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Covid-19 in Italia: a che punto siamo e quando potrebbe finire

La Cina è il modello per capire l’evoluzione del coronavirus anche in Italia. Lì ci sono voluti circa due mesi di rigida quarantena per batterlo. Da noi significa quindi guardare alla prima metà di maggio per la fine dell’emergenza.

A che punto siamo secondo il governo

Nel mezzo di una crisi senza precedenti come quella del coronavirus prevalgono smarrimento e ansia determinati dall’incertezza. È quindi importante che le istituzioni forniscano ai cittadini informazioni e previsioni sulla presumibile evoluzione nella diffusione dell’epidemia. Come riporta Marzio Bartoloni su il Sole 24 Ore, una stima del governo (estrapolata dalla relazione tecnica al terzo decreto sull’emergenza) sulla data e sul livello di contagiati indica: “92 mila contagiati dal coronavirus fino a fine aprile e oltre 360 mila in quarantena con il picco dei contagi atteso intorno al 18 marzo”. Si tratta di previsioni formulate in base ai dati del ministero della Salute relativi “all’andamento dei contagi fino all’8 marzo e ipotizzando un andamento futuro dei contagi giornalieri come dal grafico seguente, elaborato considerando un raddoppio dei contagi in circa 3 giorni fino a metà marzo e successivamente un graduale calo dovuto alle misure di contenimento varate dal governo. Questo andamento porterebbe ad un numero di soggetti contagiati complessivi pari a circa 92 mila”. Se a questo si unisce l’ipotesi che “per ogni nuovo contagio vengano messe in quarantena con sorveglianza attiva o in permanenza domiciliare fiduciaria 4 persone” si arriva alla stima di 390 mila persone in quarantena. Se poi, confermati i 92 mila contagi complessivi, si fosse in presenza di una percentuale di decessi del 3 o 4 per cento, le morti da coronavirus potrebbero essere in tutto oltre 3 mila.

Grafico 1


Fonte: il Sole 24 Ore, 13 marzo 2020.

Occhio agli indicatori

Dal testo citato sembra di capire che il governo tiene d’occhio la variazione nel numero dei contagiati come indicatore principale. Si prevede che l’indicatore aumenti fino al 18 marzo compreso, quando la crescita si dovrebbe azzerare, in corrispondenza del livello di circa 4.300 contagiati giornalieri e 36.922 totali. Da lì in poi, la variazione dovrebbe gradualmente decrescere verso lo zero, fino a raggiungere il livello di 92 mila contagiati totali nei successivi 45 giorni.

I casi registrati di coronavirus sono però un numero minore di quelli effettivi. Per capire se una persona ha il virus bisogna sottoporla a tampone faringeo che però – lo ha deciso il governo – si fa solo a quelli che manifestano sintomi e a chi è stato a contatto con pazienti positivi. I quasi 140 mila tamponi effettuati finora in Italia con questa regola hanno “prodotto” un numero di contagiati pari a 27.980 (dati al 16 marzo): circa uno su cinque.

Sono stati fatti “tanti” o “pochi” tamponi? Il confronto con un altro paese ugualmente in prima linea nella battaglia contro il virus come la Corea del Sud mostra che l’Italia di tamponi ne ha fatti pochi sul totale della popolazione. Fino al 15 marzo, i coreani hanno eseguito 274.504 tamponi su 51 milioni di abitanti (il 3 per cento è risultato positivo), cioè un paese con meno abitanti dell’Italia ha fatto il doppio dei tamponi. È quindi facile immaginare che da noi ci sia in giro un elevato numero di contagiati asintomatici che non sono stati sottoposti all’analisi e che hanno potuto contagiare altre persone, continuando a condurre la loro più o meno normale vita sociale.

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È proprio la presenza di contagiati asintomatici a rendere il virus contagioso sottotraccia e a rendere necessaria la quarantena in cui tutta l’Italia è ora ingabbiata. Sarà un caso, ma in Corea il tasso di mortalità (misurato come numero di morti da coronavirus diviso per il totale dei contagiati misurati) è lo 0,91 per cento, mentre da noi è arrivato – sempre il 16 marzo – al 7,7 per cento, una percentuale che non si trova in un nessun altro paese del mondo. Dato che la sua sequenza genetica non risulta essere tanto mutevole da rendere il virus più mortale in alcuni paesi rispetto ad altri (i virologi ne discutono), la reale mortalità del coronavirus misurata come rapporto morti-contagiati effettivi dovrebbe essere più o meno uguale ovunque. In effetti anche in Cina fuori dall’Hubei (la regione di Wuhan, epicentro dell’epidemia), i morti sono stati 119 per 13.254 casi (fonte: Organizzazione mondiale della sanità, dati 15 marzo), pari allo 0,9 per cento. Come dire che per l’Italia è possibile che sia la sottostima nel numero dei contagiati – il denominatore del rapporto – a far salire il tasso di mortalità. A titolo di esempio (la mortalità infatti varia in base all’età media della popolazione del paese, in un range tra 1 e 2,5 per cento), se il tasso di mortalità della Corea e della Cina (non Hubei) fosse quello “vero” da applicare all’Italia, vorrebbe dire che al 16 marzo in Italia c’erano 235 mila contagiati, otto volte di più dei 27.980 registrati ufficialmente. Una differenza considerevole, che verrebbe spiegata dalle migliaia di contagiati asintomatici non rilevati che il passaggio del virus lascia dietro di sé e che ha reso fondamentale l’intervento di una politica dura come quella della quarantena.

