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Ma quale regione ha fatto davvero più tamponi?

Capire dove sono stati eseguiti più test per Covid-19 è più difficile di quanto possa sembrare: molti dei confronti fatti finora potrebbero non fornire la risposta giusta, perché non relativizzano il numero di test alla dimensione dell’epidemia e alle risorse disponibili.

Durante un’epidemia il primo problema che emerge quando si cerca di confrontare il numero di test effettuati è che l’epidemia potrebbe avere avuto tempistiche diverse. Per esempio, prendiamo due regioni immaginarie e supponiamo che l’epidemia abbia la stessa dimensione (misurata come numero totale di casi, rilevati e non) in entrambe ma che cominci prima in una delle due. Confrontare il numero totale o giornaliero di tamponi potrebbe produrre considerazioni fuorvianti fintanto che l’epidemia è in corso perché una regione potrebbe aver fatto più test a oggi semplicemente perché l’epidemia è cominciata prima. Non solo. Anche qualora l’epidemia avesse le stesse dinamiche temporali tra le due regioni rimarrebbe il problema che l’epidemia potrebbe avere dimensioni diverse. Sarebbe quindi naturale che, a parità di  scelte politiche in merito ai test, la regione più colpita dall’epidemia effettuasse più tamponi.

Un primo modo per ovviare a questo problema è quello di rapportare il numero di test totali (o giornalieri) al numero di casi rilevati. Il vantaggio di questo approccio è che permette di tenere in considerazione le diverse dinamiche temporali dell’epidemia e, idealmente, anche le differenze regionali circa la dimensione dell’epidemia e la popolazione residente.

Il problema principale di questo approccio è però che i casi rilevati potrebbero differire da quelli effettivi (rilevati e non) come risultato di differenti politiche sui tamponi. Per esempio, supponiamo che nella nostra regione immaginaria ci siano dieci persone e che di queste una sia infetta con sintomi gravi, sette siano infette con sintomi lievi e due non lo siano affatto. Supponiamo poi che venga adottata una politica sui tamponi consistente nel testare solamente i malati gravi e gli individui che appaiono perfettamente sani. Ne risulteranno tre tamponi effettuati e di questi solo uno positivo. Se ne potrebbe concludere che vengono fatti tre tamponi per ogni caso. Ma questo è fuorviante perché in realtà sono stati fatti tre tamponi su un totale di otto casi effettivi, pari circa a un tampone ogni tre casi effettivi. Serve quindi una stima del numero dei casi effettivi.

Una soluzione per comparare il numero di test alla dimensione dell’epidemia

La soluzione proposta è quella di stimare i casi effettivi con una semplice procedura e rapportare il numero di test effettuati e al numero di casi effettivi. Sulla base della stessa idea di fondo di questo altro articolo, secondo l’Istituto superiore di sanità, i decessi di oggi sono da attribuire in media ai casi che hanno manifestato sintomi circa otto giorni fa. Applicando le stime di letalità plausibile proposte dall’influente report dell’Imperial College prodotto da Neil Ferguson e colleghi alla struttura demografica italiana, ne risulta che la letalità plausibile del coronavirus in Italia è circa dell’1,5 per cento. Dividendo i deceduti totali ad oggi per il tasso di letalità plausibile dell’1,5 per cento possiamo stimare il numero di casi effettivi a circa otto giorni fa. A quel punto è possibile calcolare il numero di tamponi totali rapportato al numero di casi effettivi regione per regione, come illustra la figura 1.

La figura mostra i tamponi per caso effettivo al 30 Marzo (nove giorni fa). Le cinque regioni che hanno effettuato più test (in verde) relativamente alla dimensione dell’epidemia sono Umbria, Calabria, Veneto, Lazio e Basilicata, con almeno due test effettuati per ogni caso effettivo. Chiaramente, alcuni di questi test sono stati eseguiti su individui non infetti, mentre alcuni degli infetti non sono stati testati. Le cinque regioni che hanno testato meno (in arancio) hanno effettuato circa un test ogni tre casi effettivi (Piemonte e Marche), uno ogni quattro (Liguria e Valle d’Aosta) e uno ogni cinque (Lombardia).

