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Cosa funziona e cosa no nella scuola online

Il coronavirus ha messo la scuola italiana davanti a una prova difficilissima, con chiusure prolungate degli istituti. Anche con la didattica a distanza, il primo obiettivo deve rimanere quello di non perdere per strada i più deboli e i meno attrezzati.

La scuola di fronte all’emergenza

L’emergenza del coronavirus colpisce duramente la scuola italiana. Nelle regioni del Nord gli istituti sono fermi da fine di febbraio; il 5 marzo la sospensione delle attività didattiche è stata estesa a tutto il territorio nazionale; per il momento la riapertura è prevista per il 6 aprile, ma è probabile che la data slitti a dopo Pasqua o, addirittura, a maggio. Il normale svolgimento dell’anno scolastico rischia dunque di essere seriamente compromesso: non tanto sul piano formale – è prevista la deroga alla soglia minima dei 200 giorni di lezione – quanto piuttosto sul versante sostanziale degli apprendimenti.

Come hanno reagito le scuole di fronte all’emergenza? La risposta immediata, fortemente sostenuta dal ministero dell’Istruzione, è stata di cercare di trasferire online la didattica, attivando modalità di apprendimento a distanza. Il ministero ha anche allestito un “ambiente di lavoro” per aiutare le scuole: scambi di buone pratiche, webinar di formazione, contenuti multimediali per lo studio e link a piattaforme certificate.

È ovviamente troppo presto per valutare gli esiti di questo sforzo, che per la prima volta nel nostro sistema rompe – a lungo e sistematicamente – il legame fra aula e insegnamento. Dai primi monitoraggi ministeriali affidati agli uffici territoriali decentrati, come quello del Piemonte, emerge che le scuole si stanno muovendo “in ordine sparso”, sfruttando sia le numerose piattaforme utilizzabili per la didattica a distanza (come Google Suite for Education, Microsoft Office 365 Education, Moodle, Edmodo o We-School), sia le funzionalità del registro elettronico. Si segnalano anche usi di Skype, Zoom, WhatsApp e altro: strumenti non pensati per finalità educative, ma facili da usare e dunque utili almeno per restare connessi. All’interno delle scuole, pure i singoli docenti si muovono in ordine sparso: ogni istituto dovrebbe comunque avere un animatore digitale e un team per l’innovazione, in grado sulla carta di fornire una guida ai colleghi.

Ritardi e disuguaglianze

Nonostante lo spirito di iniziativa e la generosità di molti docenti, il passaggio all’online si scontra però con i ritardi storici della nostra scuola, creando preoccupanti differenze di trattamento fra gli studenti.

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In primo luogo, la disponibilità della connessione in banda larga, molto diversa fra una località e l’altra e fra una famiglia e l’altra: Internet nelle scuole viene generalmente usato per collegare le classi al mondo esterno; qui invece parliamo di connessioni dirette fra docenti e studenti, che sfruttano le reti casalinghe. Secondo i dati Istat 2018, il 26 per cento delle famiglie non dispone di accesso alla banda larga da casa; la differenza fra la regione con maggiore (Trentino) e minore (Molise) copertura è di ben 15 punti. Anche le differenze socio-economiche contano molto: solo il 16 per cento delle famiglie senza titolo di studio ha un accesso a banda larga fissa o mobile, contro il 95 per cento delle famiglie di laureati. Per fortuna, dove ci sono minori, la possibilità di connessione fissa o mobile è molto alta (95 per cento). In sintesi, molte famiglie italiane con figli dispongono di una connessione in grado di utilizzare gli strumenti didattici a distanza, ma rimangono sacche di esclusione al Sud e fra i meno abbienti. Sarebbe auspicabile che gli operatori di telecomunicazione si facessero carico di queste situazioni di disagio, fornendo gli strumenti per assicurare lo studio a tutti, almeno per la durata dell’emergenza.