La cosa da fare è dunque continuare a effettuare tamponi e a tracciare i contagiati, anche se l’unico vero numero che ci interesserà alla fine di tutto, data l’impossibilità di capire l’effettiva dimensione del contagio con gli strumenti a disposizione, sarà quello delle persone decedute. A differenza di quello dei contagiati, il numero dei morti (se classificati correttamente) è oggettivo e ci potrà dare un’indicazione sulla vera evoluzione e ampiezza delle conseguenze del contagio nei vari paesi.

Dove arriveremo

Per ridurre il contagio derivante dalle interazioni sociali dei contagiati asintomatici, l’11 marzo il governo italiano ha adottato un provvedimento “in stile Wuhan”, con una quarantena che sostanzialmente blocca la vita sociale e buona parte delle attività economiche in tutto il paese.

Grafico 2


La media mobile a 7 giorni serve per individuale meglio il trend di entrambi gli andamenti, in modo tale da poter avere un’idea più chiara sulla distanza dei due picchi.

Proprio usando il caso della Cina e della provincia di Hubei (che conta 60 milioni di persone, come l’Italia), si può provare a fare qualche conto sulla possibile durata dell’emergenza.

In Cina la quarantena è iniziata il 23 gennaio. Da allora, come si vede nel grafico, ci sono voluti 12 giorni (fino al 4 febbraio) per toccare il picco dei contagiati giornalieri, che poi sono gradualmente scesi verso lo zero. E ci sono voluti 23 giorni per arrivare al picco di decessi, avvenuto il 15 febbraio.

L’attuazione del decreto di chiusura delle occasioni di interazione in Italia non è stata drastica come in Cina, tanto che nella sua prima versione (quella dell’8 marzo) si sono consentiti i ritorni nel Sud Italia di potenziali asintomatici non sottoposti a quarantena; e anche nei giorni successivi eventuali comportamenti devianti rispetto alle nuove regole di restrizione sono stati sanzionati meno severamente che nel paese del Dragone. Sulla base dell’evoluzione osservata in Cina è difficile aspettarsi che il 18 marzo – a distanza di soli sette giorni dal blocco – si possa raggiungere il giorno di picco sui nuovi contagiati come indicato dal governo. Una data più plausibile potrebbe collocarsi intorno al 23 marzo. E per arrivare al picco dei decessi – la vera variabile da tenere d’occhio – si dovrà aspettare altri dieci giorni circa, cioè fino alla prima settimana di aprile.

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Nel caso cinese la decrescita dei nuovi contagiati registrati dopo il picco del 4 febbraio è durata più di un mese, con i nuovi casi giornalieri scesi sotto i 100 a partire dal 7 marzo, mentre il 15 marzo se ne registravano 16. A questo punto, in Cina, il virus può dirsi sconfitto. Rimangono ancora da assorbire 9.898 casi positivi (dato Bloomberg al 15 marzo) che ai tassi attuali di guarigione potrebbero ridursi a zero entro il 25 marzo. Se sarà così, si potrà dire che l’epidemia coronavirus in Cina sarà durata due mesi completi, senza contare l’iniziale periodo di trasmissione, che si è protratto per tutta la prima metà di gennaio e, ipotizziamo, anche nella seconda metà di dicembre. In questo periodo il virus ha avuto il tempo di contagiare un numero di persone sufficientemente grande da scatenare una pandemia globale. Per fermare il contagio sono poi serviti due mesi di assoluta quarantena, senza deviazioni, forse impraticabili in una democrazia.

