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Agenda fitta per la ministra alle Pari opportunità

Finalmente una ministra ha ricevuto la delega alle Pari opportunità, mettendo fine a un periodo in cui il responsabile politico di un tema così cruciale e delicato per il nostro paese era di fatto assente. Gli interventi necessari sui primi tre temi da affrontare: lavoro, istruzione e politica.

Finalmente una ministra ha ricevuto la delega alle Pari opportunità: finisce il periodo in cui il responsabile politico di un tema così cruciale, delicato e importante per il nostro paese era di fatto assente.
Nell’agenda della nuova ministra non possono mancare lavoro, istruzione e politica.

Il lavoro delle donne

I progressi sul lavoro femminile sono deboli: il tasso di occupazione è salito nel 2015 al 47,2 per cento dal 46,8 per cento dell’anno precedente, rimanendo su livelli simili a quelli dell’ultimo decennio.
I dati del Rapporto annuale Istat 2016 documentano che tra il 2004 e il 2015 sono diminuite le famiglie con due o più occupati (dal 45,1 per cento al 37,3) ma anche quelle con un unico occupato (dal 31,4 al 29,3 per cento). Sono invece cresciute, negli anni di crisi, le famiglie con un unico occupato donna (dal 5,9 all’8 per cento).
Eppure, il lavoro delle donne è una risorsa che deve essere utilizzata, per non sprecare l’investimento in istruzione delle ragazze, per consentire alle famiglie di avere redditi che proteggono dai rischi e ai minori di avere accesso a maggiori opportunità, per fare crescere l’economia nel suo complesso. Quali misure servono?

1) Rafforzare l’investimento nei servizi alla prima infanzia: nel nostro paese la frequenza ai nidi, che da sempre è al di sotto dei livelli raccomandati dall’Europa, dopo anni di crisi è in forte calo, a causa della riduzione dei redditi. E i bambini restano a casa, spesso soli con le nonne o le mamme.

2) Estendere il congedo di paternità: i due giorni oggi previsti hanno ancora un sapore simbolico.

3) Agevolare fiscalmente in modo significativo le spese per la cura sostenute dalle famiglie con doppio percettore di reddito o con un coniuge percettore di reddito e l’altro che cerca attivamente un lavoro;

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4) Ridurre i disincentivi alla partecipazione al mercato del lavoro dei potenziali percettori di reddito “secondari”, nella maggior parte dei casi donne, per esempio introducendo il credito di imposta per le donne lavoratrici;

5) Promuovere nelle aziende l’adozione di una maggiore flessibilità nell’organizzazione del lavoro, come previsto dalla normativa più recente.

6) Monitorare l’effettivo utilizzo delle misure già esistenti, quali i voucher per servizi di asilo nido e baby sitter o il discusso bonus bebè: un’opportuna valutazione può anche tradursi in cambiamento di rotta nell’utilizzo delle risorse.

L’istruzione della ragazze

Anche se le ragazze rappresentano la maggioranza degli studenti e dei laureati, le scelte di istruzione e di carriera rispecchiano ancora i tradizionali ruoli di genere: le ragazze sono particolarmente presenti nel mondo della scuola, della sanità, nel welfare e negli ambiti umanistico e artistico, mentre i ragazzi sono più numerosi nell’ingegneria, nell’industria manifatturiera e nelle costruzioni.
A queste scelte corrispondono in media livelli di retribuzioni più bassi per le ragazze. Tra i laureati specialistici biennali, a un anno dalla laurea, il divario occupazionale è di 6 punti percentuali: lavora il 59 per cento degli uomini, ma solo il 53 per cento delle donne. Con il trascorrere del tempo, il divario di genere tende ad accentuarsi. A cinque anni dalla laurea gli uomini guadagnano più delle loro colleghe con un differenziale pari al 30 per cento. Come far aumentare il numero di ragazze nei settori con retribuzioni più alte e ridurre questa parte di discriminazione?

1) Vanno forniti alle donne incentivi nei settori della formazione tecnico-scientifica, obiettivo strategico dell’Unione Europea, già seguito da molte università europee e americane. Anche in Italia cominciano a esserci interventi sia a livello regionale che a livello universitario (ad esempio, nelle facoltà ingegneristiche e scientifiche in Toscana o al Politecnico di Torino)

2) Va promossa la sperimentazione e la valutazione di programmi innovativi orientati a ridurre le differenze di genere e gli stereotipi a partire dalle scuole dell’infanzia. Cominciare dai primi anni è più efficace e meno costoso. Ylenia Brilli, Daniela Del Boca e Chiara Pronzato mostrano che le bambine hanno risultati peggiori in matematica (mentre vanno meglio nella lettura) già dalla seconda elementare (dati Invalsi). Sono differenze che persistono nel tempo.