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Dividere i tamponi totali per i casi effettivi totali nasconde però l’andamento nel tempo di questo rapporto. La figura 2 riporta quindi l’evoluzione temporale dei tamponi giornalieri divisi per i casi effettivi per le regioni che hanno testato meno (sempre in arancio) e quelle che hanno testato di più (sempre in verde):

Figura 2 – Tamponi per caso effettivo: evoluzione temporale

La figura mostra come il numero di test per caso effettivo sia sempre stato superiore nelle regioni in verde. Come mai queste forti differenze regionali? Ci sono due possibili spiegazioni. La prima è che le regioni nella coda destra della figura 1 hanno adottato delle politiche sul testing che risultano in pochi test relativamente alla dimensione dell’epidemia. Questo potrebbe accadere per esempio se si testano solo i sintomatici, mentre nelle altre si testano sia i sintomatici sia gli asintomatici. La seconda è che in queste regioni l’epidemia è così diffusa che non ci sono risorse sufficienti per stare al passo con essa.

Rapportare il numero di test alle risorse disponibili

Un primo passo per valutare se il numero di test riflette un vincolo nelle risorse disponibili è quello di comparare il numero di test a variabili che riflettono le risorse disponibili, come la spesa sanitaria a livello regionale e il numero di medici. La figura 3 divide il numero di tamponi totali per la spesa sanitaria corrente regionale nel 2018, il valore più recente disponibile:

Interpretare la figura non è immediato. Per prima cosa, se le regioni in arancio fossero nuovamente nella coda destra del grafico, si potrebbe facilmente concludere che il vincolo monetario non è quasi sicuramente ciò che limita il numero di test. Se invece fossero nella coda sinistra si potrebbe facilmente concludere l’opposto. Il fatto che le regioni in arancio e in verde riportino un numero simile di test effettuati per ogni euro di spesa sanitaria potrebbe indicare che sono tutte soggette al vincolo monetario oppure non lo è nessuna. Il Veneto fa eccezione, con un numero di tamponi quasi doppio rispetto alla Lombardia per ogni euro di spesa sanitaria.

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È anche possibile che, qualora ci fossero le risorse monetarie, manchi il personale per l’amministrazione dei test. La figura 4 rapporta quindi il numero di tamponi al numero di medici (generali e specialisti) al 2017, il valore più recente disponibile:

Ancora una volta, il valore è molto basso e simile tra le regioni in verde e le regioni in rosso. Dall’inizio dell’epidemia un medico in Lombardia ha effettuato in media tre tamponi, un medico in Umbria due. Ancora una volta, il fatto che le regioni in arancio e in verde abbiano valori simili potrebbe indicare che sono tutte soggette alla mancanza di personale oppure non lo è nessuna. Ancora una volta, il Veneto fa eccezione.

Rimane infine un’ultima ipotesi, che attribuisce il minor numero di test effettuati a un fattore “tecnologico”, ovvero alla scarsa disponibilità di test stessi. Purtroppo non è possibile verificare questa ipotesi per mancanza di dati. Se però così non fosse, le differenze nel numero di test effettuati (relativamente alla scala dell’epidemia) rifletterebbero principalmente marcate differenze regionali nella gestione dell’epidemia.

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11 commenti

  1. bob

    la realtà Inconfutabile venuta fuori da questa triste vicenda è la penosa e vergognosa figura delle Regioni, della follia localistica- regionale che non solo ha messo a repentaglio la vita degli operatori ( i veri eroi) ma ha fatto fare a questo Paese un figura pessima a livello mondiale. Con tutto il rispetto per il suo lavoro vorrei chiederle: se l’ultimo Comune della provincia di Verona prima di Mantova è primo nel fare i tamponi e Mantova risulta ultima nel farli, può dirmi per il sistema – Paese nel suo complesso quale è il vantaggio? A parte la patetica, penosa campagna elettorale praticata da politici che ” giocano a fare ” Il Governatore” (come noi da ragazzini giocavamo a fare il dottore o l’aviatore) oppure alla sceneggiata di bloccare spedizioni di macchinari da un territorio ad un altro, per non parlare di Comuni limitrofi con protocolli completamente opposti. Forse qui non si è capito che o il Paese ritrova come nel dopoguerra un Governo nazionale e un sistema di programmazione degno di un vero Sistema -Paese oppure saranno guai seri per tutti. Non rendersene conto è gravissimo. Aldilà delle accuse, spesso veritiere, che si fanno ai partners Europei di scarsa solidarietà, sono convinto che fidarsi di una ” babele” di territori ognun per se..sia veramente difficile per loro

