite dalla Commissione Europea e all’ottica del valore aggiunto, inteso come misurazione della variazione dei livelli di competenza, si descrive brevemente un modello che tiene conto di quattro classi di fattori, di cui l’ultimo non è influenzabile da una istituzione scolastica, due vengono raggruppati nella dimensione dei processi scolastici, ed il primo è misurato attraverso i test Invalsi, versione nostrana dei test Ocse-Pisa. Non entro nel merito della polemica anche perché sono sempre stato favorevole alla valutazione del lavoro scolastico, ma osservo quanto segue relativamente al modello adottato dal progetto Vales: non era meglio utilizzare i test Ocse-Pisa, molto più attenti alle competenze nelle discipline oggetto di misurazione, mentre gli Invalsi accertano più abilità, se non conoscenze? Non è il caso di distinguere nettamente il fattore pratiche educative che dipende quasi esclusivamente dal corpo docente dall’ambiente organizzativo che invece è in mano ai dirigenti scolastico ed amministrativo?

  6. Stefano

    Vogliamo continuare a far finta di niente? Non mi sembra un buon viatico.Nessuno ce l’ha con le decine di lavoratori precari che preparano le prove invalsi né con l’uso di prove strutturate che trovano ampia applicazione nelle scuole e in quasi tutte le discipline.Il problema è che invalsi è, di fatto, un organismo governativo e, come tale, è subordinato alle politiche scolastiche che i vari governi intraprendono.L’uso gelminianamente distorsivo delle prove invalsi non l’abbiamo inventato noi docenti. L’uso premiale di queste prove non è un’allucinazione. Il fatto che si pretenda di valutare le singole scuole con prove parziali, domande perlopiù strutturate le cui risposte, tra l’altro, sono state oggetto di critiche numerose, è sotto gli occhi di tutti. La stessa superficialità nel predisporre i risultati: nella mia scuola le prove sono state boicottate da un buon 60% degli studenti e sono arrivati i risultati tarati sul 100%, con sommo terrore del nostro DS che ci costringessero ad attivare corsi di recupero per l’irrecuperabile! La nostra scuola, infatti, è largamente al di sotto della media nazionale ma l’unica classe i cui studenti ha compilato tutte le prove, beh quella è largamente al di sopra! Ci volete punire? Mi permetto di darle un consiglio: sospendete tutto per un buon anno e venite nelle scuole, tutte!

  7. Marco

    Insegno matematica e fisica al liceo scientifico. Non ho nulla in contrario a un sistema di valutazione delle scuole. Prima, però, sarebbe il caso di dirsi e dirci (a noi che ci lavoriamo) che cosa la scuola deve essere. Perchè uno dei più grossi problemi è la schizofrenia degli interventi “di riforma”.
    Da un lato non esistono più i programmi, i docenti sono autonomi nel decidere, in base alle competenze e inclinazioni degli alunni, quali argomenti trattare e con quale grado di approfondimento. Poi però aumentano le prove di esame che arrivano da fuori (Ministero, Invalsi) che ignorano tutto questo lavoro personalizzato.
    Si prepara un cambiamento radicale della scuola superiore (Gelmini) e si rendono disponibili, senza però pubblicizzarle più di tanto, le bozze delle Indicazioni Nazionali, per raccogliere commenti e osservazioni; poi però i curatori ne tengono conto molto parzialmente e ci ritroviamo con Indicazioni incoerenti e in parte non attuabili. In tutto questo, non una sola ora di formazione dei docenti in merito ai cambiamenti.
    Si vuole docenti sempre più versatili: competenti nelle discipline, metodologicamente preparati, pratici di computer e di lingue straniere, group leader e gestori di progetti. Tutto questo proponendo magari anche di aumentare del 33% le ore di lavoro in classe per legge e senza alcun adeguamento di un contratto e di una carriera fermi da anni. Le famose nozze con i fichi secchi. E potrei continuare, ma lo spazio è poco.
    Si vogliono…

  8. AM

    Si ha l’impressione che molti, soprattutto in certe aree geografiche, siano contrari ad ogni tipo di valutazioni. Forse non è difficile intuire i motivi.

    • V.P.

      caro/a AM, il tuo post più che un contributo alla discussione o alla comicazione del tuo punto di vista, sembra un indovinello un po’ sadico e un po’ saccente o saputello (ricalca le caratteristiche del titolo dell’articolo in discussione).

      Scrivi: “Si ha l’impressione [da dove? dai commenti? da altro?] che molti [?! i commenti sono meno di 10!], soprattutto in certe aree geografiche [?! quali, secondo te?], siano contrari ad ogni tipo di valutazioni [è una provocazione gratuita o una estrapolazione indebita e di comodo]. Forse non è difficile intuire i motivi [dicci cosa hai intuito tu!].”

      puoi essere più chiaro ed esplicito pur mantenendo l’anonimato?

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