Da un lato, la Fed immette liquidità con il Quantitative easing, dall’altro la ritira con operazioni di Reverse Repo, per evitare che i tassi divengano negativi. Il processo di normalizzazione quantitativa è così già avviato. Ma c’è un fatto nuovo.

Il percorso verso la normalizzazione

La notizia a cui la stampa ha dato più risalto dopo l’ultimo Consiglio della Federal Reserve è che l’aumento dei tassi si fa più vicino. Per il momento, però, non c’è alcuna certezza. Il doppio rialzo dei tassi, che dovrebbe portare quello sui Fed Funds allo 0,6 per cento, è contenuto solo nelle previsioni macroeconomiche che ogni partecipante al Fomc (Federal Open Market Comitee) della Fed è tenuto a presentare sulla base delle proprie analisi. Previsioni personali e non del Comitato. Come ha voluto rimarcare lo stesso governatore: “non sono una previsione del Comitato. Non sono un piano. E in realtà non abbiamo discusso se il liftoff (ndr dei tassi) sia appropriato in un determinato anno perché discutere del liftoff ora sarebbe altamente prematuro. Non avrebbe alcun senso”. Con un mercato del lavoro che non cresce al ritmo ipotizzato a inizio anno e previsioni di inflazione a lungo termine ancorate al target, ventilare prematuramente aumenti dei tassi potrebbe solo rafforzare lo scetticismo che il mercato nutre sulla capacità della Fed di perseguire in modo coerente il nuovo obiettivo di media d’inflazione.

Si è però cominciato a discutere, per la prima volta, di come avviare la riduzione (tapering) della dimensione del Quantitative easing e nella riunione di settembre verranno date indicazioni più precise su come saranno scalati gli acquisti.

La decisione, che rappresenterà l’inizio di un percorso di normalizzazione della politica monetaria americana, è però anche il prendere atto di quello che avviene sul mercato monetario del dollaro, in cui la liquidità è ormai troppa.

Tutto è iniziato alla fine di marzo con la revoca dell’esclusione dei depositi presso la banca centrale nel coefficiente Slr (Supplementary Leverage Ratio). Per evitare di dover accumulare più capitale, le principali banche americane scoraggiano l’afflusso di nuovi depositanti. Negli ultimi tre mesi la loro liquidità, espressa dai depositi presso la Fed, è rimasta pressoché costante, contro i circa 1.200 miliardi di liquidità immessa dagli organi federali (900 spesi dal governo e 300 di Quantitative easing).

Il fiume di liquidità, non potendo sparire, ha preso così altre strade, riversandosi sul mercato monetario e schiacciando tutti i tassi a breve termine, compresi quelli dei T-bills, a un livello vicino allo zero (figura 2).

Fed contraria ai tassi negativi

Leggi anche:  Lo strano caso del consumatore europeo*

A differenza di quello che avviene nella zona euro, la Fed si è sempre dichiarata contraria ai tassi d’interesse negativi, perché ritiene che non permettano un corretto funzionamento del mercato monetario. Così, con i tassi a breve termine in caduta libera, pericolosamente vicini a diventare negativi, ha potenziato le operazioni di pronti contro termine, dette di Reverse Repo, con le quali vende a termine sul mercato titoli di stato e ritira liquidità. L’utilizzo di questa facility è andato crescendo in modo esponenziale (figura 3), arrivando a superare gli 800 miliardi di dollari e consentendo di controllare la caduta dei tassi prima che diventassero negativi.

In pratica, mentre da un lato la Fed immette liquidità (o acquista titoli) con il Quantitative easing, dall’altro lato la ritira (o rivende titoli) con le operazioni di Reverse Repo, per fare in modo che i tassi non vadano negativi. L’effetto complessivo (figura 4) è una riduzione dei titoli che ha in bilancio.

Il “trio inconciliabile”

Con lo scopo di contenere al limite inferiore dello zero i tassi a breve termine, la Fed sta già compiendo operazioni nette che drenano liquidità dal mercato o che, in modo analogo, rimettono sul mercato più titoli di quanti ne vengono acquistati con il Qe. Il processo di normalizzazione quantitativa è già nei fatti ed è la conseguenza di una situazione inversa rispetto a quella che avevamo descritto nel settembre del 2019. Allora, in una situazione di scarsità di liquidità, la Fed fu costretta a interrompere in anticipo la riduzione quantitativa in corso e fornire nuova liquidità attraverso le operazioni di Repo, per poi lanciare un Qe mascherato che prese il nome di Reserve Management Purchase. Se non lo avesse fatto, avrebbe perso il controllo al rialzo dei tassi monetari. Oggi invece deve intervenire per assorbire liquidità per non perdere il controllo del limite inferiore.

Come se esistesse un trio inconciliabile, fatto di tassi d’interesse a breve termine, dimensione della liquidità e regolamentazione del bilancio degli intermediari, nel quale la banca centrale possa controllarne solo due. La presa d’atto dell’esistenza del “trio inconciliabile” potrebbe essere una futura decisione di rendere permanenti le facility di Repo e Reverse Repo. Una decisione che è stata finora osteggiata per le problematiche di azzardo morale e stabilità finanziaria che comporterebbe, ma che potrebbe rendersi inevitabile per mantenere il controllo di un ampio spettro di tassi a breve termine e allo stesso tempo continuare a regolamentare le esposizioni delle banche commerciali.

Leggi anche:  Reagire all'inflazione: un'indagine sulle imprese del made in Italy

Lavoce è di tutti: sostienila!

Lavoce.info non ospita pubblicità e, a differenza di molti altri siti di informazione, l’accesso ai nostri articoli è completamente gratuito. L’impegno dei redattori è volontario, ma le donazioni sono fondamentali per sostenere i costi del nostro sito. Il tuo contributo rafforzerebbe la nostra indipendenza e ci aiuterebbe a migliorare la nostra offerta di informazione libera, professionale e gratuita. Grazie del tuo aiuto!

Leggi anche:  Inflazione bassa, ma il carrello tricolore non c'entra