L’Italia, a suo modo, ha cercato di seguire le orme della Cina. Il ritardo nell’adozione della quarantena, tuttavia, si ripercuoterà anche sul tempo necessario per uscire dall’emergenza perché il numero di persone colpite è più grande. Nell’ipotesi ottimistica che l’Italia riesca a rimanere in linea con la Cina e considerato che la quarantena è iniziata l’11 marzo, l’epidemia del coronavirus potrebbe dirsi conclusa nel nostro paese intorno al 10 maggio. Naturalmente nel caso del nostro paese si dovrà tener conto anche di eventuali effetti di retroazione che derivano dalla rapida diffusione del coronavirus negli altri paesi europei, con i quali l’Italia ha tante relazioni economiche e sociali. In ogni caso, solo dopo il 10 maggio si potranno cominciare a smantellare le misure restrittive messe in atto in queste settimane, dalla riapertura degli esercizi commerciali a scuole e musei fino alle discoteche – sempre preservando le persone più anziane e quelle più esposte ai rischi sanitari – e pensare alla ripartenza che, come succede dopo le guerre, ha la possibilità di essere rapida.

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24 commenti

  1. Andrea Salanti

    Voglio sperare che la ripartenza “come succede dopo le guerre, [abbia] la possibilità di essere rapida.” Solo che l’analogia mi appare solo parzialmente convincente. A causa del (iper)inflazioni che solitamente accompagnano i conflitti se ne esce con una disponibilità patrimoniale delle famiglie fortemente decurtata così come anche un “peso” del debito pubblico fortemente ridimensionato e questo fa supporre una elevata propensione al consumo delle famiglie, una sostenuta offerta di lavoro e la possibilità di importanti defici pubblici. Dubito però che questo possa accadere dopo il presente rallentamento dell’economia.

  2. patrizio tirelli

    Buona analisi, troppo ottimista sulla fase di uscita dalla crisi. La stragrande maggioranza della popolazione italiana resterà ancora suscettibile di contagio, quindi una piena ripresa dell’epidemia sarà ancora possibile. Bisognerà studiare sistemi di tracciamento dei nuovi contagi e dei potenziali nuovi infetti. AL tempo stesso attività sociali e produttive non potranno riprendere nelle forme del passato sino alla scoperta di un vaccino e/o di farmaci che riducano la mortalità.

    • Omar Laurino

      Condivido. Non credo esistano modelli che prevedano che dopo il contenimento di questa prima ondata non ce ne siano altre. A meno che non avvenga un contenimento globale fino all’ultimo caso, che e’ impensabile con questo virus e soprattutto su una scala di giorni o settimane (e che per di piu’ riverbera la crisi di tutti gli altri stati con quella del singolo stato). E’ piu’ probabile che, in attesa di un vaccino o di qualche “miracolo”, si debbano attivare e disattivare le misure di contenimento a intervalli regolari, come ipotizza uno studio dell’Imperial College di Londra basato su modelli epidemiologici e su assunti che non sembrano particolarmente sballati.

  3. bob

    c’è un dato che noto non viene dibattuto: la crisi del mercato interno! Sono, per motivi di lavoro sempre stato convinto che l’ Italia non è un Paese esportatore come si vuol far credere ( intervento di Sapelli ” esporta solo il 30 % delle imprese a dirla grande, c’è bisogno di mercato interno..). Con il blocco di grandi Mercati di riferimento come Roma , Milano, etc si rischia veramente di fermare l’economia quotidiana, reale. L’ economia che consente, sia per potenzialità ma anche per immediatezza di riscontri in termini di produzione, fornitura, incasso alle aziende di sopravvivere. Se a questo aggiungiamo una burocrazia ormai al limite del surreale, oltre che ha regole inutili e obsolete, il rischio per questo Paese è veramente serio. Una riflessione da non sottovalutare

  4. Savino

    Tra pochi giorni non potranno essere più i virologi ad avere il ruolo di “comandanti in capo” e ci si dovrà sfidare con gli aspetti socio-economici. Occorrono riforme strutturali con la stessa emergenzialità di quelle sanitarie. L’economia deve essere liberata da tutto. Bisogna abolire tutti gli ordini professionali, tutte le licenze ed autorizzazioni, esodare tutti i pensionandi nella p.a. e creare le condizioni del turn over, far tornare i cervelli in fuga, investire in settori strategici da individuare con precisione, stoppare l’azione di lobby ed il sindacalismo ed associazionismo corporativo. Non ci possono essere solo slogan e balconi pieni. Se ce la dobbiamo fare, ognuno deve fare la sua parte, soprattutto chi ha speculato finora.

  5. Corrado M

    Sarebbe interessante se la dibattuta questione della differenza nei tassi di mortalità dell’Italia venisse analizzata per fasce di età: il tasso è più alto in tutte le fasce o solo per i “grandi anziani”? Di conseguenza, con una ponderazione per classi di età, si potrebbe stimare con maggiore affidabilità il numero teorico di contagiati nel nostro paese.

