Il censimento cinese fotografa una popolazione che invecchia rapidamente: una condizione da paese avanzato per un’economia per molti versi ancora in via di sviluppo. Un quadro demografico che rischia di causare problemi economici rilevanti.
I risultati del censimento in Cina
I dati appena pubblicati sul censimento cinese, che viene realizzato ogni dieci anni, mostrano un evidente rallentamento della crescita demografica: nel 2020 sono nati solo 12 milioni di bambini in tutto il paese, ben al di sotto dei 73 milioni di nascite registrate nel 2010.
La notizia del crollo non giunge inaspettata: ormai da decenni, il tasso di fertilità in Cina è in calo, soprattutto a causa della politica del figlio unico introdotta nel 1978 e diventata costituzionale a partire dal 1982. Nonostante l’estremo controllo delle nascite, la popolazione cinese ha continuato a crescere nei decenni successivi, anche grazie all’età media molto bassa e quindi alla presenza di numerose giovani coppie di genitori. Allo stesso tempo, le condizioni di vita sono migliorate, aumentando la longevità. Le coorti che hanno garantito il boom demografico, però, stanno invecchiando, e oggi non ci sono abbastanza giovani per mantenere la popolazione costante o in crescita. Per questo motivo, si prevede un calo a partire dal 2030.
Secondo le stime dell’Onu, la Cina potrebbe perdere il primato di nazione più popolosa a favore dell’India già a partire dal 2022. Ma non è certo questo il problema. L’economia cinese si troverà presto ad affrontare una sfida, quella dell’invecchiamento della popolazione, tipica dei paesi avanzati, senza tuttavia poter vantare una prosperità economica pari a quella dei paesi occidentali o del Giappone.
Gli squilibri
Negli anni della grande crescita economica, il paese è stato tra i più efficienti nello sfruttare il cosiddetto dividendo demografico: la crescita della popolazione in età lavorativa ha permesso di ridurre il tasso di dipendenza, ossia la proporzione tra inattivi (giovani e anziani) e popolazione attiva, e di disporre di una forza di lavoro virtualmente illimitata. Una strategia di sviluppo di questo tipo ha garantito una crescita economica basata sugli investimenti e sull’accumulazione di capitale. Il tasso di laureati è cresciuto del 73 per cento in dieci anni e oggi più di 218 milioni di persone vantano un’istruzione universitaria. Ciononostante, i laureati sono solamente il 15 per cento della popolazione, un dato decisamente inferiore rispetto a quello delle economie avanzate.
Oggi, con una popolazione sempre più anziana, il tasso di dipendenza torna a crescere e rischia di avvicinarsi al 100 per cento entro la metà del secolo. L’età mediana, che nel 1970 era di 19 anni, oggi è di 38 anni ed è destinata a salire a 48 nel 2050. Inoltre, la partecipazione al mercato del lavoro non è bassa in aggregato, ma tende a crollare dopo il cinquantesimo anno di età, in parte perché i lavoratori desiderano andare in pensione presto e in parte perché i cinquantenni di oggi spesso non hanno le competenze necessarie per mantenere un’occupazione in un mercato del lavoro in rapido cambiamento. È quindi diventata urgente anche l’introduzione di un sistema pensionistico: la transizione verso una quota di popolazione in età lavorativa pari al 50 per cento del totale dovrebbe concludersi, secondo le previsioni, già intorno al 2050.
A queste problematiche si aggiunge un dato estremamente preoccupante: la Cina è il paese con il più alto squilibrio tra sessi al mondo. I dati del censimento mostrano che per ogni 100 femmine nascono 111,3 maschi. Il rapporto – conseguenza della politica del figlio unico, della pratica degli aborti selettivi e dell’incuria verso le bambine – sembra essere in calo (dieci anni fa era di 118,1 maschi ogni 100 femmine), ma rimane un problema grave e persistente. Unito alla bassa fertilità, ha portato ad alcuni tentativi di spingere le donne cinesi verso un ritorno ai ruoli di genere tradizionali e di censurare e incarcerare molte attiviste femministe.
