L’effettiva erogazione delle risorse del Recovery Plan europeo è condizionata al raggiungimento degli obiettivi legati agli interventi realizzati. Non è perciò il “pasto gratis” di cui si parla. Ma può essere una spinta a realizzare riforme cruciali.
Tutte le condizioni legate al Piano
Con il Recovery Plan della Commissione europea pioveranno sull’Italia gigantesche risorse, tra cui molte a fondo perduto e senza particolari condizionalità: è la convinzione che sembra prevalere nel superficiale dibattito italiano.
Come ben evidenziato dalla Commissione, il Recovery Plan è in realtà ricco di condizionalità. Viene erroneamente definito “Fondo” (da cui l’espressione giornalistica “Recovery Fund”). Ma è ben diverso dai tradizionali fondi strutturali della Ue. Per semplificare, i fondi Ue pagano i costi, ad esempio, quelli per costruire un’autostrada in Puglia. Il Recovery Plan invece opera all’interno di una “facility”. Il che significa che il governo, accanto all’opera, deve anche stabilire obiettivi economici che quell’opera può generare; sapendo che l’erogazione finale delle risorse avviene solo se anche gli obiettivi vengono raggiunti. Ad esempio, il governo italiano non può semplicemente chiedere di finanziare la costruzione di un’autostrada in Puglia. Ma deve anche porsi l’obiettivo, con quell’autostrada, di far crescere l’indotto economico tra Foggia e Lecce (occupazione, nuove imprese, valore aggiunto dell’area). Solo nel caso di raggiungimento di questo obiettivo sarà alla fine possibile ottenere il rimborso dei costi dell’autostrada.
Il Recovery Plan ha una condizionalità aggravata, legata a doppio filo al raggiungimento degli obiettivi economici di ciascun progetto. Una differenza cruciale rispetto all’impostazione e alla gestione dei tradizionali fondi europei, al fine di evitare il più possibile la costruzione di ponti verso il nulla, spesso una specialità italiana.
Ma ci sono due ulteriori punti. Primo, solo il 10 per cento dei fondi del Recovery Plan sarà erogato in tempi brevi (comunque entro fine 2021), per avviare la messa in opera dei primi progetti. Il rimanente 90 per cento sarà invece condizionato al raggiungimento degli obiettivi economici stabiliti in partenza (tra governo e Commissione Ue). Secondo, l’orizzonte temporale per gli obiettivi da raggiungere è di sei anni, quindi relativamente breve. Il che impone una pressione forte sul governo per una esecuzione rapida ed efficiente degli interventi. Una pressione certamente positiva, ma non è chiaro se le nostre amministrazioni saranno in grado di gestirla.
Ciò dato, fa veramente sorridere l’ostilità alla linea di credito del Mes che si è rapidamente diffusa nel paese. Il Mes non presenta affatto l’elemento di condizionalità aggravata del Recovery Plan. Ne ha in realtà solo una, leggera e quanto mai virtuosa: le risorse (fino a 35 miliardi) devono essere utilizzate nel comparto della sanità.
Una spinta alle riforme
La condizionalità è un elemento di grande importanza del Recovery Plan. Soprattutto per un paese come l’Italia, che è scandalosamente incapace di spendere i soldi dei fondi strutturali Ue. Per capire, nel periodo 2014-2020 l’Italia ha ottenuto 44,8 miliardi di fondi strutturali e ne ha spesi non più del 38 per cento (peggio di noi ha fatto solo la Croazia). Correttamente, per alleviare il problema, con il Recovery Plan la Commissione pone al centro la richiesta di cosiddette riforme di sistema, strumentali a spendere le risorse, e a spenderle bene.
Tra tutte le riforme una appare cruciale: quella della pubblica amministrazione. La nostra Pa impiega molti lavoratori anziani e con competenze obsolete. Pochissimi laureati. Pochissimi esperti di data science, statistica, finanza. Per impiegare nel modo migliore i fondi del Recovery Plan è necessaria capacità di analisi dei dati, programmazione ingegneristica, competenza statistica ed economica.
Nel nostro paese si è diffusa la convinzione che, almeno in parte, il Recovery Fund sia una specie di “pasto gratis”. Per l’Italia il Piano prevede circa 209 miliardi, di cui 127,4 in prestiti e 81,4 in sussidi. È una quota importante, che ci carica di una enorme responsabilità.
