La task-force “Donne per un nuovo Rinascimento” ha il compito di creare le condizioni per superare gli ostacoli radicati nel nostro paese che impediscono la riduzione dei divari di genere. Ecco alcune proposte strategiche su lauree Stem e lavoro.
“Donne per un nuovo Rinascimento”
A metà aprile Elena Bonetti, ministra per le Pari opportunità e la famiglia, ha lanciato la task-force “Donne per un nuovo Rinascimento” con il compito non solo di pensare a una strategia “post-Covid-19”, ma di creare le condizioni per superare gli ostacoli radicati nel nostro paese che impediscono la riduzione dei divari di genere.
La task-force ha prodotto un primo documento con alcune proposte strategiche. Ci soffermiamo qui sulle proposte in ambito Stem (science, technology, engineering and mathematics – scienza, tecnologia, ingegneria e matematica) e lavoro.
Il ruolo delle materie Stem
L’esperienza degli ultimi mesi ha delineato un contesto inedito, che ha fatto emergere nuove consapevolezze e una rinnovata attenzione verso la scienza. Ci sembra quindi che ricorrano oggi le condizioni per promuovere il ruolo delle materie Stem come motore di una ripresa che intervenga nel presente per preparare il domani.
Se guardiamo i numeri, è nel campo dell’istruzione che i progressi per le donne sono stati impressionanti. Le giovani che oggi entrano sul mercato del lavoro sono infatti più istruite dei loro coetanei praticamente in tutti i paesi industrializzati e in Italia rappresentano il 56 per cento del totale (Censis 2019). Eppure, sono ancora poche le ragazze che scelgono le discipline tecnico-scientifiche. Nel 2017 le donne hanno rappresentato il 41 per cento dei laureati in discipline Stem, e la proporzione si limita al 26 per cento quando si considerano i gruppi di ingegneria. Uscendo dall’università, la dispersione di talenti femminili si accentua ulteriormente lungo tutto il percorso di carriera nella ricerca e in ambito accademico. A parità di qualifiche, le donne hanno carriere più lente o limitate, finendo così per occupare raramente ruoli apicali. In dati, nel 2017 le donne rappresentavano il 36 per cento dei docenti e ricercatori in aerea Stem, proporzione che si riduce al 19 per cento tra i professori ordinari (AlmaLaurea 2018).
Tenendo conto di questo contesto, le proposte messe sul tavolo hanno cercato di rispondere, seppure non in modo esaustivo, alle diverse problematiche legate alle materie Stem, modulate attraverso le varie fasi della vita femminile, dalla scuola in poi.
Qualche esempio. Promuovere l’importanza di una formazione Stem per le ragazze rispetto alle professioni di domani; favorire le carriere femminili nelle istituzioni accademiche e di ricerca, mitigando per esempio penalizzazioni legate alla fruizione di congedi maternità; definire un ranking nazionale delle istituzioni accademiche e di ricerca sulla base dell’equilibrio di genere che le caratterizza; introdurre misure per garantire una presenza adeguata di donne in tutti gli organismi e commissioni di università o enti di ricerca; formazione obbligatoria per membri di commissioni e organi decisionali per evitare condizionamenti inconsci (unconscious bias). Pensando anche agli anziani (in gran parte donne, se si considera la demografia dei 65+), favorire scambi intergenerazionali per l’acquisizione di competenze digitali.
Si è voluta riconoscere l’urgenza di lavorare sugli stereotipi proponendo un tavolo di lavoro tra il dipartimento per le Pari opportunità e il ministero per l’Istruzione, per definire una strategia che aiuti a eliminare pregiudizi e stereotipi di genere a tutti i livelli di istruzione e dai testi scolastici.
Una attenzione specifica è stata poi rivolta alle scuole elementari, luogo in cui si costruisce nelle bambine una identità Stem. Per prevenire l’apparire di quel divario di matematica (Math divide) che pesa sulle scelte future, si è proposta l’introduzione di un nuovo modello di insegnamento della materia matematica basato sull’adozione di pedagogie innovative, sulla prossimità crescente tra neuroscienza ed educazione e sull’uso rafforzato delle possibilità di apprendimento digitale.
Tenendo conto che il futuro del lavoro dipenderà in maniera crescente dalla capacità di abbinare le competenze tecniche a forti abilità interpersonali e di pensiero interdisciplinare, si è proposta una sorta di “rinascimentalizzazione” dei percorsi universitari, introducendo, in modalità obbligatoria, materie umanistiche nei percorsi Stem e materie scientifiche nei percorsi umanistici. Questa apertura, che riduce i confini tradizionali tra discipline, potrebbe portare a una nuova, e inclusiva, prospettiva sulle materie Stem, creando le condizioni per un futuro di pari opportunità.
Le proposte per il lavoro
Covid-19 è esploso su una situazione di partenza difficile per il lavoro delle donne. Il tasso di occupazione femminile in Italia è da decenni stabilmente tra i più bassi in Europa, fermo intorno al 49,5 per cento (dati 2018, popolazione 15-64 anni; quello maschile è pari al 67,6 per cento), al Sud è fermo al 33 per cento. Durante la crisi del coronavirus, abbiamo visto donne in prima linea in settori come la sanità e la grande distribuzione. Ma le donne sono anche in maggioranza tra i lavoratori di settori fortemente colpiti dalla crisi (servizi, turismo, ristorazione) e in lavori ad alto rischio di contagio (scuola, ospedali).