  6. Giancarlo

    Nella valutazione dei tempi d’uscita dall’emergenza sono da considerare anche variabili esogene alla dinamica epidemica. Variabili che potrebbero favorire l’uscita sono l’uso di farmaci più efficaci e il processo di apprendimento nelle cure. Variabili negative sono i possibili conflitti sociali causati dal collasso delle strutture sanitarie. Anche per questo bisogna forzare subito l’isolamento sociale e cercare di impiegare meglio le tecnologie digitali per controllare e limitare il contagio.

  7. Roberto Enrico

    La nostra non mi sembra una quarantena alla cinese. La quarantena cinese riguardava solo una parte del paese. Il resto funzionava. Qui non possiamo permettercelo. Se alla mattina la metropolitana di Milano è piena è perché la gente va a lavorare. Quindi temo che la faccenda sarà lunga e avrà un prezzo umano elevato. È quello che ha detto con brutalità anglosassone Bojo, anche se poi ha usato le sue modalità folcloristiche e fuori schema. Penso che anche i nostri lo sappiano ma non lo dicono e cercano di guadagnare qualche settimana per costruire lazzaretti appositi per fronteggiare il problema, nasconderlo anche un po’ ed evitare problemi di ordine pubblico. Lo show non può essere fermato completamente e radicalmente in tutto il paese e misure sofisticate tipo Corea forse è troppo tardi ormai. Dopo non ci sarebbe più nulla da ricostruire. Il resto è propaganda e comunicazione.

  8. Piero

    Complimenti agli autori ed in particolar modo al giovane laureato Lorenzo per l’articolo pubblicato, un ‘caldo’ saluto nella speranza che questa estate debelli ugualmente (all’organizzazione italiana) il virus, e un ringraziamento particolare per l’impegno e l’amore della nazione dimostrati.
    Piero Ziani

  9. Max

    Buongiorno, non ho ben capito su cosa si basino queste previsioni di “battere l’epidemia” in assenza di un vaccino. Ovvero, tutte le previsioni si basano sull’evoluzione dei contagi *in presenza di quarantena*. Ma se un caso partito a Wuhan ha generato tutto questo, cosa impedisce che un caso che parta dall’Italia quando si riapre tutto – ovvero in assenza di quarantena (es. 2 mesi) -rigeneri tutto questo nuovamente (dato che non abbiamo l’immunizzazione)? Ci si basa sulla capacità del sistema di tracciare ed isolare con certezza i nuovi casi ed i relativi contatti (se sporadici) in assenza di quarantena? O sul rallentamento dovuto al sopraggiungere dell’estate? Non mi è chiaro.

    • francesco daveri

      Ci siamo limitati a fissare delle date per la fine dell’emergenza attuale usando il caso cinese come punto di riferimento. per battere davvero l’epidemia ci vorrà il vaccino. nell’attesa, alla fine dell’emergenza, si potranno adottare politiche di cauta apertura usando strumenti per tenere sotto controllo i soggetti e le situazioni a rischio. Non sarà facile. Si vedrà ancora cosa faranno i cinesi.

  10. Maria Teresa

    Non comprendo la ragione per cui praticamente consideri che l’epidemia è di fatto partita ben prima che l’Italia si “svegliasse” nel panico e dichiarasse allarme rosso. Molti sin da metà/fine gennaio (tutta la mia famiglia – per esempio – nonché amici dei figli, ecc.) si sono pesantemente ammalati, con i sintomi poi descritti, guarendo e a fatica riprendendo la vita normale. Alcuni sono deceduti (anziani…) a inizio febbraio “perché non ce l’hanno fatta” a seguito di una bronchite. Ma nessuno parlava di Coronavirus, qui da noi. Tutto è partito ben prima (alcuni lo segnalano timidamente, in effetti). Che senso ha fare conti/calcoli/previsioni solo dal 20-21 febbraio, o peggio, da inizio marzo?

    • francesco daveri

      Consideriamo l’11 marzo perché è da quella data che è partita la politica “in stile Wuhan”. Datare l’inizio della diffusione è più difficile, sia in Cina che da noi

      • Maria Teresa

        Chiaro, grazie. Immagino che, volendo studiare/analizzare un fenomeno, sia inevitabile porsi dei parametri e dei limiti temporali definiti, anche rischiando di lasciare fuori una porzione (magari interessante) del pregresso.