In tutto il paese persistono poi forti disparità da un punto di vista economico e di benessere; un dato reso evidente, per esempio, dalle differenze nei livelli di istruzione e nell’assistenza sanitaria e pensionistica. Rispetto all’ultimo censimento, la quota di popolazione residente nelle aree urbane è aumentata del 14 per cento, arrivando a rappresentare il 64 per cento del totale; nel Nord-Est del paese, una zona in declino negli ultimi anni, la popolazione è scesa dell’1,2 per cento.
La mancanza di una forza lavoro sufficiente sia a sostenere gli inattivi, soprattutto gli anziani in aumento, che a risparmiare abbastanza per garantire il modello di sviluppo basato sugli investimenti, rischia di mettere una seria ipoteca sulla crescita cinese, che già ha cominciato a ridursi al di sotto del tasso medio degli ultimi trent’anni superiore al 10 per cento. Il boom cinese, sostenuto in gran parte dalla schiera di giovani lavoratori impiegati nella “fabbrica del mondo”, rischia di sgonfiarsi ancora prima che il paese diventi effettivamente ricco, come sostenuto dallo studioso dell’Accademia cinese per le scienze sociali Cai Fang, che in un convegno del 2012 descrisse il destino dell’economia cinese: “Un paese diventato vecchio prima ancora di essere diventato ricco”.
Necessità di riforme radicali
Oggi sono due le strade per aumentare il tasso di crescita potenziale cinese: incentivare una maggior partecipazione al mercato del lavoro e migliorare la produttività totale dei fattori. Ambedue richiedono politiche diffuse e profonde la cui realizzazione necessita di riforme radicali e i cui effetti hanno bisogno di molti anni per manifestarsi. Il contesto non è più quello di un paese molto giovane e in rapida crescita, in cui al governo bastava ridurre la natalità per ottenere in pochi anni gli effetti desiderati. La Cina di oggi è un paese rapidamente invecchiato. Il fenomeno accentuerà la tendenza verso una riduzione della popolazione attiva e peggiorerà quindi il trend negativo sull’offerta di lavoro. Non ci sono facili vie di uscita da un problema di lungo periodo che ha caratterizzato tutti i paesi avanzati. La svolta demografica anticipata (rispetto al momento in cui sarebbe giunta senza la politica del figlio unico) segnerà la vendetta della demografia sui suoi feroci controllori.
La seconda strada è quella dell’aumento della produttività, la sfida più grande. La Cina non vi è riuscita neppure nei decenni di grande trasformazione delle strutture produttive, di rapida crescita del settore privato, molto più efficiente dell’enorme settore di stato. Oggi che le imprese private versano in condizioni difficili per problemi di eccessivo indebitamento e scarsa liquidità, mentre quelle di stato riprendono progressivamente peso sulla produzione totale, non si vede come ci si possa aspettare un miglioramento della produttività totale.
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Enrico D'Elia
Mi fa piacere che il problema della minore produttività degli anziani cominci ad entrare nel dibattito sul welfare e lo sviluppo. Purtroppo gli homo sapiens originariamente erano in grado di vivere in buone condizioni 30-40 anni ed oggi, dopo circa un milione di anni, vivono meglio e più a lungo soprattutto grazie alla medicina e alle condizioni di vita. Tuttavia la nostra vita in piena efficienza e le nostre prestazioni massime si sono evolute molto lentamente. Forse oggi la vita in buona salute raggiunge a malapena i 60 anni, mentre la nostra resistenza alla fatica non è lontana da quella di Milziade, il primo (involontario) maratoneta, e la capacità di memoria e concentrazione si è probabilmente ridotta a causa del frequente ricorso a supporti esterni. Quindi dovremo rassegnarci ad un aumento strutturale del tasso di dipendenza in tutto il mondo…a meno di soluzioni indesiderabili.