Il rapporto della Commissione europea sul Vat gap permette di fare un confronto sul grado di evasione dell’imposta nei diversi stati. L’Italia non incassa circa un quarto dell’Iva dovuta. I miglioramenti ancora troppo deboli, per cause ben note.
Il rapporto europeo sull’evasione dell’Iva
Il 10 settembre la Commissione europea ha pubblicato l’annuale rapporto sul Vat gap, ossia la differenza tra il totale dell’Iva che ogni governo avrebbe dovuto incassare in assenza di erosione della base imponibile e l’importo che è invece effettivamente stato incassato dalla raccolta dell’imposta sul valore aggiunto.
La redazione di un rapporto di questo tipo è giustificata dalla natura dell’imposta che, funzionando in maniera piuttosto simile all’interno dei vari paesi dell’Unione, permette di fare un confronto tra il grado di evasione dei vari stati membri. I dati pubblicati nel rapporto 2020 riguardano l’anno 2018, anche se vengono fatte alcune interessanti stime sul 2019 e sul 2020.
Il Vat gap è calcolato confrontando le grandezze Iva potenziali con quelle dichiarate al fisco. Mentre queste ultime sono note dai ricavi effettivi derivanti dalla raccolta dell’Iva, le prime si ottengono rendendo coerenti i dati macroeconomici (come quelli sul consumo aggregato) con la normativa tributaria. La differenza tra il gettito potenziale e quello effettivo viene poi divisa per il gettito potenziale, ottenendo la percentuale di tassa che non si è incassata rispetto al totale previsto.
Il Vat gap in Ue nel 2018
I dati 2018 raccontano di una sostanziale stabilità del divario, con una riduzione molto contenuta, dall’11,2 per cento nel 2017 all’11 per cento nel 2018. Era andata meglio nell’anno precedente, quando il differenziale era calato di un punto percentuale, dal 12,2 per cento del 2016.
La Romania si conferma il paese con il maggior Vat gap (33,8 per cento), anche se in miglioramento rispetto al 35,5 per cento del 2017. Seguono Grecia, Lituania e Italia.
Il nostro paese non raccoglie circa un quarto dell’Iva che andrebbe incassata (24,5 per cento) ed è primo in termini assoluti per perdita di gettito (35 miliardi di euro, 12 in più del Regno Unito, il secondo peggiore). Il paese più virtuoso in termini relativi è la Svezia, con una perdita inferiore all’1 per cento rispetto al gettito potenziale.
Un elevato Vat gap non sembra essere influenzato da un’aliquota elevata, come si vede nella figura 1. Per esempio, l’Ungheria, che ha l’aliquota Iva più alta in Europa (27 per cento, senza aliquote ridotte per beni di prima necessità), ha un differenziale dell’8,4 per cento, inferiore alla mediana Ue.
L’evoluzione del differenziale in Italia
Nonostante il dato sia ancora particolarmente elevato, l’Italia migliora la propria capacità di raccolta Iva. Nel 2014, la perdita in percentuale al gettito potenziale era di quasi un terzo, quattro anni dopo si è ridotta a un quarto del totale. La Commissione prevede un ulteriore miglioramento nel 2019, anche se il 2020 porterà probabilmente a una nuova crescita del differenziale, a causa delle difficoltà patite dalle imprese in periodo di Covid-19.
Si registra dunque un miglioramento, anche se il confronto con i Piigs (Portogallo, Irlanda, Italia, Grecia e Spagna) rimane deludente (figura 2). Siamo penultimi, dietro Spagna e Portogallo, anche loro migliorati, e Irlanda, che, nonostante il peggioramento, continua a mantenere un Vat gap inferiore al nostro di 14 punti percentuali.
Quali variabili influenzano il Vat gap?
Nel rapporto, la Commissione europea elenca una serie di variabili – inserite all’interno di un modello econometrico – che possono influire sull’andamento del differenziale, raggruppate in quattro categorie: variabili legate alla gestione dell’amministrazione fiscale, variabili macroeconomiche, variabili sulla struttura economica e istituzionale del paese e transazioni che comportano un maggiore rischio di frode fiscale (per esempio le importazioni, più facili da nascondere al fisco).
