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Pandemie e sviluppo: la lezione della peste

La storia della peste insegna che le pandemie possono avere conseguenze economiche assai rilevanti e persistenti. Che però non possono essere previste a priori. E nell’incertezza su chi ne risentirà di più, la solidarietà è la scelta più razionale.

Le conseguenze della Peste nera

La crisi del coronavirus ha risvegliato l’attenzione sulle conseguenze di lungo periodo delle pandemie del passato. La peste offre i migliori esempi di malattie capaci di cambiare il corso della storia. Una doverosa premessa: la pandemia di Covid-19, per quanto grave, è e rimarrà molto lontana dalle principali pestilenze per numero di vittime e tassi di mortalità complessiva.
Tra le grandi pestilenze del passato, è sulla Peste nera del 1347-1352 che si focalizza il maggior numero di studi. Si tratta di una delle peggiori pandemie della storia: ha ucciso tra il 35 e il 60 per cento della popolazione complessiva dell’Europa e del Mediterraneo (fino a 50 milioni di vittime). ed è anche il miglior esempio di pandemia che, pur terribile e devastante nel breve periodo, nel lungo periodo ebbe conseguenze complessivamente positive: ribilanciò il rapporto tra popolazione e risorse, creò le condizioni per una riorganizzazione della produzione agraria, favorì l’aumento dei salari reali e determinò una significativa riduzione della disuguaglianza economica.
A quanto ne sappiamo, la Peste nera colpì le diverse parti dell’Europa all’incirca con la medesima intensità. Le sue conseguenze economiche, tuttavia, non furono ovunque le stesse. In aree geograficamente periferiche del continente e scarsamente popolate, come Spagna o Irlanda, ridusse la popolazione complessiva a livelli così bassi da compromettere il tessuto urbano e commerciale, con conseguenze negative che perdurarono per secoli. Per l’Italia, che pure secondo alcuni studiosi si sarebbe avvantaggiata meno di altri dalla Peste nera, furono invece le ultime grandi pestilenze del diciassettesimo secolo a innescare una fase di declino.

L’Italia e le pestilenze del Seicento

Le pestilenze del Seicento, invece, si caratterizzarono per una forte eterogeneità nei livelli di mortalità complessiva, colpendo assai più duramente il Sud Europa rispetto al Nord (figura 1).
In Italia, la peste del 1629-1630 uccise il 30-35 per cento della popolazione complessiva del Nord (due milioni di vittime). Nel 1656-1657 l’epidemia colpì soprattutto il Centro-Sud; nel Regno di Napoli soppresse tra il 30 e il 43 per cento della popolazione complessiva.
Circostanza interessante (e misteriosa): nessuna comunità italiana pare essere stata colpita più di una volta dalla peste nel corso del Seicento. Per contro, in Inghilterra la peste colpì ripetutamente ampie aree del paese. Londra, ad esempio, subì almeno quattro gravi pestilenze tra il 1603 e il 1665-1666. Tuttavia, anche cumulando le vittime di tutte queste epidemie, il caso dell’Inghilterra rimane radicalmente diverso da quello dell’Italia, come evidenziato dalla figura 1.

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Figura 1 – L’intensità della peste nell’Europa del Seicento (numero complessivo di vittime causato dalla peste durante il secolo rapportato alla popolazione dell’anno 1600, in percentuale).

Fonte: elaborazione a partire da dati pubblicati in Alfani (2013), p. 411.

Le pestilenze del Seicento colpirono l’Italia nel peggiore dei momenti possibili. La competizione economica con i paesi dell’Europa settentrionale, favoriti anche dal più facile accesso alle nuove rotte atlantiche, si era fatta particolarmente intensa. La catastrofe – localizzata e non estesa a tutto il continente come era stato nel caso della Peste nera – compromise le residue possibilità degli stati italiani di mantenere le proprie posizioni, anche perché, in un’epoca di mercantilismo, la contrazione della domanda interna causata dal tracollo demografico contribuì a rendere impossibile il mantenimento di livelli produttivi e quote di mercato. Per giunta, dato il contesto iniziale, la peste del Seicento non portò né a un miglioramento dei salari reali, né a una riduzione della disuguaglianza. L’Italia nel suo insieme aveva infine imboccato un percorso di declino relativo.