    • Amegighi

      Mi congratulo sinceramente con Lei. Ha colto pienamente il punto. Posso concordare con l’autore dell’articolo riguardo al discorso “logistico” sul numero di tamponi fatti. Tuttavia, se mi posso permettere da medico, qui il punto fondamentale del discorso è l’aspetto epidemiologico. Cioè quanto il virus “salta” da una persona all’altra, come si può impedire che faccia questo “salto”, e come si possono isolare quelli da cui il virus può “saltare” ad altri. Solo così si blocca l’epidemia. Se pensate al vaccino altro non è che un sistema per impedire che il virus “salti” da una persona all’altra. Senza vaccino dobiamo ricorrere alle misure di cui sopra.
      Il discorso Ospedali e ICU, è invece a valle del “salto” e riguarda le persone già infette che vanno ovviamente curate in posti sicuri per loro e per chi li accudisce. Ma è un discorso che viene a valle e che risente chiaramente di quello che succede a monte. Se non controlliamo i “salti”, i sistemi sanitari anche di primo livello mondiale, vanno in sovraccarico con tutte le conseguenze che ne seguono, compresa quella di dover decidere a chi somministrare le cure più estreme.
      Pertanto l’deale, assieme all’isolamento sociale, sarebbe la ricerca a tappeto degli infetti, con quanti più test possibili e soprattutto, come giustamente dice Lei, organizzati nel modo migliore possibile.
      Qui sarebbe utile per i conoscitori delle scienze sociali dare una mano.
      Riguardo poi allo studio influente….ce ne sono parecchi tra i 19000 recensiti.

    • Francesco Furno

      Grazie per i vostri commenti, mi sembrano punti di vista piu’ che validi, su cui pero’ l’articolo ha poco da dire. Ho semplicemente cercato di analizzare i dati per capire come valutare chi fa piu’ test, e se le differenze possono riflettere la mancanza di risorse, tutto sulla base dei dati disponibili. L’articolo non offre una risposta definitiva su quale sia la politica sanitaria nazionale/regionale da seguire, su chi sia piu’ competente, su chi abbia sbagliato. Sono pero’ convinto che se si vuole cercare di capire chi ha fatto bene e chi ha fatto male, bisogna partire dai dati altrimenti anche le tesi piu’ valide rischiano di rimanere inascoltate.

      • Lorenzo

        Egr. sig. Furno lei ha del tutto ragione (col senno del poi); I dati sono letti dopo quello che gli italiani a più riprese hanno deciso: [da Wikipedia per l’inizio “Il referendum costituzionale del 2001 in Italia si è svolto il 7 ottobre 2001. È stato il primo referendum di tale tipologia nella storia repubblicana; ed aveva ad oggetto la modifica il Titolo V della parte seconda della Costituzione della Repubblica Italiana venne approvato con il 64,2% dei voti a favore con affluenza attestata al 34,1% dei votanti.”

    • Bello e interessante l’articolo ma il problema di base sono i dati, quelli sono i tamponi fatti, ma quanti sono quelli analizzati? Per fare tamponi si impiega poco tempo e poca spesa, il costo più ingente, sia monetario che lavorativo, è la fase di analisi del tampone con i reagenti. Cosa che viene fatta nei laboratori, ogni regione ne ha un numero diverso e una diversa capacità di analisi. I dati del “numero dei tamponi fatti giornalieri” si traduce sul “numero di tamponi analizzati” circa 5/7 giorni dopo. Sarebbe interessante una ricerca sulla capacità, di ogni regione, di analizzare i tamponi e di capire quale sia la media che vanno “dispersi” per danneggiati o non validi. Grazie

      • Francesco Furno

        Condivido le sue preoccupazioni. La soluzione ideale sarebbe che il ministero condividesse i dati dettagliati, che hanno ma decidono di tenere privati. Se fossero resi disponibili dati dettagliati le assicuro che si saprebbe in 3 giorni cosa sta succedendo, chi sta facendo bene e chi sta facendo male. Forse e’ proprio per questo che non li pubblicano.