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Donne in politica

A partire dal 2012 sono stati introdotti nel nostro paese numerosi cambiamenti legislativi volti a promuovere la crescita delle donne in ambito politico. Gli strumenti adottati sono quote nelle liste dei candidati e doppia preferenza di genere per le elezioni locali; vincolo di genere sulle tre preferenze espresse per le elezioni europee; alternanza tra sessi per l’elezione della Camera. Per le elezioni regionali è lasciato alle regioni stesse decidere, sulla base della loro legge elettorale, quale strumento adottare tra quote di genere nelle liste e doppia preferenza di genere, da un lato, o alternanza tra sessi dall’altro.
Per rafforzare ed espandere gli effetti di queste misure suggeriamo:

1) Monitoraggio della loro efficacia, anche attraverso una raccolta più dettagliata dei dati e una informazione maggiore sugli strumenti già esistenti per diffonderne l’utilizzo e per consentire valutazioni più accurate e politiche migliori per il futuro.

2) Discussione e valutazione degli effetti delle riforme istituzionali in corso in ottica di genere.

Le linee di intervento che abbiamo elencato non esauriscono l’agenda della ministra delle Pari opportunità, ma la sua stessa nomina è un’importante opportunità per rimetterle al centro del dibattito politico, dopo un’assenza prolungata.

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  1. Marco Trento

    Le autrici non danno alcuna risposta alla domanda più importante: perché l’uguaglianza di genere dovrebbe essere un obiettivo desiderabile? In Europa assistiamo a un calo pauroso della natalità. Dove si fanno figli, come in Francia, è perché lo Stato di fatto paga le famiglie. I divorzi aumentano, così come i figli nati fuori dal matrimonio. Un bambino su 4 in molti paesi europei vive ormai in famiglia monoparentale. Di fronte a tutto questo, l’unica risposta giusta sarebbe: sosteniamo la famiglia tradizionale e la divisione dei ruoli fra maschi e femmine. E invece si continua sulla strada sbagliata. Più asili nido per “conciliare lavoro e famiglia”, che poi significa lasciare i figli a estranei dal lunedì al venerdì dalle 8 alle 17, fin da quando hanno sei mesi di vita. Perché fare figli allora… E ancora, scrivono le autrici “ridurre le differenze di genere e gli stereotipi a partire dalle scuole dell’infanzia”. Cioè? Fare il lavaggio del cervello alle bambine fin dalle elementari? Bloccare lo sviluppo l’indole maschile e femminile? Insegnare ai maschi che è bello fare i casalinghi? Inculcare alle ragazzine che la maternità è una malattia, e che le donne che stanno (almeno in parte) a casa coi figli sono delle fallite? Il problema dell’Europa di oggi è esattamente l’uguaglianza di genere, non la sua assenza. Dobbiamo abbandonare il femminismo, l’ideologia post-moderna secondo cui il genere è un costrutto sociale. E insegnare alle bimbe che dare la vita è meraviglioso.

    • Enzo

      Più che chiedere a degli economisti, forse la sua domanda sarebbe da porre ad un filosofo. Lei pone una questione pregna di una morale che non necessariamente è condivisibile, anzi direi che difficilmente può essere considerata come condivisibile. Il femminismo è nato come una lotta per i diritti, poi trasformatasi in un ideale. Un paradigma da cui la società ha, secondo alcuni me compreso, solo da guadagnare. Siamo d’accordo che per risolvere i problemi legati alla natalità una forma di sussidio sarebbe una strada percorribile, ma la questione andrebbe lasciata a dei demografi. Non tutti hanno le competenze per pontificare su temi così specifici, e io personalmente preferisco astenermi. Ma da qui ad arrivare a proporre l’inversione del paradigma della parità di genere come metodo di risoluzione dei problemi di acqua sotto i ponti ne passa. Lasciamo alle persone il diritto di intraprendere la vita che vogliono. Vuoi fare la casalinga? Liberissima. Vuoi fare il casalingo? Liberissimo. Nessuno è un fallito. Che poi, dire ad una bambina “tranquilla, da grande potrai fare quello che vorrai” è da considerarsi lavaggio del cervello? Io personalmente non credo proprio. Anzi, se così fosse lotterei con tutto me stesso (e sono un uomo eh) per cambiare le cose. Ognuno fa come crede. Perché è sbagliato che la gente abbia diritto a gestire la propria vita (di coppia e non) come vuole? Se una donna vuole dare la vita la dà, mica è suo dovere.

      • Marco Trento

        Il femminismo è nato come movimento liberatorio, certo, ma ormai ha assunto un carattere radicale, astioso e per molti versi retrogrado. Le femministe oggi sono entrate nei gangli del potere, si sono tramutate in lobby. E come ogni lobby vogliono privilegi ed eccezioni, ad esempio le quote rosa nei CDA aziendali, i posti solo per donne nelle università, e l’obbligo di norme trasversali sull’uguaglianza di genere in tutte le politiche UE. Mirando all’uguaglianza dei risultati invece che delle opportunità, il femminismo contemporaneo assomiglia al marxismo (“tutti uguali”!) e in questo senso è ormai retrogrado e contrario alla meritocrazia. Già all’asilo ormai si cerca di bloccare lo sviluppo dell’indole femminile, inculcando nella testa delle bambine non già il principio liberale del “fai quello che vuoi”, ma il dogma femminista “le donne moderne non facciano la fine delle nostre nonne”. E si tira su in tal modo una generazione di “signorine Rambo”, come le chiama simpaticamente Vecchioni, che vedono la maternità come una sciagura. Il femminismo va quindi abbandonato perché inefficiente dal punto di vista economico (se nessuno fa figli, la società scompare) e perché ispira politiche illiberali che impongono per decreto un’uguaglianza di genere.