L’amministrazione fiscale, in particolare, sembra giocare un ruolo importante nel determinare il valore del gap. Maggiore è la sua efficienza, maggiore sarà la percentuale di tassa incassata dallo stato. Così, per esempio, la digitalizzazione dei processi per la riscossione delle imposte sembra avere un forte ruolo nella riduzione del Vat gap.
Le variabili macroeconomiche confermano il fatto che l’andamento dell’economia incide sul livello di evasione fiscale. Un aumento del Pil o dei consumi, per esempio, tende a ridurre il differenziale, mentre un’alta disoccupazione tende ad aumentarlo. Proprio per questo, si ritiene che nel 2020 il Vat gap crescerà molto nei paesi europei, colpiti tutti dai devastanti effetti economici della pandemia.
Le evidenze più interessanti, anche se già piuttosto note, provengono dal gruppo delle variabili strutturali. La dimensione delle imprese, per esempio, ha un forte impatto sul livello di evasione: maggiore è il numero di occupati per impresa, minore è la percentuale di evasione dell’Iva. Altre evidenze piuttosto ovvie confermate dal rapporto sono quelle che riguardano la percentuale di transazioni compiute in maniera elettronica (che causano una riduzione del differenziale) e la dimensione dell’economia sommersa (che ne causano un aumento).
L’Italia tende a collocarsi sui livelli più bassi in quasi tutte le variabili che inducono una riduzione del gap. Ma l’identificazione dei fattori che producono un aumento dell’evasione deve spingere la classe politica ad agire in maniera specifica sui problemi, eliminando il nostro primato in questo campo e facendo finalmente risalire posti in classifica al nostro paese.
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Henri Schmit
Ottimo articolo in tutti i dettagli! Delle aliquote elevato NON determinano un VAT-gap più elevate (l’articolo dice “sembrano…”). La Svezia che ha inventato l’IVA e pratica da tempo una delle aliquote più alte (25%) ha con il Lussemburgo il gap più basso (stabilmente inferiore al 2%). Il gap non è solo 1. evasione (non dichiarazione, merce o lavoro in nero) ma anche 2. inefficienza creata da regole troppo complicate mal applicate o ritardi nell’incasso per importi che il fallimento del debitore rischia di far parere per sempre e 3. frodi fiscali, montature artificiali per defraudare il fisco (e/o altri contribuenti). Purtroppo non esistono, a mia conoscenza, statistiche su queste categorie. Chi sa perché? Il principale responsabile avrebbe qualcosa da nascondere? Complessivamente in Italia sono 35 miliardi l’anno che lo stato, cioè tutti gli altri contribuenti, perde. Cinque anni fa il gap italiano era del 33% circa. Qualche progresso c’è quindi stato …
Massimo Romano
i progressi derivano essenzialmente da split payment e reverse charge (cioè dalla disapplicazione delle regole IVA ordinarie)
Henri Schmit
Vero. Ma split payment e reverse charge sono misure per combattere comportamenti fraudolenti e inadempienze di aziende zombie che non dovrebbero esistere più. Controlli seri e procedure fallimentari efficienti renderebbero split e reverse superflui.
Roberto
La piccola dimensione delle imprese è dovuta ad una complessità di fattori.
Un familiare ha acquistato un bene voluminoso presso un grosso commerciante al minuto della zona: ebbene è stato consegnato da una ditta esterna mentre anni fa giravano i furgoni del commerciante.
Infatti utilizzando ditte esterne al posto di dipendenti, non si hanno problemi di mansioni, orari settimanali, straordinari, 13 e 14esima, TFR, assegni e detrazioni familiari da gestire e da un punto di vista fiscale, se la ditta è in contabilità semplificata, per un reddito di impresa di 20.000 euro, c’è pure una detrazione pari al 30% di quella dei dipendenti (era al 57% prima del bonus irpef) e se possiede la qualifica di autotrasportatore, il reddito viene scontato di 48 euro per ogni giorno di lavoro.
bob
vogliamo parlare dell’IVA sulle esportazioni?