Come ha influito la pandemia sulla distribuzione dei redditi e sulla povertà delle famiglie italiane? Nuovi dati indicano una riduzione globale dei redditi e un aumento del rischio di povertà. Qual è stato il ruolo delle misure di sostegno economico.
I redditi degli italiani nel 2020
Come sono cambiati i redditi degli italiani nel corso della pandemia? La nostra conoscenza del fenomeno deriva per lo più da proiezioni e simulazioni basate su diversi scenari di policy e distribuzioni del reddito che si riferiscono a periodi antecedenti l’emergenza Covid-19 (ad esempio qui). Le indagini campionarie che misurano a livello individuale i redditi netti degli italiani nel 2020 infatti non sono ancora disponibili. Un’eccezione è data da un sondaggio online, COME-HERE, condotto dall’Università del Lussemburgo su un campione rappresentativo di 1.700 italiani intervistati quattro volte nel corso del 2020 con l’obiettivo di monitorare e analizzare i cambiamenti nelle loro condizioni lavorative, di reddito, nonché la loro salute fisica e mentale durante la pandemia. In ogni intervista, a questi individui è stato chiesto il reddito familiare netto di qualche mese prima, che noi abbiamo attribuito a ogni componente della famiglia considerando le economie di scala della convivenza (abbiamo calcolato il cosiddetto reddito equivalente).
Che quadro emerge dai dati raccolti? I redditi degli italiani sono stati esposti a una riduzione globale tra gennaio e maggio 2020, con una parziale ripresa a settembre. Un andamento simile può essere osservato anche dai dati trimestrali Istat su redditi lordi e i redditi da lavoro dipendente. Quali sono le conseguenze in termini di disuguaglianza e povertà?
La figura 1 riassume questi risultati, misurando la disuguaglianza di reddito tramite l’indice di Gini e la povertà come la proporzione di individui con reddito inferiore alla soglia di povertà relativa, fissata al 60 per cento del reddito mediano netto a gennaio 2020. La disuguaglianza di reddito è aumentata da gennaio a maggio (+1,2 punti percentuali), per poi diminuire a settembre. Il numero di individui a rischio di povertà ha seguito un andamento simile: se prima dell’emergenza Covid-19, il tasso di povertà relativa in Italia era del 21,1 per cento, questo valore è passato al 28,8 per cento a maggio, per poi attestarsi al 24,4 per cento a settembre.
L’Italia non è il solo paese a mostrare questo andamento: il sondaggio dell’Università del Lussemburgo, che include campioni di altri quattro stati europei, indica un quadro simile anche in Spagna e Svezia. Francia e Germania, invece, sembra siano state più efficaci nel contenere le conseguenze negative sui redditi della pandemia e delle misure di lockdown, con valori di disuguaglianza e povertà piuttosto stabili tra gennaio e settembre 2020.
Chi sono i più penalizzati?
Non tutti gli italiani hanno sofferto le conseguenze economiche della pandemia allo stesso modo: le nostre analisi evidenziano che le donne e i giovani sono le categorie a più alto rischio di povertà. Coerentemente con altri risultati sul mercato del lavoro, i lavoratori impiegati in attività “essenziali” (che non hanno subito interruzioni dovute all’emergenza Covid-19) sono a più basso rischio di povertà.
Importanti differenze emergono anche sul piano geografico, come mostra la figura 2. Una volta prese in considerazione le differenze iniziali tra aree territoriali, il maggiore aumento di individui a rischio di povertà a maggio 2020 si è verificato nelle regioni del Centro Italia (sia in termini assoluti che relativi). La ripresa a settembre è stata parziale, registrando un tasso di povertà del 21,2 per cento (6 punti percentuali più alto di quello di gennaio). Anche le regioni del Nord-Est hanno subito un forte aumento della proporzione di individui al di sotto della soglia di povertà (+7 punti percentuali). Nonostante la pandemia abbia colpito con intensità diverse i redditi degli italiani nelle varie regioni, l’aumento diffuso del tasso di povertà tra gennaio e settembre 2020 non ha alterato sostanzialmente le differenze iniziali, che vedono sempre Sud e Isole a più alto rischio di povertà.
Il ruolo delle politiche
Perché i redditi degli italiani, e con essi il rischio di povertà, sono cambiati così tanto nel corso del 2020? La causa è stata la pandemia e le peggiori condizioni di salute fisica e mentale o piuttosto le misure di lockdown adottate per far fronte all’emergenza? E il recupero visto da maggio a settembre quanto è dovuto alle misure di supporto economico messe in atto dal governo?
Utilizzando un indicatore sintetico delle misure di lockdown sviluppato dall’Università di Oxford e combinandolo alle variazioni di reddito ottenute dal sondaggio, i risultati suggeriscono che decisioni di confinamento più rigide (come la chiusura delle scuole e dei posti di lavoro) comportano una riduzione dei redditi familiari. Una volta presa in considerazione l’intensità delle misure di lockdown, i redditi degli italiani sembrano insensibili al numero di casi di Covid-19 attivi sul territorio nazionale, o al tasso di infezione e di letalità del virus.
