Una pessima gestione della pandemia e delle sue conseguenze economiche, lo spettro di una Brexit senza accordo e le aspre lotte nella cerchia del primo ministro non minano la popolarità del governo Johnson. Perché anche l’opposizione è alla deriva.
I tanti problemi di Londra
Lentamente, ma inesorabilmente l’Inghilterra scende in un caos ogni giorno più profondo. Dico Inghilterra e non Regno Unito a ragion veduta. Nella gestione della peggiore emergenza dalla fine della seconda guerra, Scozia e Galles si prendono una completa autonomia da Londra, imponendo restrizioni diverse per chi risiede dentro e fuori la nazione: così chi abita in Inghilterra non può andare in Galles, ma il contrario non vale.
Forse, alla fine della pandemia le nazioni della Gran Bretagna ri-allineeranno i processi decisionali, anche se i feroci scambi di insulti tra i capi delle tre amministrazioni lo rendono difficile senza un ricambio ai vertici.
Per l’Irlanda del Nord, però, la situazione sembra davvero senza ritorno. Al di là dei comici errori del servizio clienti di Amazon, che su Twitter la separa pacificamente dal resto del Regno, il nodo che lega l’Irlanda e la Brexit rimane l’impossibile quadratura di un immenso cerchio. Per salvare il processo di pace costruito sull’accordo del venerdì santo è necessario che tra l’Irlanda del Nord e l’Eire non vi siano frontiere, né fisiche né commerciali. Per attuare la Brexit è invece necessario che vi siano frontiere, sia fisiche sia commerciali, tra il Regno Unito e i paesi dell’Ue. Come il gatto di Schrödinger, l’Irlanda del Nord deve essere simultaneamente all’interno e all’esterno dell’unione doganale con l’Ue.
La semplicità estrema del dilemma ne dimostra l’impossibilità di una sua soluzione, e ancora una volta ha portato il Regno Unito all’orlo dell’abisso del “no deal”, dopo che il primo ministro Boris Johnson ha costretto il parlamento ad approvare una legge che straccia il trattato internazionale da lui stesso firmato pochi mesi prima. Per giunta, la vittoria di Joe Biden porterà alla Casa Bianca un presidente che dichiara di essere irlandese e in quanto tale presterà sicuramente più attenzione di Donald Trump allo sviluppo della Brexit, vista l’importanza che ha per il futuro degli irlandesi, sia a nord sia a sud del confine.
In più, il governo di Johnson ha già il piatto pieno e non è certo in grado di dedicare tutta la sua attenzione alla trattativa con la Ue. Da un lato, come ogni altro governo nel pianeta, è in lotta con il coronavirus. Volendo essendo generosi, il bilancio della battaglia può per ora venir definito mediocre, anche se personalmente ritengo che “disastroso” sia un aggettivo più accurato. Pur con la difficoltà di misurare con precisione il numero di decessi, il Regno Unito è sicuramente tra i paesi europei più colpiti, e aver più successo dell’America di Trump non sembra essere motivo di particolare orgoglio. Nonostante le colossali iniezioni di liquidità finanziate dal debito pubblico, l’economia rimane tremebonda.
Un osservatore esterno immaginerebbe che tutta l’energia e l’attenzione del governo debba essere dedicata alla soluzione dei problemi causati dalla Brexit, dalla pandemia e dalle sue conseguenze economiche. Invece no: in mezzo a tutti i problemi sanitari ed economici, con la scadenza del 31 dicembre per un accordo con la Ue, l’attenzione della ristretta cricca di fedelissimi che si contendono l’attenzione del primo ministro è tutta assorbita da una lotta intestina senza quartiere. Ci ha lasciato le penne il glabro Rasputin di Johnson, Dominic Cummings, eminenza grigia della campagna elettorale per la Brexit, fino a ieri consigliere particolare del primo ministro. Era stato difeso strenuamente da Johnson dopo avere violato le regole del lockdown in marzo, nonostante la stampa, di destra e di sinistra, la Bbc, i parlamentari tory e i dirigenti ministeriali fossero unanimi nel detestarlo. Quando però ha osato insultare Carrie Symonds, la compagna di Johnson, è stato sommariamente cacciato. Con lui se ne va anche Lee Cain, ex-giornalista di un quotidiano locale, arrivato alla posizione di capo dell’ufficio stampa di Johnson dopo la campagna elettorale passata facendo stalking, travestito da pollo, al primo ministro David Cameron.
I problemi dell’opposizione
Il paese e il numero 10 di Downing Street sembrano così sempre più bolge dantesche: ciononostante, la popolarità del governo veleggia imperturbata. Pur scesi dai picchi dell’inizio della pandemia, i sondaggi di opinione rimangono attestati attorno al 40 per cento per i tory.
Il motivo di tanta popolarità va in parte attribuito alla deriva dei partiti di opposizione. Sia i lib-dem sia i laburisti hanno nuovi leader, che non sono ancora riusciti a scolpire la loro immagine nella percezione del pubblico. I primi indossano per ora il mantello dell’invisibilità. Nel partito laburista, invece, continua la lotta senza quartiere tra le sue due anime, tra i social-democratici e i radicali. Il 29 ottobre la commissione per i diritti umani ha pubblicato il suo rapporto sull’antisemitismo durante la gestione di Jeremy Corbyn. Mentre il leader laburista Keir Starmer chiedeva scusa alla comunità ebraica e definiva “una vergogna” i ripetuti esempi di comportamenti illegali del partito di Corbyn, quest’ultimo perdeva un’ottima occasione per stare zitto e definiva “drammaticamente esagerato” l’antisemitismo identificato dal rapporto, guadagnandosi la sospensione dal partito di cui è membro da 54 anni. Sospensione in seguito annullata, poi parzialmente ribadita da Starmer nella guisa di esclusione dal gruppo parlamentare, esacerbando le divisioni nel partito. In un momento in cui la popolarità di leader come Andy Burnham, Sadiq Kahn e Nicola Sturgeon mostra che il paese vorrebbe una leadership coerente e capace, non sorprende perciò che la guida tentennante e indecisa di Starmer non riesca a fare breccia né a sud né a nord del vallo di Adriano, nonostante la totale assenza di entusiasmo della stampa di destra nei confronti di Johnson.
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Francesco Manfredi
Faccio parte di una famiglia italo-britannica.Il Regno Unito vive un momento difficilissimo.Brexit+Covid
Troppa ostilità verso Boris Johnson
Cordialmente
Luca Miccoli
Condivido con il commento precedente, aggiungo che il paese aveva problemi enormi ben prima della Brexit. Difficili da comprendere se invece di guardare il paese si guardano grafici pieni di fesserie, o ancor peggio si da ascolto alla cacofonia politica.