Di fronte al diffondersi dell’epidemia, l’Italia ha scelto la strada più dura, imponendo misure con riflessi molto pesanti sull’economia. Si tenta così di ridurre in maniera drastica il contagio. Ma cosa fanno gli altri paesi, in Europa e nel mondo?
Misure drastiche in Italia
Le misure introdotte dai decreti urgenti dell’8 marzo e del 9 marzo impongono pesanti restrizioni a tutti i cittadini italiani. I provvedimenti, a partire dalla sospensione delle attività didattiche in presenza per scuole e università su tutto il territorio nazionale fino al 3 aprile (che, probabilmente, diventerà 14 aprile visto che difficilmente si tornerà a scuola per quattro giorni prima delle vacanze di Pasqua), hanno causato e causeranno disagi in tutte le regioni. Ma cosa sta accadendo negli altri paesi? Le misure del governo italiano sono esagerate o sono gli altri stati, in Europa e altrove, a essere troppo poco prudenti? La risposta all’ultima domanda emergerà nelle prossime settimane, quando avremo modo di osservare l’evoluzione nella diffusione del virus. L’Organizzazione mondiale della sanità, però, ha già avvertito che il rischio di pandemia è reale. Invece è possibile fare un quadro dei provvedimenti che sono stati adottati finora in Europa e nel mondo.
Scuole, università e uffici pubblici
La drastica scelta italiana di sospendere tutte le attività didattiche in presenza sul territorio nazionale fino al 3 aprile non è stata imitata da altri paesi, fatta eccezione per il Giappone, che ha adottato un provvedimento molto simile. Il governo francese ha disposto la chiusura di quelle che si trovano nelle zone più colpite, lasciando a casa circa 300mila studenti. Le scuole sono aperte in Spagna, salvo rare eccezioni in alcuni focolai. Il governo federale tedesco non ha preso alcun provvedimento a livello centrale, ma alcuni istituti scolastici sono stati comunque chiusi a livello locale; lo stesso è avvenuto per gli uffici pubblici. In Spagna, come in Italia, i dipendenti pubblici sono stati invitati a lavorare da casa, qualora ce ne fosse la possibilità. Nessun paese ha disposto la chiusura degli uffici pubblici a causa dell’emergenza.
Altri provvedimenti
Domenica 8 marzo il governo francese ha vietato tutte le manifestazioni con più di mille partecipanti. Non è stato preso alcun provvedimento in Germania, dove però alcune fiere sono state annullate per il rischio di contagio e il governo ha fortemente consigliato la cancellazione di ogni evento con più di mille partecipanti. La Spagna ha stabilito che le manifestazioni sportive in cui partecipano squadre provenienti dalle zone rosse devono essere giocate a porte chiuse. È stata inoltre annullata la maratona di Barcellona. Anche le conferenze e i congressi medici sono stati cancellati, in modo da non trovarsi senza personale sanitario in caso di emergenza. Il governo francese ha emanato un decreto che permette il sequestro di tutte le mascherine mediche, cosicché possano essere distribuite al personale ospedaliero. Sempre la Francia, così come Germania e Repubblica Ceca, ha imposto il divieto di esportare le mascherine sanitarie, per evitare una penuria in futuro.
Casi accertati e capacità produttiva degli ospedali
Perché queste diverse scelte nelle politiche adottate tra il nostro paese e gli altri? Una differenza evidente è nella crescita del numero degli infettati. Alcuni, tuttavia, ritengono che l’Italia sia il paese con il maggior numero di casi accertati soprattutto perché vi viene eseguito un numero di tamponi di gran lunga superiore a quello di altri stati europei. Guardando ai dati, si nota in effetti che, fino al 9 marzo, l’Italia aveva eseguito 36mila test, quasi il doppio del Regno Unito e circa tre volte la Germania (rispettivamente a 20 e 11mila). Altri paesi, come la Francia, risultano invece poco attivi nella ricerca dei malati, con circa mille test eseguiti fino al 2 marzo.