Di particolare rilevanza politica è la questione dell’efficacia dei provvedimenti a supporto economico delle famiglie e dei lavoratori, come la deroga per la cassa integrazione e le altre misure di sostegno previste dai decreti legge varati nel corso del 2020, nel contrastare le conseguenze negative dei lockdown. Nella nostra analisi utilizziamo un indicatore di supporto economico sviluppato dall’Università di Oxford, basato su due componenti: una di sostegno al reddito (come il reddito di emergenza e gli indennizzi per i lavoratori) e l’altra costituita da moratorie (come sospensione di rate di mutui e prestiti) introdotte in Italia. I dati mostrano che livelli di supporto economico abbastanza elevati (simili a quelli italiani durante il periodo estivo 2020) sono efficaci nel neutralizzare gli effetti negativi delle misure di confinamento.
Con il recente aumento del contagio dovuto alla presenza sul territorio di nuove varianti del virus, la prospettiva di un ritorno a misure di confinamento più restrittive è sempre più concreta. Affiancare i provvedimenti con adeguati criteri di supporto per le famiglie più a rischio, benché efficace a contrastare gli effetti recessivi del lockdown nel breve termine, potrebbe però rivelarsi una strategia onerosa nel lungo periodo. La soluzione per minimizzare il peso sulle generazioni future? Sfruttare la pandemia, e con essa i fondi europei che l’Italia riceverà, come l’occasione per investire in un’Italia digitale, sostenibile, efficiente e produttiva.
Lavoce è di tutti: sostienila!
Lavoce.info non ospita pubblicità e, a differenza di molti altri siti di informazione, l’accesso ai nostri articoli è completamente gratuito. L’impegno dei redattori è volontario, ma le donazioni sono fondamentali per sostenere i costi del nostro sito. Il tuo contributo rafforzerebbe la nostra indipendenza e ci aiuterebbe a migliorare la nostra offerta di informazione libera, professionale e gratuita. Grazie del tuo aiuto!
Alberto Isoardo
Si fa un grande uso di statistiche europee per poi applicarle all’Italia dimenticando l’enorme fetta di lavoro nero che, soprattutto nelle grandi città e in meridione caratterizza la nostra economia.
Ora i ristori di cui si è tanto vantato il governo Conte e di cui sembra anche volersi fregiare Draghi, ovviamente ignorano totalmente questa realtà.
La negazione di questo problema rende risibili le misure proposte e rende sostanzialmente immorale il proseguire su questa strada ben sapendo che la lotta all’evasione è una bandiera che tutti sventolano ma che nessuno fa propria. Nè i 5S, nè il PD e meno che meno la destra.
Sarebbe bello che anche questi professori evitassero di nascondersi dietro cifre inevitabilmente addomesticate per spingere i loro colleghi al potere ad un approccio meno ideologico e più intellettualmente onesto.
Pedro
“Sfruttare la pandemia, e con essa i fondi europei che l’Italia riceverà, come l’occasione per investire in un’Italia digitale, sostenibile, efficiente e produttiva.”
Stiamo parlano dello stesso Paese? Ciò risulterà, come sempre, impossibile. E lo sapete perfettamente.
Jel
Lo statalismo con la sua burocrazia non è solo un fastidio, è un macigno che impedisce all’Italia di correre, o anche solo di camminare. Un handicap che ci azzoppa e che costa miliardi di euro alle imprese, mentre gli altri paesi crescono noi siamo lì, inchiodati a qualche sportello. Magari a pagare una tassa, visto che abbiamo anche questo record: addirittura un centinaio tra addizionali, imposte, ritenute e tributi, Inps, Inail, Iva, Tosa, Cimp, Ires, Irap, Irpef. E poi la tassa sull’ombra, quella sui passi carrai, la tassa sui rifiuti, la tassa sulle bonifiche… E molte altre, come racconta la repubblica dei mndrini.
ANTIEVASIONE:
1) Tagliare le tasse sul lavoro al 10 max. 15% sul reddito netto per tutti i lavoratori. (RN = RL – Spese); RN ricavato da bilancio automatico, con obbligo di c/c bancario unico, individuale e corrispondente al codice fiscale. (Finisce l’evasione e forse anche le tangenti pubbliche);
2) Casse Pensioni Private. Abolire le Casse Pubbliche. Tutti devono pagare i contributi, detraibili fiscalmente, alla propria cassa pensioni privata. (Finiscono i premi per i Super-FURBI o Super-LADRI a carico dei lavoratori);
3) Abolire tutti gli ENTI INUTILI domani; (TREU dopo avere inventato una legge per pensionare sindacalisti e partigiani con 1 solo mese di contributi, andrebbe finalmente A CASA);
4) Sanzioni per i LADRI DI STATO, che per i legislatori italiani non sono previsti. Eppure sono in tanti, quindi: a) Restituzione della refurtiva
MP
Meravigliano molto le vostre analisi, parziali, che non affrontano il problema e non arrivano a nessuna conclusione utile.
Il cancro dell’Italia è la spesa pubblica che, per comodità, voi non affrontate. Quindi occorre tagliare tutto cio’ che non produce beni o servizi per abbassare le tasse e allentare la morsa della tassazione sul lavoro produttivo. Unico provvedimento utile del precedente governo è stato quello di eliminare 350 parlamentari.
Su circa 800 MLD/anno di spesa pubblica, il 25% di taglio annuale ci rimetterebbe in carreggiata, cominciando dagli stipendi pubblici oltre i 2000 euro, comparativamente non giustificato dal mercato.
Savino
Basta con gli esperimenti sociali di Roberto Speranza e Walter Ricciardi.