Un report di OpenPolis mostra che il sistema di accoglienza italiano tra il 2017 e il 2018 si stava trasformando in un modello diffuso gestito principalmente da centri di accoglienza piccoli e medi. Con il decreto “sicurezza” questa tendenza ha subito una battuta di arresto e oggi si privilegiano i grandi centri gestiti da grandi organizzazioni.
Da quando Matteo Salvini ha lasciato alla poltrona di ministro dell’Interno, di immigrazione si discorre meno e con toni più pacati. Vale dunque la pena, a un anno dall’introduzione del decreto “sicurezza”, abbozzare un primo bilancio di come si è modificato l’intricatissimo sistema di accoglienza italiano. Lo facciamo anche grazie all’aiuto di un report pubblicato recentemente dall’osservatorio OpenPolis.
L’accoglienza prima dei decreti sicurezza
L’itinerario da seguire per un richiedente asilo che approda sulle coste italiane è tortuoso e in salita. Negli anni dell’emergenza migratoria il nostro sistema di accoglienza si è ingrossato nella parte che avrebbe dovuto rimanere straordinaria e temporanea, vale a dire i Centri di accoglienza straordinari (Cas): perlopiù centri di grandi dimensioni, non sempre gestiti da operatori con esperienza nel settore dell’accoglienza. Complice l’indisponibilità dei comuni ad aderire al progetto, il sistema Sprar (piccoli centri affidati a gestori del terzo settore) si è infatti rivelato spesso inadatto a gestire il crescente afflusso di richiedenti asilo e rifugiati.
Questa anomalia si stava lentamente riducendo negli anni precedenti all’introduzione del decreto, come emerge dai dati diffusi dal ministero dell’Interno relativi al 2017 e al 2018. La figura 1 mostra che nella maggioranza delle regioni italiane – ma soprattutto in quelle del Centro-Nord – si assiste a un lieve calo nella capienza media dei centri. Un’evoluzione che testimonia un cambio di marcia verso il modello dell’accoglienza diffusa nei territori a cui fanno capo gli Sprar (oggi Siproimi).
Note: la variazione indica di quanti posti si è ridotta o è aumentata la capacità dei centri.
Fonte: elaborazione dati OpenPolis
Un altro indicatore che va nella stessa direzione è quello delle erogazioni del ministero agli enti gestori: osservando la figura 2 si può notare tra il 2017 e il 2018 una crescita delle somme erogate ai centri piccolissimi (+36 per cento), piccoli (+16 per cento) e medio-piccoli (+13 per cento) e una riduzione significativa delle erogazioni ai centri più grandi (-40 per cento). Se due indizi fanno una prova, anche questo dato avvalora la tendenza verso un’accoglienza distribuita tra più soggetti.
Fonte: OpenPolis
Poi venne il decreto sicurezza
Nel 2019 assistiamo invece a un rimbalzo. Sembra infatti che il modello di accoglienza proposto dal decreto Salvini tenda a sfavorire i piccoli centri e a privilegiare i grandi gestori e le economie di scala. Non è certo una gran sorpresa, con il ruolo degli Sprar ridotto all’osso e la mietitura dei fondi destinati all’accoglienza. Questo processo è particolarmente evidente nelle realtà dove il sistema era già fragile: quelle con una maggioranza di grossi centri a bassi standard e solo una manciata di programmi di accoglienza diffusa.
OpenPolis presenta i dati per le città di Livorno, Milano e Roma. A Livorno, dove i grandi centri (con più di 50 posti) rappresentavano già il 57 per cento nel 2018, nel 2019 toccano quasi il 70 per cento del totale; mentre i centri piccoli (quelli con meno di 20 posti) sono stati completamente smantellati.
A Milano già negli anni precedenti al decreto sicurezza erano preponderanti grandi centri e grandi gestori. Le nuove regole hanno contribuito a indebolire ulteriormente l’accoglienza diffusa, scoraggiando i piccoli gestori e creando per gli altri nuovi incentivi verso il modello dei grandi centri. Basti pensare che i posti messi a bando per grandi centri dalla Prefettura di Milano nel febbraio 2019 erano 2.220, ossia il 64 per cento del totale.