        • arthemis

          Sig. Trento, forse il suo punto di osservazione non le consente di vedere il quadro completo, le posso assicurare che non tutte le ragazze che scelgono studi tecnico-scientifici sono “signorine rambo che vedono la maternità come sciagura”, così come non tutte le ragazze che fanno studi umanistici, o non studiano, vogliono tanti figli. Le donne nate negli anni 80, in particolare, non hanno nulla delle femministe “retrograde e astiose”, e pensano davvero di avere pari opportunità dei colleghi maschi con i quali hanno iniziato la carriere lavorativa. Si accorgono a 35/40 anni, figli o non figli, che la realtà è un po’ diversa.. le quote rosa saranno anche una cosa da panda ma come può essere che anche negli uffici con prevalenza di donne quasi sempre il capo è un uomo? E non si trova mai una donna che sia una abbastanza qualificata per un CdA, quando per i membri maschi non si discute di CV adeguati?
          Non credo di affermare il falso dicendo che in larga misura le nostre nonne non hanno avuto la possibilità di scegliere, tranne poche eccezioni (vedi prof.ssa Amalia Ercoli Finzi, cercate in wikipedia) – tutti noi possiamo vedere tra i nostri parenti e familiari cosa succede, donne e uomini, quando non si possono seguire le proprie inclinazioni e ci si trova incastrati per anni in un lavoro che non piace.
          Nei paesi del nord europa, dove le donne studiano e i figli sono curati anche dai padri, il tasso di natalità non è così basso..

          • Marco Trento

            Gentile “arthemis”, lei cita un esempio molto pertinente: perché negli uffici il capo è quasi sempre un uomo? La mia risposta è: questa non è una domanda rilevante. Tutto qui. Perché allora la maggioranza delle mastre d’asilo è donna? Vogliamo “quote blu” nel settore “educazione d’infanzia”, un settore importantissimo? Perché la maggioranza dei lavori pericolosi e, oggi come oggi, piuttosto redditizi come il minatore, il pompiere e il muratore sono svolti da uomini? Niente quote rosa in miniera? E perché la maggior parte di cuochi di successo sono uomini (anche se la cucine è “femminile”)? La risposta, francamente, è poco interessante, e avere 50% uomini e 50% donne in ogni settore economico non è un obiettivo sensato. Nel momento in cui si rispetta la libertà di scelta degli individui e non vi sono discriminazioni dimostrate caso per caso (non “presunte a prescindere” come sostengono le femministe), dobbiamo prendere atto della realtà, e concludere che maschi e femminine, in media (sottolineo in media), hanno indoli e attitudini diverse nei confronti del lavoro. La verità è che la lobby femminista agita la clava della discriminazione per ottenere privilegi ed eccezioni nei posti di potere. Quanto al Nord Europa: è un mito. In Olanda 8 donne su 10 hanno il part-time. I tassi di divorzio sono più alti nel Nord Europa che al Sud. E i t assi di fertilità più alti sono in Francia, Irlanda e Turchia. Il tasso in Albania e Montenegro è più alto che in Danimarca (dati Eurostat)

  2. arthemis

    sig. Trento,
    non è mia intenzione cercare di convincerla, la sua opinione è condivisa da molti uomini e anche da diverse donne (del tipo, qui sono io a generalizzare, che vuole farsi mantenere a vita). Purtroppo le donne spesso si autoconfinano in lavori meno redditizi, perché comodi per la conciliazione con carichi di cura familiari (che chissà perché deve essere solo loro problema, anche quando i figli hanno 15 anni) o ritenuti da ‘donne’ (quando essere insegnante era prestigioso, c’erano molti maestri uomini alle elementari, guarda caso). Non è irrilevante che alle donne non venga offerta la possibilità di ricoprire ruoli di responsabilità, ed esse per prime non si ritengano in grado di poterlo chiedere perché fin da piccole il modello che viene proposto è quello della segretaria, non della capo ufficio (capo ufficio normale, non donnaincarrieracheèpeggiodegliuomini intendo). In ogni caso nessuno chiede di arrivare a 50-50 in tutti gli ambiti, ma che siano dati pari.. opportunità a tutti. Non è possibile che mai, proprio mai, si riesca a trovare una donna qualificata per un CdA: davvero crede che non si tratti anche di discriminazione di genere? Ultima nota: la fertilità non mi sembra così correlata con i tassi di matrimonio o divorzio…

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