  2. TIBERIO DAMIANI

    Grazie per queste informazioni. Tuttavia mi sembra che ci sia una serie di problemi, normali in quanto affrontiamo una pandemia mondiale per la prima volta dopo un secolo, quindi il nostro apparato informativo è ovviamente limitato dalla distanza temporale. Questo fattore può forse spiegare le incertezze riscontrabili nello sviluppo della risposta, locale e generale. nello specifico dei test (tamponi) non abbiamo dati omogenei perché non sono stati effettuati (in Italia, ma forse anche altrove) con criteri omogenei. Sintomatici gravi? Lievi ? Allargare la ricerca ai familiari e ai contatti (quale è la misura del contatto?) dei positivi, non ha avuto un andamento codificato ed omogeneo. Inoltre, “presumere” che ad ogni caso identificato si possa far corrispondere un certo numero di casi non riconosciuti perché non testati, ma “considerabili” positivi, non ha molto di scientifico. Inoltre, da un punto di vista semplicemente clinico, le risposte sono state molto diverse, tra regione e regione, vale a dire prevenire fin quando possibile la ospedalizzazione ha comportato un’ovvia progressione della gravità, mentre in altre regioni si è preferito anticipare l’aggravamento ricorrendo alle cure ospedaliere non in condizioni estreme. Infine, i vari protocolli sui farmaci, richiederanno tempo per mostrare risultati confrontabili. per non parlare della temibile possibilità di reinfezione. resta ancora molto da studiare, in modo meno disomogeneo

  3. TIBERIO DAMIANI

    Per concludere, davanti ad una pandemia le risposte sono state non omogenee e quindi scarsamente confrontabili. Se vogliamo trarne una lezione, forse è necessario che ci sia una miglior organizzazione decisionale, non solo per quanto riguarda le misure economiche o comportamentali collettive e personali, ma anche per quanto riguarda un corretto comportamento diagnostico, per poi farne seguire un adeguato comportamento preventivo e curativo.

    • Francesco Furno

      Grazie per gli interessantissimi commenti. Sono d’accordo con lei: dati disomogenei e che riflettono pratiche diverse. Rimango pero’ dell’idea che il punto di partenza sia l’analisi dei dati disponibili: vediamo cosa ci dicono e poi iniziamo a ragionare su quali sono i problemi dei dati e cerchiamo di portare aggiustamenti. Bisogna partire da qualcosa, altrimenti sono solo opinioni soggettive.

      Per quanto riguarda il suo commento “Inoltre, ‘presumere’ che ad ogni caso identificato si possa far corrispondere un certo numero di casi non riconosciuti perché non testati, ma “considerabili” positivi, non ha molto di scientifico.”, non sono d’accordo. Noti che stimo i casi effettivi sulla base dei decessi registrati, perche’ sembra che i decessi sia la variabile misurata con piu’ accuratezza (anche se ci sono dei problemi). ignoro quindi i casi rilevati nella procedura. Quest’ultima restituisce una stima corretta sotto certe ‘ipotesi’, che condivido con lei potrebbero non essere rispettate, anche se non ho potuto delinearle tutte perche’ non e’ questa la sede. La procedura non e’ meno scientifica di quelle che vede nelle centinaia di analisi in cui viene simulato l’andamento dell’epidemia con delle equazioni differenziali i cui parametri sono praticamente sconosciuti ex-ante. Grazie ancora per i suoi commenti.

  4. Marcello Sabioneta

    Esiste qualche studio sul numero dei guariti? In Italia è incredibilmente basso rispetto a paesi come Francia e a Germania dove l’epidemia è scoppiata anche dopo…. sarebbe interessante approfondire

    • Francesco Furno

      Condivido, sono domande fondamentali. Tuttavia, non saprei dirle. Tenga presente che se si identificano casi relativamente piu’ gravi (come succede in Italia rispetto a Germania), e’ chiaro che questi hanno una minore probabilita’ di sopravvivere. Quindi a parita’ di casi rilevati in Italia e Germania, l’Italia registrera’ meno guariti. Non so dirle oltre…

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