Anche l’orientamento della Prefettura di Roma è stato fin da subito favorevole alle grandi strutture. Nel 2019 la rete dei centri di accoglienza è composta quasi solo da centri grandi: poco meno dell’85 per cento dei posti. Allo stesso tempo, centri di piccole e medie dimensioni vengono ridimensionati a poco più del 15 per cento dei posti complessivi (figura 3). Ma c’è di più: si osserva anche una progressiva concentrazione dei gestori. E infatti un’organizzazione chiamata Medihospes gestisce a Roma il 63 per cento dei posti d’accoglienza.
È ancora presto per trarre conclusioni sull’impatto del decreto “sicurezza” in tutto il territorio italiano, ma gli esempi di Livorno, Milano e Roma segnalano un trend inequivocabile. La dinamica positiva – dai Cas agli Sprar – che si era innescata tra il 2017 e il 2018 sembra ormai capovolta. A scapito della qualità dei servizi offerti, dell’inclusione sociale e della sicurezza. Un andamento patologico che potrebbe anche inasprirsi, se i gestori dei centri sono organizzazioni quasi monopolistiche che si sentono meno responsabili nei confronti dell’amministrazione pubblica.
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Mauro Cappuzzo
Forse, se l’accoglienza è di scarsa qualità, sono meno invogliati a venire ? Oppure dobbiamo stendere loro un tappeto rosso? Perché dobbiamo trattare meglio persone che vengono illegalmente in Italia?
Flora Pellegrini
Perchè le persone vanno trattate tutte come persone senza dire queste le tratto meglio e queste altre peggio.
Le parole meglio e peggio non dovrebbero mai essere usate quando parliamo di persone (ma neanche se parliamo di animali secondo me)
Giampiero
Eppure la realtà italiana ci dice che ci sono persone trattate peggio, pur essendo persone come le altre. Penso ai disoccupati, ai senza casa, ai disabili e disturbati mentali. La lista è lunga. Per loro non ci sono “servizi di qualità, inclusione sociale e sicurezza”. Si adduce che non si sono risorse oppure gli si fa colpa del loro stato, relegandoli alla miseria: dai terremotati, a chi colpito dalla sfortuna di una malattia invalidante e deve campare con 280 euro al mese di pensione di disabilità quando gli è riconosciuta. Ma perchè il principio di dignità deve essere sostanziale per alcuni , quelli che approdano in cerca di fortuna nel nostro Paese, e per altri, quelli che fra noi sono vulnerabili, devono soccombere alle ristrettezze di bilancio. L’amara verità è che più che il diritto decide l’economia, anzi il gretto calcolo. Vale di più un giovane immigrato nella catena di montaggio della produzione del valore piuttosto di uno che “ha problemi”. Eppure sono tutte persone.
Marco De Antoni Ratti
grazie per l’articolo interessante. Giusto ieri sera la dott.ssa Ilaria Capua spiegava l’origine presunta del Coronavirus, il quale con ogni probabilità sarebbe derivato da un pipistrello di qualche zona forestale o paludosa del Paese. Ci chiediamo a questo punto: ha morso un essere umano col suo veleno? oppure molto più probabilmente è finito sulle tavole di qualche cinese ghiotto della carne di pipistrello?
Il sito dell’OMS ricorda che il virus si trasmette anche dall’animale al’uomo. Non sono tuttavia indicate le specie che possono trasmetterlo. Quali e quante sono?
Perchè la Cina non ha vietato il consumo di animali in gradi di veicolare il virus? perchè il Governo non ordina la distruzione delle derrate alimentari importate dalla Cina fra dicembre e febbraio? notoriamente i ristoranti cinesi si riforniscono in patria.I cibi sospetti come la carne di pipistrello dovrebbero essere rapidamente messi al bando.,