Il lavoro femminile, già componente debole del mercato del lavoro, rischia di essere colpito più duramente dalla crisi Covid-19. Secondo i dati Inps, il 76 per cento di chi richiede congedi Covid e il 61,5 per cento dei destinatari di cassa integrazione ordinaria sono donne. Sulle donne è gravata la maggior parte del lavoro domestico e del lavoro di cura, che sono aumentati durante l’emergenza sanitaria e compromettono ulteriormente il persistente disequilibrio dei carichi di lavoro e di cura all’interno della famiglia, con riflessi negativi per le donne sul mercato del lavoro. L’imprenditoria femminile, soprattutto le micro-imprese, sono a rischio. L’Italia è intrappolata da anni in un equilibrio di bassa occupazione femminile e bassa fecondità, da cui non può uscire senza politiche familiari più coraggiose, copertura di asili nido e un sistema più efficace di trasferimenti e agevolazioni fiscali (tax expenditures).
Due i principi guida trasversali alle nostre proposte: promuovere la leadership bilanciata per genere in tutti i contesti (decisori pubblici, organi di governo) e applicare la valutazione di genere a priori e a posteriori a tutti i processi decisionali. Il primo principio si realizza attraverso un Osservatorio per la parità di genere, con compiti di monitoraggio e di valutazione. Il secondo principio si traduce nell’obbligo di valutazione di genere sia per le iniziative di policy (legislative, politiche, strategiche, programmatiche) sia per i processi aziendali (ristrutturazione, risanamento) sia per tutte le organizzazioni aziendali (misurazione e certificazione della parità di genere).
Abbiamo bisogno di processi snelli, rapidi, trasparenti, comunicati in modo efficace e monitorati anche grazie a dati e statistiche più adeguate. Così possono essere efficaci le nostre proposte concrete, come l’istituzione di un fondo per la micro-impresa femminile e gli interventi sugli asili nido.
Un’altra proposta è l’incentivo per le madri che tornano al lavoro, pari fino al 30 per cento del salario, cioè quanto riceve la lavoratrice se richiede il congedo parentale facoltativo (almeno per la stessa durata) e la dotazione di un contributo a tutte le famiglie dalla nascita di un figlio, nella prospettiva di superamento dei molteplici istituti, anche fiscali, oggi previsti. Occorre rivedere le criticità degli attuali istituti di sostegno alle responsabilità familiari che incentivano i divari di genere, nell’ambito di una riforma complessiva del sistema tributario. Un ruolo più rilevante devono avere i congedi di paternità, strumento essenziale per promuovere la parità dei ruoli di madri e padri: estendere e rafforzare il periodo esclusivo, pienamente retribuito, per i padri alla nascita di un figlio.
Proponiamo di incentivare la flessibilità del lavoro nel periodo post-Covid-19, riprendendo le caratteristiche positive dello “smart working”, dedicato a uomini e donne allo stesso modo, evitando che sia una modalità prevalentemente femminile, che rischierebbe di aggravare la divisione dei ruoli.
Le riflessioni della task-force mettono in evidenza come le differenze di genere nascano da stereotipi molto radicati in Italia. Covid-19 rischia di aggravare la situazione e rende urgente intervenire in modo deciso con misure a favore della parità di genere, troppo a lungo rimandate nell’agenda decisionale del nostro paese. Alla task-force è stato chiesto un contributo strategico. Al governo ora, insieme agli stakeholder e nel confronto proficuo con l’esperienza accumulata dalle numerose realtà eccellenti del nostro paese su questi temi, il compito di tradurre la strategia in realtà.
* Paola Profeta e Ersilia Vaudo sono componenti della task-force “Donne per un nuovo Rinascimento”, istituita dalla ministra per le Pari opportunità e la famiglia, Elena Bonetti.
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Silvia Barbuti
Buongiorno,
più che un commento, un’osservazione con annessa proposta.
In merito al problema della disparità di genere, la cui ingiustificata sopravvivenza ritengo sia da imputarsi anche (o forse in primis) ad atteggiamenti che intervengono sin da tenera età a condizionare l’esistenza di una persona, ultimamente mi sono trovata a riflettere sull’apparentemente innocua usanza di annunciare al mondo la nascita di una creatura umana esponendo alla porta un fiocco rosa per una neonata femmina, o azzurro nel caso di un maschietto… Alla luce degli ormai annosi fatti di cronaca in tema di maltrattamenti, di violenze e disparità di genere, mi chiedo quale tipo di bisogno sia il di dichiarare in questo modo il sesso del nuovo nato: ha davvero importanza se si tratti di un maschio o di una femmina? Non sarebbe più importante (oltre che più equo) celebrare semplicemente la nascita di una nuova creatura, senza per forza doverne sbandierare il sesso? Se fosse possibile vieterei questa usanza, che ad oggi mi appare offensiva nei confronti del neonato, e se non fosse possibile vietarla inviterei le neomamme ad opporvisi, scegliendo un fiocco di un colore qualunque che non siano l’azzurro o il rosa, o ancor meglio ad invertire il colore del fiocco: “Oh, c’è il fiocco rosa, le è nata una bambina!” – “No, ho avuto un maschietto, ma ho deciso di festeggiarlo col fiocco rosa… Perché fa quella faccia, signora?!”