Tuttavia, entro l’Italia alcuni stati risentirono dello shock più duramente di altri. È il caso della Repubblica di Venezia. Qui, la mortalità fu particolarmente elevata (fino al 40 per cento della popolazione), e agli effetti negativi della peste si sommarono quelli della costosissima guerra di Candia (1645-1669) contro l’Impero ottomano. Per contro, il Piemonte sabaudo, relativamente risparmiato nel 1630 forse grazie alla morfologia del suo territorio montuoso e collinare, riuscì a recuperare rapidamente i danni subiti continuando l’ascesa che l’avrebbe portato a essere, nel Settecento, la principale potenza militare dell’Italia, nonché la sua economia più dinamica.

La figura 2 evidenza le traiettorie divergenti degli stati italiani impiegando, quale indicatore di sviluppo economico relativo, i tassi di urbanizzazione.

Figura 2 Tassi di urbanizzazione in alcuni stati italiani pre-unitari, 1500-1800 (per città >5,000 abitanti).

Fonte: elaborazione a partire da dati pubblicati in Alfani e Percoco 2019.

Gli insegnamenti per la pandemia di oggi

La storia della peste offre una lezione importante ai paesi europei alle prese con il Covid-19: una pandemia, anche quando colpisce con la stessa intensità, può sortire effetti economici fortemente diversi in aree diverse. Tali effetti dipendono da un insieme complesso di fattori iniziali ed è difficile stabilire a priori quale risulterà più importante. Pochi, nell’Italia del 1630, avrebbero potuto immaginare che la peste avrebbe favorito lo sviluppo del Nordovest rispetto alla Repubblica di Venezia, che in quel momento era una delle aree più ricche e avanzate d’Europa. Oltre tutto, nel contesto politico-istituzionale del Seicento, la rivalità e l’aperta ostilità tra stati contribuirono senz’altro ad amplificare la capacità della pandemia di danneggiare alcuni a vantaggio di altri, ma senza produrre alcun beneficio collettivo.

Oggi, nell’incertezza sulle conseguenze economiche di lungo periodo che Covid-19 avrà in regioni diverse – che potrebbero anche non essere peggiori nei “soliti sospetti”, ad esempio nei paesi ad alto debito – la solidarietà e la collettivizzazione delle risposte alla crisi (all’interno l’Italia così come nell’Unione europea) costituiscono la scelta più razionale.

Abbiamo una prova storica dei benefici prodotti da solidarietà e cooperazione internazionale dopo una catastrofe: la rapida crescita economica dell’Europa occidentale dopo la seconda guerra mondiale. La progressiva costruzione dell’Unione europea, oltre ad aver garantito pace e prosperità al continente, offre un’opportunità storicamente senza precedenti per trasformare anche una pandemia in un’occasione di ripresa collettiva, a beneficio di tutti. Altrimenti, cercare di trarre qualche vantaggio da uno shock economico asimmetrico di origine pandemica sarebbe, oltre che discutibile sul piano etico, assai rischioso.

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  1. FRANCESCO MAGNO

    L’emergenza creata dal virus Sars-Cov19 ha avuto tanti effetti. Uno di questi, evidente, è stato quello di risvegliare l’interesse verso una branca della storia economica molto trascurata e cioè lo studio dei contagi e dei suoi effetti nella storia. Oblio probabilmente causato dal fatto che la storia economica servirebbe a spiegare le dinamiche del presente, mentre questo studio si riteneva (a torto) ormai di nessuna attualità. Ebbene, non ho mai dimenticato la lezione di un grande storico italiano quale Carlo Cipolla, che ha scritto pagine tuttora, a distanza di decenni, definitive su come le pestilenze furono affrontate dagli stati italiani -all’epoca all’avanguardia- e sui loro effetti economici. Rileggendo mentre il morbo infuriava quelle pagine, ad ogni pagina ho fatto fatica a pensare che fossero state scritte da un autore scomparso ormai da quasi vent’anni. Che peccato non aver trovato finora, né sui giornali, né in TV né ahimè su testate specializzate alcun riferimento alla sua opera. Leggendole si capirebbe che anche in passato i morbi colpivano in un posto più e in un altro magari poco lontano molto meno; che i morbi avevano una loro stagionalità; che la risposta degli stati italiani era codificata già dal cinquecento in un insieme di norme molto simili a quelle adottate oggi (non si chiamava lockdown ma all’estero era noto come modello italiano). Sarebbe bello che si riscoprisse e valutasse la lezione di questo grande studioso.

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