Va poi detto che la preparazione professionale dei docenti alla didattica a distanza è in molti casi inadeguata. Secondo una recente indagine dell’Autorità delle comunicazioni, il 47 per cento dei docenti usa le tecnologie digitali quotidianamente, mentre il 27 settimanalmente. Dalla stessa indagine emerge però che solo nell’8,6 per cento dei casi gli insegnanti le utilizzano per attività progettuali a distanza, mentre per la maggioranza si tratta di consultare fonti o materiali digitali, compilare il registro elettronico o preparare powerpoint. Insomma, un uso abbastanza rudimentale della rete, in linea con la didattica frontale, di poco aiuto nella gestione di una classe online per un periodo prolungato, specie nella scuola primaria. È evidente che in futuro la capacità di insegnare online dovrà diventare un requisito obbligatorio per tutti i docenti.

Vediamo i nostri studenti: l’indagine Icils 2018 (International Computer and Information Literacy Study) dell’Iea (International Association for the Evaluation of Educational Achievement), che ha coinvolto 46 mila studenti di 14 diversi sistemi scolastici (Italia compresa), dimostra chiaramente che l’uso anche intensivo di strumenti digitali (tablet, smartphone e via dicendo) di per sé non garantisce lo sviluppo di competenze digitali sofisticate davvero utili per l’apprendimento. In altre parole, essere nativi digitali non è un vantaggio: come per i docenti, anche gli studenti vanno maggiormente accompagnati nei percorsi della didattica a distanza. Non solo: titolo di studio e occupazione dei genitori, uniti alla disponibilità di libri a casa, fanno anche qui la differenza.

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Oggi la preoccupazione prevalente delle scuole e del ministero sembra essere completare i programmi di studio per l’anno in corso. La letteratura suggerisce però che gli studenti corrono un rischio più subdolo: i lunghi periodi di distacco, come le vacanze estive, determinano infatti un calo degli apprendimenti proporzionale alla lunghezza della sosta. Se saranno costretti a fermarsi per molte settimane, gli studenti rischiano dunque di dimenticare gran parte di quanto appreso. Un obiettivo ragionevole, in primo luogo per gli insegnanti, nella fase di lontananza dalla scuola sarebbe dunque quello di consolidare quanto fatto fino a oggi. A questo scopo, la Fondazione Agnelli ha promosso, insieme a Fondazione Specchio dei Tempi e a La Stampa, il programma #restoascuola, rivolto proprio a chi ha bisogno di un percorso di rafforzamento individualizzato.

Non sappiamo ancora come la scuola italiana supererà questa prova difficilissima. Ma in questa fase drammatica, il primo obiettivo rimane quello di non perdere per strada i più deboli e i meno attrezzati. Sperando che vengano presto giorni migliori, nei quali guardare alla didattica a distanza come a un’opportunità in più, per docenti e studenti, e non come a un obbligo imposto dall’emergenza.

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  1. Savino

    I bambini di 6-7 anni se perdono un mese o più di scuola rischiano una compromissione alfabetica per tutto il resto della vita. Da sciacalli, poi, le rivendicazioni di straordinari per le lezioni a distanza da parte di alcuni sindacati

  2. Luca Cigolini

    “La letteratura suggerisce però che gli studenti corrono un rischio più subdolo: … un calo degli apprendimenti proporzionale alla lunghezza della sosta. … dimenticare gran parte di quanto appreso. Un obiettivo ragionevole, … sarebbe dunque quello di consolidare quanto fatto fino a oggi”. Se serve a tranquillizzare un’opinione pubblica spaesata, da docente confermo che queste cose le sappiamo e proprio in questa direzione ci stiamo muovendo, almeno nel mio liceo. Naturalmente anche con attenzione ai contenuti ancora da svolgere. Ma si tratta soprattutto di non perdere competenze, e – se possibile – di rafforzarne alcune che solitamente hanno minore peso (banalmente, gli alunni in questa circostanza possono essere guidati a leggere e comprendere in modo un po’ più autonomo. O a scrivere un po’ di più). Inoltre posso anche assicurare che (con qualche fatica) negli ultimi giorni son riuscito a completare il contatto con tutti i miei alunni, anche con i più deboli. Spero di non essere una mosca bianca in un istituto di mosche bianche!

  3. Lorenzo

    La scuola non supererà questa fase, ma la introietterà. Le frasi principali sono due: “… solo nell’8,6 per cento dei casi gli insegnanti le utilizzano per attività progettuali a distanza…” e “… anche gli studenti vanno maggiormente accompagnati nei percorsi della didattica a distanza …”. Succederà come è successo per l’insegnamento delle lingue straniere e dell’informatica.

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