Al di là delle differenze nei test resta però un problema di fondo, che è quello che preoccupa il governo: la capacità del sistema sanitario di rispondere al bisogno. C’è una quota di casi non trascurabile che richiede cure ospedaliere, per alcuni addirittura il ricovero in unità di cura intensiva. I dati mostrano che Giappone e Germania hanno una maggiore dotazione di posti letto per acuti rispetto a paesi come il nostro o il Regno Unito. La Francia può eventualmente riconvertire posti in riabilitazione. E se per i medici non sembrano esserci grandi differenze, la Germania ha un numero doppio di infermieri rispetto a noi.
Sono questi dati sulla capacità produttiva dei sistemi sanitari quelli cruciali da prendere in considerazione per comprendere i timori del governo e la necessità di ridurre la diffusione dell’epidemia.
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Riccardo Pagani
Molto interessante!
Riuscireste a integrare nella comparazione anche Korea e Cina (anche solo la regiione del focolaio)?
Massimo Taddei
Buonasera, i dati su contagi, guariti e morti si trovano a questo link (https://bit.ly/2xuQYpe). Da notare che la Corea del Sud, nonostante il grande numero di contagi, ha molti pochi morti. Le scuole coreane sono chiuse fino al 22 marzo, così come gli uffici delle aziende a rischio. In generale il governo consiglia il lavoro a casa e sta dando sussidi a famiglie e imprese per incentivare lo smart working (fonte: https://abcn.ws/38Di4XX) In Cina la situazione pare migliorare, a Wuhan sono stati chiusi gli ospedali allestiti per l’emergenza. Il rischio adesso è quello di importare nuovamente il virus dall’esterno.
Serena
Buongiorno,
Se puo’ interessare, allego qui i dati ufficiali sul numero di infermieri in Francia: http://www.data.drees.sante.gouv.fr/ReportFolders/reportFolders.aspx?IF_ActivePath=P,490,497,970.
Nel 2018, il numero totale di infermieri è di 700988, 1047 ogni 100000 abitanti.
Massimo Taddei
Grazie, ora il grafico è aggiornato!
Henri J. M. Schmit
Sto comunicando da tre settimane con residenti dei vari paesi paragonati nell’articolo; provo a correggere i numerosi fake beliefs sull’Italia. All’estero (F, D, A, etc) si suppone che l’alto tasso di letalità in Italia (ora 7%, davvero spaventoso, rispetto al 2-3% al massimo altrove) sia dovuto alle carenze strutturali (letti, strumenti). La discussione sul numero dei test per spiegare il numero dei malati accertati è vana. Se significasse qualcosa sarebbe peggiorativo per l’Italia, per il tasso di letalità. Per i letti la differenza nell’ordine del semplice al doppio è inconfutabile. Per i ventilatori ad ossigeno i dati raccolti indicavano 3000 in Italia (ad inizio marzo, ora siamo probabilmente più vicino a 4000) contro 5000 sia in F che in UK (Le Monde, The Guardian), dove comunque riconoscono pubblicamente di essere sotto-equipaggiati. Sarebbe interessante / indispensabile conoscere i dati italiani per regione. “Per fortuna” sono state colpite finora soprattutto le regioni più attrezzate. Per quanto riguarda il numero dei medici (e degli infermieri) le carenze sono ben conosciute da prima dell’epidemia. Nessuno ha finora pensato di proporre l’aumento (graduale, per evitare nuove ingiustizie e nuovi squilibri) del numero degli specializzati (l’esame di stato è appena stato rinviato, sine die). La burocrazia pregressa ha impedito a circa 10K giovani medici (laureati) di entrare nel circuito.
Henri J. M. Schmit
Non è passata un’ora da quando ho postato il mio precedente commento quando apprendo che il governo ha annunciato che l’esame di stato di abilitazione, rinviato poche settimane fa per le ragioni che sappiamo, è stato abolito, per ora e per il futuro. Significa che i (5700?) laureati in medicina dell’anno scorso sono automaticamente medici. La maggior parte di loro si sta preparando all’esame di specializzazione che era programmato per luglio.