  11. Francesco Marcello

    Scusate, l’articolo (scritto il 17 marzo) dice che se a, se b, se c… “le morti da coronavirus potrebbero essere in tutto oltre 3 mila”. Ad oggi (23 marzo) le morti sono 6077 quindi almeno il doppio. Non vorrei che le previsioni dell’articolo fossero troppo rosee – anche se pure gli autori dell’articolo parlando di “ipotesi più ottimistica”.

    • Francesco Marcello

      Mi accordo al mio commento precedente e proseguo. La data di inizio dell’analisi degli autori è l’11 marzo, data in cui è partita la politica stile Wuhan. Nella città cinese tale data può essere fatta risalire al 23 gennaio. In base alle ultime notizie, le restrizioni a Wuhan verranno tolte dall’8 aprile e ci si potrà muovere liberamente. Sono in pratica 2.5 mesi e mezzo il che rende difficile quanto sostenuto dagli autori secondo cui “l’epidemia del coronavirus potrebbe dirsi conclusa nel nostro paese intorno al 10 maggio”. Più probabile fine maggio o inizio giugno, il che renderebbe impossibile, tanto per fare un esempio, la riapertura delle scuole.

    • francesco daveri

      Mi scusi ma non ha letto con sufficiente attenzione l’articolo e ci attribuisce conclusioni a cui non siamo arrivati. nella prima parte del pezzo (titolo ” a che punto siamo secondo il governo”) riportiamo appunto le previsioni (rosee) del governo che includevano di raggiungere il massimo dei nuovi contagiati per il 18 marzo (e un totale di circa 3000 morti). noi invece abbiamo scritto (nei paragrafi successivi) che ci sembrava più plausibile una data come il 23 marzo per il massimo dei nuovi contagi (la data vera sembra sia stata il 21 marzo). e scrivevamo che ci aspettiamo il picco dei decessi nella prima settimana di aprile. Il nostro 10 maggio riguarda la fine dell’emergenza, cioè quando i positivi potrebbero diventare vicini a zero o risibili. non abbiamo scritto anche a partire da quel giorno si debbano togliere le restrizioni. Nessuno è infallibile ma in questo caso sono i suoi rilievi a essere imprecisi, non quello che abbiamo scritto noi.

  12. francesco

    perdonate la mia ignoranza ma sono diminuite le persone infette quando pensate che la quarantena finisca?

    • Lorenzo Marchetti

      A mio avviso la quarantena non deve finire tutta in un momento. Il disgelo deve andare per gradi, partendo dalle attività più penalizzate dalla chiusura e dalle fasce d’età meno a rischio (sotto i 70 il tasso di mortalità si riduce drasticamente). Si possono immaginare varie opzioni. Permettere di uscire in un primo momento solo agli under 65, aprire ma tenendo chiusi parte dei luoghi di aggregazione di massa (scuole, concerti, stadi). In generale questo tipo di ragionamenti peró si potranno iniziare a fare solo dopo il 10 maggio, in quanto almeno 2 mesi di quarantena sono fondamentali per riuscire a svuotare gli ospedali e dare respiro a un sistema sanitario che in alcune regioni attualmente è al collasso. La quarantena che ci aspetta è quindi ancora lunga, teniamo duro perchè attualmente l’unico modo per vincere la guerra contro il coronavirus è questo.

      • Franco Germano

        sicuramente le scuole andrebbero tenute chiuse fino alla fine dell’anno scolastico. tenerle aperte comporta anche lo spostamento di genitori, docenti, personale non docente ecc ecc

  13. Giuseppe

    Dai dati riportati e riformulando le varie percentuali delle mortalità, se ad oggi sono circa 6100 decessi e la percentuale dello 0,9 % viene portata in forma più realistica a1,1%, significa che ad oggi i condagiati sono 555.000. Se quelli accertati risultano circa 28.000, significa che in giro ci sono più di 500.000 portatori sani e non del COVID-19. Questo ci deve veramente preoccupare!

    • Lorenzo Marchetti

      La mortalità in Italia si aggira intorno al 2,5% data l’età avanzata della popolazione. La stima sui contagiati reali a mio avviso è intorno al milione, considerando anche quelli che sono i decessi che devono ancora arrivare. I decessi infatti sono il frutto del contagio avvenuto giorni prima. Ogni giorno che passa, con il delinearsi del numero dei decessi automaticamente si delinea anche quella che è stata la reale entità del contagio prima dell’inizio della quarantena.

      • Davide

        Mio fratello è titolare di una discoteca… Secondo lei le discoteche potranno riaprire x giugno- luglio?
        Grazie

  14. CARLO OTRANTO

    Chi deve andare in quarantena è il virus,e ci andrà con l’avvento della bella stagione.Altrimenti dovremmo stare noi in quarantena in eterno.

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