La crisi dei rifugiati ha dato forza ai partiti populisti in Italia? Uno studio mostra che comuni grandi e piccoli reagiscono in modo diverso alla costruzione di centri di accoglienza. Gli effetti economici concreti sono scarsi, mentre conta la propaganda.
La crisi dei rifugiati e la forza dei partiti populisti
È opinione diffusa che la crisi dei rifugiati iniziata attorno al 2014 abbia contribuito all’ondata populista in Europa e al successo elettorale di partiti nazionalisti e xenofobi, fino a pochi anni prima ai margini dalla scena politica. Ma in che misura sia davvero così – e quali siano i meccanismi che stanno alla base delle reazioni sociali e politiche al fenomeno migratorio e all’accoglienza – è ancora oggetto di dibattito.
L’Italia è stata tra i paesi più interessati dalla crisi, a causa di una posizione geografica che la rende tra i principali punti di accesso al continente europeo. Tra il 2014 e il 2017 circa 150 mila richiedenti asilo sono arrivati in Italia ogni anno, principalmente via mare. La crisi dei rifugiati raggiunge il suo apice nel 2017, subito prima le elezioni politiche del 2018, dalle quali emerge la coalizione di governo M5s-Lega.
In quale misura l’arrivo di richiedenti asilo può aver contribuito all’aumento dei consensi per la destra populista in Italia? Le reazioni politiche dipendono da effetti concreti di natura economica, da come è stata gestita l’accoglienza o dal contesto locale? Per rispondere a queste domanda è necessario analizzare i fatti e avere accesso ai dati dettagliati sul sistema di accoglienza in Italia.
All’inizio della crisi, i richiedenti asilo in Italia erano accolti nel sistema per la protezione dei richiedenti asilo e rifugiati (Sprar), disegnato sulla base dell’esperienza di accoglienza decentrata e in rete, finanziato centralmente dal ministero dell’Interno e gestito in maniera integrata dalle amministrazioni pubbliche comunali. Tutti i comuni erano stati invitati e incentivati ad aprirne uno, ma tra il 2014 e il 2017 pochissimi l’hanno fatto: gli Sprar erano circa 430 nel 2014 e 700 nel 2017. La stragrande maggioranza dei territori ha risposto avanzando problematiche e difficoltà nell’accogliere i richiedenti asilo. Pertanto, nel 2014, sotto la pressione dei crescenti arrivi, il ministero dell’Interno di allora ha avviato un sistema parallelo e “straordinario”, i Cas (centri di accoglienza straordinari), disegnati sulla base del Piano nazionale di riparto con l’obiettivo di distribuire i richiedenti asilo su tutto il territorio nazionale. Al contrario degli Sprar, i Cas sono gestiti dalle prefetture tramite bandi aperti rivolti a operatori privati, senza il coinvolgimento delle amministrazioni comunali. Da straordinario il sistema diventa presto la principale rete di accoglienza in Italia, arrivando a ospitare più dell’80 per cento dei richiedenti asilo presenti nel nostro paese al picco della crisi.
Lo studio
Il principale ostacolo alla valutazione sistematica del sistema di accoglienza è la mancanza di dati amministrativi disaggregati, che il Viminale non ha mai reso pubblici, nonostante le numerose richieste da parte sia del mondo accademico sia della società civile. In un nostro lavoro congiunto con Openpolis e ActionAid Italia, abbiamo aggirato l’ostacolo facendo richiesta di Accesso civico generalizzato a tutte le prefetture di Italia, raccogliendo e sistematizzando quindi i dati amministrativi a livello comunale sul sistema di accoglienza. In particolare, i dati ci consentono di mappare tutti i Cas aperti negli anni dal 2014 al 2019 per i comuni di 92 provincie su 107, e per ciascuna struttura conosciamo la località, la data di apertura e chiusura, la capienza, e l’evoluzione delle presenze nel tempo.
Dai nostri dati emerge che da circa 2 mila nel 2014, i Cas diventano più di 15 mila nel 2017. La maggior parte dei richiedenti asilo sono ospitati in piccoli centri (in media di 25 ospiti), realizzati in appartamenti privati in un sistema diffuso sul territorio. Circa il 40 per cento dei comuni italiani ha ospitato almeno un Cas tra il 2014 e il 2019. Pertanto, a differenza di quanto percepito dal racconto mediatico, i cosiddetti “grandi centri” sono una minoranza.
Il nostro studio analizza questo sistema di accoglienza e la politica di riparto (circa 2,5 richiedenti asilo per mille abitanti) per valutare le conseguenze economiche e politiche dell’arrivo dei rifugiati sul territorio italiano. L’analisi mostra come la dispersione dei richiedenti sia quasi-random a livello comunale, risultato della combinazione delle quote previste dal piano di riparto, della rapidità dei flussi e della gestione dei bandi aperti da parte delle prefetture. Pertanto, la presenza di richiedenti asilo nei comuni, in quegli anni, non è determinata in maniera sistematica da caratteristiche socio-economiche, demografiche e politiche dei comuni stessi. Da un punto di vista metodologico, ciò permette di stimare una relazione causale dell’arrivo dei richiedenti asilo sulle variabili socio-economiche locali e sulle preferenze politiche degli elettori.