La parte di sussidi non è però un regalo a fondo perduto, come si sente spesso dire. All’inizio del processo la Commissione Ue si indebita per 750 miliardi (la torta complessiva del Recovery Plan), raccogliendo risorse dai fondi pensione americani, dalle famiglie norvegesi, dagli investitori giapponesi. La Ue raccoglie risorse sul mercato, dunque, e non dai paesi membri. Una parte delle risorse è girata come trasferimenti a Italia, Spagna e altri paesi. Ma certamente non a “fondo perduto”. Perché la Commissione dovrà prima o poi ripagare agli investitori internazionali quegli iniziali 750 miliardi. E saranno ovviamente i vari paesi membri, inclusa l’Italia, a farlo attraverso il bilancio comunitario.
Il governo ha da poco fatto circolare il Piano nazionale di ripresa e resilienza (Pnrr) con le proposte italiane per il Recovery Fund. Con tante criticità di metodo. Basti un esempio: il fondamentale capitolo su istruzione e ricerca prevede 19,2 miliardi, di cui 10,1 per istruzione e 9,1 per la ricerca. Gli interventi sull’istruzione prevedono, tra l’altro, la riforma di carriere e meccanismi di assunzione dei docenti nella scuola. Riforme certamente auspicabili, ma che sono sostanzialmente a costo zero. Molto meglio sarebbe destinare quei soldi alla ricerca di base, la vera grande assente del Pnrr italiano.
Il Recovery Plan può essere una occasione storica per il paese. È centrale che l’opinione pubblica comprenda che la forte condizionalità è un importante meccanismo che lega le mani alla nostra politica e rafforza la credibilità dell’intero progetto. Riforme centrali come quelle della giustizia e della Pa sono capitoli decisivi per l’efficienza della spesa. Si tratta in realtà di riforme a costo quasi zero per le quali le risorse del Recovery Plan non sarebbero strettamente necessarie. Ma la condizionalità del piano e l’orizzonte temporale ristretto potrebbero essere fattori decisivi nel vincolare la politica a metterle finalmente in atto.
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Savino
Soldi solo e soltanto per il futuro dei giovani italiani, che pagheranno il relativo debito. Non ci si permetta di fare altro, di dare agli amici degli amici di Conte e di Colao le consulenze e le golosità.
Umbe
Grazie per la chiarezza e l’ottimismo.
Sarà per il colore dei miei capelli ma…vedo troppa ignoranza in giro…
Henri Schmit
Sono interamente d’accordo. L’articolo verso la fine menziona addirittura le riforme strutturali che sono, secondo l’accordo del 21/07, attraverso i PNR una condizione per sbloccare i fondi. La logica del NGEu, concepita in Francia, condivisa con la Germania e definita dalla Commissione consiste proprio in questo: si levano fondi insieme, se ne danno di più a chi ne ha più bisogno, ma l’UE decide della destinazione e controlla l’uso da parte degli SM. Questo meccanismo non assomiglia al MES pandemico, rifiutato per ignoranza dal governo italiano, ma al MES ordinario! Mi piacerebbe che qualcuno mi dia atto che sono stato l’unico a capire questa logica europea sin da marzo (in realtà molto prima). Rinvio al mio commento sotto l’articolo Giavazzi/Tavellini del 27/03, e a tutti quelli successivi, su questo forum e al mio pezzo su laCostituzione.info 21/04, “Eurobond e recovery fund: evitiamo la confusione”. Sono stato da solo a comprendere la logica, tutti hanno sostenuto varie interpretazioni divergenti, dagli ominosi Eurobond, a scadenza o perenni all’idea del Recovery fund il quale doveva essere secondo eminenti personaggi pubblici (strapagati per il loro ruoli nell’UE) senza condizioni. Su LaCostituzione.info hanno forse capito, tardivamente e senza accettare la realtà (21/07): “Dietro i sussidi il commissariamento?” Sono professori pagati per insegnare il diritto, le istituzioni e le finanze dell’UE. Grazie dell’attenzione per quelli che scrivo!
Paolo Torponi
Non è l’unico. Tutta l’opposizione lo dice dal giorno 1.
Henri Schmit
Temo che non ci capiamo. Dico (da alcuni lustri) esattamente l’opposto di tutta quell’opposizione. Loro contestano le condizioni europee, comunque sottoscritte dai governi precedenti; vorrebbero i fondi europei, ma rimanere sovrani inm materia eco-fin, cioè sostanzialmente irresponsabili, perché pretendono le coperture europee, ma pretendono avere il diritto di mettere in pericolo la costruzi0ne europera e più precisamente gli interessi degli altri. Io dico esattamente il contrario: bisogna nel interesse proprio accettare condizioni, vincoli e regole eco-fin, fare riforme strutturali per essere competitivi e convergere con le altre economie, comprendere che la partecipazione all’UE e all’€ signfica una rinuncia alla piena sovranità, che non conviene uscire dagli accordi. In conclusione penso che, se non si aodtta questa politica pro-eruopea, agli elettori-controbuenti italiani convenga farsi governare dall’UE, dall’€-gruppo, o dalla Germania e dalla Francia piuttosto che dai loro politici nazionali. Il NGEu è un primo passo in questa direzione. Il passo successivo sarà il MES, non quello pandemico, ma quello ordinario.
