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Clima: in Europa uno scontro a colpi di target

L’Unione europea vuole ridurre a zero le proprie emissioni entro il 2050. Per arrivarci è necessario fissare un obiettivo al 2030. La Commissione indica il 55 per cento, il Parlamento risponde con il 60 per cento e il Consiglio rimanda la decisione.

La roadmap della Commissione

Il pacchetto 20-20 prevedeva che le emissioni di gas a effetto serra dell’Unione europea (prima dell’insorgere del Covid-19) diminuissero del 27 per cento entro il 2020, rispetto ai livelli del 1990.

Il raggiungimento degli obiettivi per il 2020 è prossimo (figura 1), ma appare evidente che si tratta solo di uno stadio intermedio verso l’obiettivo più generale di emissioni nette pari a zero entro il 2050, in linea con gli impegni assunti dalla Ue nell’ambito dell’accordo di Parigi.

Questa strategia a lungo termine – spesso evocata dall’Ue – richiede che siano fissati obiettivi intermedi per il 2030 e il 2040, il primo dei quali è già stato concordato. Il 2030 Climate and Energy Framework nel periodo 2021-2030 indica infatti almeno il 40 per cento di riduzione delle emissioni di gas a effetto serra (dai livelli del 1990).

Nel dicembre 2019 la Commissione presieduta da Ursula von der Leyen ha presentato una roadmap per una transizione verso un’economia sostenibile dell’Ue, l’ormai noto European Green Deal. Il 4 marzo 2020 la Commissione europea ha adottato una proposta legislativa per una nuova legge europea sul clima, che istituisce un quadro per conseguire l’obiettivo della neutralità climatica entro il 2050. Nel nuovo quadro programmatico, si proponeva di innalzare ad almeno il 50 per cento l’obiettivo dell’Ue di riduzione delle emissioni di GHG per il 2030, con la decisione definitiva da prendere nel settembre 2020.

Il nuovo obiettivo per il 2030

Nonostante il Covid-19, 17 settembre 2020 la Commissione ha fissato così un nuovo obiettivo di riduzione delle emissioni pari al 55 per cento entro il 2030 e, come ha ben spiegato Ursula von der Leyen nel suo discorso sullo stato dell’Unione del 16 settembre, il nuovo target si basa su una valutazione globale degli impatti sociali, economici e ambientali che dimostra come si tratti di una linea di condotta realistica e perseguibile. La Commissione ha quindi invitato il Parlamento e il Consiglio a confermare l’obiettivo del 55 per cento come nuovo contributo determinato a livello nazionale (Ndc) dell’Ue ai sensi dell’accordo di Parigi e a sottoporlo all’Unfccc (United Nations Framework Convention on Climate Change) entro la fine di quest’anno.

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La Commissione ha definito anche le linee d’intervento legislativo da presentare entro giugno 2021 per attuare il nuovo obiettivo. Prevedono la revisione e l’ampliamento del sistema di scambio di quote di emissioni (Ets), la modifica del regolamento sulla condivisione degli sforzi di riduzione (il cosiddetto Effort Sharing) e il quadro per le emissioni nell’uso del suolo, il rafforzamento dei target per efficienza energetica ed energie rinnovabili degli standard di CO2 per i veicoli stradali.

Nel Parlamento europeo, però, le cose non sono andate come previsto. Mercoledì 7 ottobre a Strasburgo durante la sessione plenaria, gli eurodeputati hanno infatti approvato (352 voti favorevoli, 326 contrari e 18 astenuti) una propria posizione ufficiale sulla Climate Law, nella quale si prevede di ridurre del 60 per cento le emissioni di CO2 al 2030. Il Parlamento ha dunque sorpassato gli obiettivi la Commissione, rendendoli più stringenti. Mentre il partito popolare europeo ha difeso l’obiettivo del 55 per cento ritenendo eccessivamente ambizioso e costoso quello del 60 per cento, il gruppo dei socialisti e democratici – come era ampiamente previsto – ha dato il proprio assenso a quello del 60 per cento (figura 2). Al suo fianco, nel sostenere questa posizione, sono scese le organizzazioni ambientaliste, come Wwf e Greenpeace, che ritengono sia fattibile un target addirittura del 65-70 per cento.

A conferma del tradizionale maggiore oltranzismo climatico del Parlamento europeo, è stata respinta anche la proposta della Commissione di fare affidamento anche sugli assorbimenti di carbonio – come le foreste e altri ecosistemi (i cosiddetti carbon sinks) – in vista del raggiungimento dell’obiettivo climatico 2030. Il Parlamento europeo ha inoltre votato contro un emendamento presentato dal Ppe che avrebbe incluso progetti di riduzione del carbonio nei paesi in via di sviluppo (i cosiddetti offsets) negli obiettivi climatici dell’Ue, affermando che l’obiettivo europeo per il 2030 dovrebbe fare affidamento solo sui tagli delle emissioni interne. Infine, i legislatori europei hanno votato a favore del principio per cui ogni stato membro deve raggiungere la neutralità climatica individualmente entro il 2050. L’alternativa avrebbe visto alcuni paesi membri autorizzati a superare l’obiettivo del 2050, a condizione che altri lo raggiungessero in anticipo.

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Il voto finale sulla Climate Law si è tenuto il 7 ottobre e il testo è stato trasmesso al Consiglio UE dei ministri per l’approvazione finale. L’obiettivo della Commissione è concludere i negoziati entro la fine dell’anno.

Ma, anche in questo caso come era prevedibile, nel Consiglio europeo di giovedì 15 ottobre i capi di stato e di governo dei 27 paesi membri hanno stabilito di rimandare la loro decisione di un paio di mesi. Dando un colpo al cerchio e uno alla botte, il Consiglio europeo ha sostenuto che “l’Ue deve aumentare le proprie ambizioni per il prossimo decennio nonché aggiornare il quadro per le politiche dell’energia e del clima”, ma “l’obiettivo aggiornato deve essere raggiunto collettivamente dall’Ue nel modo più efficiente in termini di costi. Tutti gli stati membri parteciperanno a tale sforzo tenendo conto delle circostanze nazionali e di considerazioni di equità e solidarietà”. Il Consiglio europeo “invita la Commissione a svolgere consultazioni approfondite con gli stati membri per valutare le situazioni specifiche” e fornire maggiori informazioni sull’impatto a livello di stati membri”. In altri termini, gli stati che più dipendono dal carbone e dalle fonti fossili – tra cui Polonia, Repubblica Ceca e Bulgaria – premono per avere una contropartita economica all’accettazione di un obiettivo più forte sulle emissioni. E in contrapposizione all’Europarlamento si afferma che l’obiettivo dovrà essere raggiunto collettivamente e non individualmente.

Ci troviamo dunque in un momento particolarmente delicato in cui l’europarlamento adotta posizioni più “avanzate” con l’obiettivo di condizionare il Consiglio europeo che, nell’essere rappresentanza dei governi è, al contrario, molto più prudente poiché molto vicino agli elettori e alle elezioni.

Figura 1

Figura 2

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  1. Federico Leva

    L’idea che il Consiglio UE sia piú accountable ai cittadini è risibile. Il piú delle volte non si sa nemmeno come votino i singoli paesi.

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