I risultati
I risultati mostrano che non ci sono stati costi economici dell’accoglienza a livello locale, in termini di reddito, spiazzamento di lavoratori locali o spesa pubblica per i residenti. C’è invece un effetto significativo sulla composizione demografica a livello locale, con effetti di ripopolamento laddove si ha una maggiore concentrazione di anziani.
L’assenza di costi economici, tuttavia, non è stata sufficiente ad arginare i risvolti politici del sistema. Dalla nostra analisi emerge, infatti, che un aumento della quota dei rifugiati ospitati nei Cas a livello comunale contribuisce a modificare le preferenze dell’elettorato a favore dei partiti radicali di destra con una chiara agenda anti-immigrazione (Lega e Fratelli d’Italia). L’effetto è però contenuto (circa pari al 2 per cento della variazione nei voti) e valido soprattutto per i comuni più piccoli (sotto i 25 mila abitanti, ossia il 95 per cento circa del totale).
Il nostro studio, inoltre, testa l’ipotesi che il maggior consenso per Lega e Fratelli d’Italia sia originato dalla propaganda anti-immigrazione portata avanti dai partiti di destra prima delle elezioni del 4 marzo 2018. Attraverso le informazioni sugli eventi di campagna elettorale estratte dagli account Twitter dei candidati prima del voto, osserviamo che l’effetto della presenza dei richiedenti asilo sulle preferenze elettorali per Lega e Fratelli d’Italia è maggiore nei comuni che hanno ospitato un evento elettorale organizzato dai partiti di destra. Inoltre, combinando questi dati con le informazioni raccolte da Amnesty International nel Barometro dell’odio, si vede come il consenso per i due partiti cresca in misura maggiore quando agli eventi partecipano candidati segnalati per aver diffuso discorsi di odio attraverso i loro profili social. Ciò conferma il ruolo della propaganda nazionalista e xenofoba nell’orientare il consenso in favore dei partiti anti-immigrazione.
Da tutti questi risultati possiamo ricavare alcune importanti implicazioni. Nel nostro studio osserviamo reazioni politiche diverse fra grandi e piccoli comuni alla presenza dei richiedenti asilo, dovute all’intersezione delle caratteristiche del sistema Cas con quelle del contesto locale. La redistribuzione territoriale ha portato all’apertura di centri d’accoglienza in modo diffuso, ma i piccoli comuni possono avere un senso di identità più accentuato ed essere più sensibili alla mancanza di informazione o preparazione adeguata. Si aggiungono, poi, lo scarso coinvolgimento (se non l’opposizione) delle amministrazioni comunali e la scarsità di risorse destinate all’integrazione socio-economica dei richiedenti asilo.
Questi elementi suggeriscono la necessità di abbandonare la logica emergenziale delle politiche di contenimento dei flussi migratori, per passare a una gestione del sistema di accoglienza in modo integrato con i contesti e le amministrazioni locali, in un’ottica di investimento di lungo periodo su integrazione e sviluppo del territorio.
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Giuseppe GB Cattaneo
A naso direi che lo studio contiene qualche errore e le conclusioni che ne vengono tratte sono sbagliate. Rifletterei un po di più sull’affermazione “il ruolo della propaganda nazionalista e xenofoba nell’orientare il consenso in favore dei partiti anti-immigrazione” Se il problema dell’immigrazione non esistesse e fosse così semplice orientare il consenso fondandosi unicamente sulla propaganza allora dovrebbe funzionare anche l’inverso. Invece l’inverso non funziona. Chiedersi perché!
Catullo
Il fatto che non vada a bilancio comunale non significa che nessuno paghi ma che paga lo stato e di questo i cittadini sono ben consapevoli anche considerando che sull’accoglienza esiste chi ne fa un redditizio business.
Il comportamento dei richiedenti asilo è spesso poco rispettoso degli altri e delle regole, in una comunità piccola questo si vede sicuramente di più.
Molti sembrano poco interessati ad integrarsi e più a farsi mantenere, chi lavora spesso accetta condizioni illegali andando a competere con chi avrebbe bisogno di quel lavoro.
L’affermazione dei partiti di destra più che per colpa della retorica d’odio trova linfa nell’incapacità di gestire un fenomeno così impattante sulla società, se gli altri partiti fanno finta di non vedere il problema si afferma chi quel problema lo urla.
Mahmoud
Mi aspetto che su un tema di competenza statale quale l’immigrazione i cittadini di un Paese non ponderino i loro voti rispetto a quanto succede nella sola loro provincia ma rispetto a quanto succede a livello nazionale.
Non dovrei preoccuparmi degli alti costi statali legati al mantenimento di persone che in gran parte, al termine di ancor più costose procedure che passano tra l’altro per abbondante spreco di gratuiti patrocini nei tribunali, non avevano titolo per ottenere la domanda (di asilo politico) che strumentalmente avevano presentato solo poiché non ospitati proprio nella mia provincia? Lol