Alberto Isoardo
Tutto vero, purtroppo! Rimane il fatto che l’auspicata riforma della pubblica amministrazione richiede forzatamente di liberarsi di tutti quei personaggi non riqualificabili in termini di alfabetizzazione informatica e che quindi costituiscono un severo ostacolo a nuovi servizi e rendono inefficienti quelli già esistenti.
Forse forse costa di meno pensionarli che tenerli in servizio ad ingessare ancora una macchina già piena di sabbia negli ingranaggi.
michele arcangelo d'urso
In realtà le gestione dei fondi strutturali è fortemente condizionata, almeno in questo ciclo di programmazione, al raggiungimento di OT (obiettivi tematici). Inoltre la progettazione è gestita dalle amministrazioni statali e regionali beneficiarie dei fondi SIE ma è soggetta a valutazione da parte della CE che con propria decisione adotta i Programmi operativi, al cui interno troviamo le macro aree progettuali. Infine in merito al flusso finanziario, anche nel caso dei fondi strutturali le regioni e lo stato agiscono con anticipazioni di cassa che poi vengono rimborsate da Bruxelles.
Enrico D'Elia
Un’analisi documentata ed equilibrata che spazza via le chiacchiere di questi mesi sulle condizioni per accedere ai diversi strumenti. In realtà non serviva l’Europa per ricordarci che con una semplice lista della spesa e senza una idea di futuro non si va da nessuna parte. Non servono comitati ed esperti, ma decisioni politiche condivise ed un sistema Paese pronto ad attuarle senza riserve. Non è solo la PA e le sue regole ottocentesche a dover cambiare (è addirittura controproducente arruolare nuovo personale più dinamico se questo deve rispettare regole vecchie), ma anche le banche (che devono tornare al loro ruolo di finanziatori selettivi dell’economia reale, abbandonando la pura intermediazione parassitaria) e le imprese (che devono tornare a produrre, investire ed innovare senza mendicare continuamente aiuti di stato e sgravi fiscali). Tuttavia se queste riforme le imporrà l’Europa non ci si può illudere che lo farà ad esclusivo vantaggio del nostro paese.
Amegighi
Il suo commento è pienamente condivisibile e sono daccordo. Mi colpisce però la frase finale. Certamente l’Europa non è l’Italia e quindi certamente non esiste l’idea che l’esclusivo vantaggio sia del nostro paese. Ma è l’idea di “vantaggio esclusivo” che mi colpisce, perchè è la stessa idea che anima il concetto di Europa dei paesi dell’Est, secondo i quali UE va bene se dispensa soldi (a loro vantaggio) negativa se chiede altro. Personalmente ritengo che l’idea di Europa è destinata a fallire totalmente se non si riesce a entrare nel concetto di “distribuzione interdipendente”. Solo se il nostro paese è integrato e necessario, cioè si stabilisce una interdipendenza economica (ma anche culturale e sociale) tra tutti gli stati si può considerare un piano come il Next Generation. Qualcosa di simile ha animato quell’enorme successo che è stato il progetto Erasmus che ha sostanzialmente creato una generazione di studenti (e laureati e dottorati e poi dirigenti nei vari paesi) cresciuti nell’interdipendenza europea. O quello che anima il sistema di ricerca europeo dell’ERC (European research Council) che mira a ridurre gli sprechi di multipli progetti nazionali sugli stessi temi di ricerca e ad ottimizzare l’erogazione dei fondi a livello europeo con fondi molto sostanziosi (a tal proposito, invece, nota negativa sta nel taglio dei fondi della ricerca, proprio mentre si chiede uno sforzo di rinnovamento)
enzo de biasi
a Venezia il Comune sta chiedendo i soldi del recovery fund per realizzare il nuovo stadio da calcio “Penzo” e la regione veneto ha incluso nei suoi 155 progetti anche “iltrenino delle dolomiti” , Lei che è professore ed ha letto i documenti, è questa la categoria di progetti da next generation?
bob
nei progetti futuri si dimentica sempre la Storia. Nel dopoguerra il Piano Marshall fece rinascere questo Paese portandolo in pochi anni tra le 7° potenze industriali nel mondo. Ma tutti, compreso il professore si dimenticano, che la gestione aveva come obiettivo la crescita del sistema-Paese ed era gestito, per semplificare da 2 politici De Gasperi e Togliatti. Mi chiedo con questa classe politica patetica e con 20 Pro-Loco (leggesi Regioni) come possiamo pensare di stare negli obiettivi che la stessa Europa ci impone. Appunto: lo stadio, il trenino, la festa di San Gennaro, la sagra del baccalà etc etc. Le previsioni? Due: o non arriverà un euro, oppure ci sarà, nella migliore delle ipotesi, un vero e proprio commissariamento del nostro Paese. In questo ultimo caso ancora una volta la Storia ci ricorda stagioni passate.
enzo de biasi
Le pone due scenari, in realtà accadrà il terzo come sempre.Dopo tanti tira e molla, anche L’Italia produrra i suoi “progetti” che saranno ossequiosi ed ossequenti di tutti i crismi richiesti; poi entro il 2026 non saremo in grado di rispettare i termini finali di rendicontazione motivo che indurrà il governo che ci sarà a battersi come un leone “per l’Italia” e dopo aver avuto qualche proroga andremo a spendere una % oscillante tra il 30 ed il 40% complessivo. Lei sig. Bob dirà, perchè ? basta andare a vedere la storia degli ultimi decenni di soldi stanziati nei fondi UE ma non spesi. Lei dirà, colpa di chi ci governa in parte sia ed in parte no, come disse quel tal filosofo greco oltre 2000 anni or sono agli Ateniesi che si lamentavano del governo della loro città ” i governanti rispecchiano i governati” …. e li ancora siamo, stiamo e non sortiamo.
Giovanni Moser
I mali endemici del carattere italiano, individualismo e minimo senso civico, mi pare spieghino i guasti del Paese, l’evasione fiscale, la corruzione, la criminalità organizzata, l’assistenzialismo, i furbetti vari, ecc. e credo siano all’origine delle inefficienze e dei tanti risultati negativi del nostro Paese. Che è capace di cambiare, cioè prendere decisioni impopolari, solo quando sia giunto sull’orlo del precipizio finanziario, vedi leggi Monti – Fornero nel 2012. Ora con il debito pubblico al 160% del PIL il programma NGEU con tutte le sue condizionalità potrebbe essere l’occasione decisiva per cambiare l’Italia ed imparare ad essere un paese serio. Conto molto sul rigore preteso dall’UE e sulla pressione dei “paesi frugali”, cioè sui fattori esterni essenziali in un processo di erogazione fondi che ci costringa a pianificare, attribuire risorse, programmare, eseguire, controllare in logica obiettivi / risultati con competenza e per davvero.
L05
Ma veramente credete che la riforma della PA sia a costo quasi zero?
Non è che manca un milione di dipendenti pubblici per essere al livello degli altri stati europei? Come possono costare quasi zero questi nuovi e preparatissimi dipendenti pubblici?
Piero
Il paese Italia non sa spendere i soldi pubblici, ben vengano le condizionalità.
In ogni modo, all’Italia con il RF non arriveranno risorse nette, la parte del contributo a fondo perduto è ampiamente sostenuta dall’aumento dei contributi diretti al bilancio dell’unione, già dal 2021.
Henri Schmit
L’errore del governo, della maggioranza, incluso Renzi, e di più o meno tutti i commentatori è di trattare il PNRR-NGEu come una questione di allocare, distribuire, gestire e monitorare l’uso di fondi messi a disposizione dell’UE. Ma ignorano la parte più importante: le RIFORME STUTTURALI indispensabili per due ragioni. 1. Senza riforme gli investimenti pubblici saranno poco più di acqua sulla sabbia del deserto. 2. Nell’accordo approvato dal Consiglio del 21/07 e definitivamente adottato il 17/12 sono previste come condizioni quadro le riforme strutturali concordate con la Commissone (e con l’euro-gruppo), in ballo da due decenni, mai sinceramente affrontate. Ignorando questo aspetto cruciale, si ricomincerà da capo a discutere con Bruxelles che chiederà un piano ambizioso e un inizio di realizzazione e il governo che fa finta di non capire o che davvero non capisce, in ogni caso non fa quanto chiesto e implicitamente o espressamente promesso 20/28 anni fa. Non c’è CONSAPEVOLEZZA della necessità di riforme sutrutturali, non esiste da parte del governo o dei partiti politici alcun PIANO e non c’è accordo nemmeno nella maggioranza su un minimo CONDIVISO. Si va quindi verso l’ennesimo scontro, con l’UE e fra partiti! E visto che (nonostante la propaganda contraira di 3/4 delle forze politiche) l’Italia non uscirà dall’€, le riforme alla fine saranno imposte dall’esterno. Come voteranno gli Italiani? Per i sovranisti o per l’eteronomia? Tertium non datur, senza piano condiviso.