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Apprendistato, un buon contratto

Per le imprese, l’apprendistato professionalizzante ha il vantaggio della flessibilità e del costo più basso. Per i lavoratori, è una opportunità di lavoro potenzialmente stabile e adeguatamente tutelata. E dà più certezze del tirocinio extracurriculare.

I fatti

L’apprendistato professionalizzante descritto nel Rapporto di monitoraggio dell’Irpet appare come un fenomeno plurale. La cornice contrattuale è unica, ma esso viene declinato in modo differenziato fra i settori in funzione delle caratteristiche della domanda di lavoro e dell’offerta dei lavoratori. Resta prevalentemente utilizzato nel manifatturiero, ma negli ultimi anni è cresciuta la quota di apprendisti nel terziario.

Nel Rapporto numeri e considerazioni riguardano la sola Toscana, ma riteniamo che abbiano una valenza più generale estendibile all’intero paese. L’apprendistato professionalizzante coinvolge circa il 10 per cento degli under 30 avviati al lavoro. I contratti di apprendistato pesano più nelle costruzioni (oltre il 30 per cento degli avviamenti) e nella manifattura (il 20 per cento), rispetto ai servizi (il 10 per cento). Tuttavia, la maggior parte di essi sono stipulati nel terziario, a causa di un effetto di scala, legato al maggiore dinamismo occupazionale del comparto dei servizi. Anche la possibilità di attivare l’apprendistato stagionale (16 per cento del totale), utilizzato tipicamente nel turismo per coprire il periodo estivo, spiega il crescente successo di questa modalità contrattuale nel terziario.

Le imprese che stipulano contratti di apprendistato sono circa il 23 per cento di quelle totali e, in genere, presentano una dimensione media maggiore delle altre e una più alta quota di occupazione giovanile. L’impresa artigianale tipo che assume apprendisti opera nei centri estetici, tra i carrozzieri e i meccanici, nel settore delle riparazioni e nella pelletteria. L’impresa manufatturiera tipo che assume apprendisti opera nell’alimentare, nelle calzature, nei prodotti in metallo e nelle apparecchiature meccaniche. Ma troviamo apprendisti anche nell’edilizia e, tra i servizi, nel commercio all’ingrosso, nel credito e nell’informatica.

L’apprendistato come trampolino di lancio

Ci sono due fattispecie prevalenti di impresa che assumono con contratto di apprendistato. La prima (il 30 per cento) tende, un po’ opportunisticamente, ad assumere molti apprendisti per risparmiare sul costo del lavoro, ma con poche prospettive di assunzione a tempo indeterminato. La seconda (15 per cento), invece, impiega un numero più limitato di apprendisti, ma con l’obiettivo di inserirli in via definitiva in azienda.

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La prima tipologia, meno virtuosa, è quindi prevalente, ma la seconda non è quantitativamente trascurabile. Inoltre, le imprese del primo tipo appartengono prevalentemente al mondo del commercio e del turismo, dove per definizione il lavoro è mobile e stagionale: qui disporre di un contratto di apprendistato assicura un salario dignitoso e alcuni fondamentali diritti (contributi, ferie, indennità), non associabili nella stessa misura a altre tipologie contrattuali.

In generale, il tasso lordo di trasformazione dei contratti di apprendistato in contratti a tempo indeterminato è in media del 36 per cento, una percentuale superiore a quella che segna il passaggio al lavoro a tempo indeterminato dalle file della disoccupazione (meno del 9 per cento). Ciò suggerisce che, per molti di coloro che lo sottoscrivono, l’apprendistato rappresenti un trampolino di lancio o una porta di ingresso nel lavoro a tempo indeterminato. Quel 36 per cento, infatti, può essere considerato l’effetto lordo dell’apprendistato sul tasso di job finding nel breve periodo.

I modelli di apprendistato

Vi sono diversi percorsi di apprendistato professionalizzante. Semplifichiamoli in tre tipi. Il primo è quello dell’”apprendistato duraturo”, il lavoratore che resta nella medesima impresa 5 anni e che nel 90 per cento dei casi si trasforma in contratto di lavoro a tempo indeterminato. Appartiene a questa fattispecie il 26 per cento degli apprendisti.

Un modello diverso è quello che il Rapporto definisce dell’“apprendistato ponte” che riguarda quei giovani che a 5 anni dal loro primo rapporto di apprendistato transitano verso nuove forme contrattuali. Rientra in questa fattispecie il 61 per cento degli apprendisti. Solo una minoranza di questo gruppo diventa a tempo indeterminato, la maggioranza trova un lavoro a termine, e circa un quarto stipula un altro contratto di apprendistato. Quasi tutti – il 90 per cento dei casi – lavorano in altre imprese diverse da quella originaria.

Sommando le due fattispecie, a cinque anni dal primo contratto di apprendistato, 87 apprendisti ogni 100 lavorano. In Toscana, dunque, l’apprendistato apparentemente “fine a se stesso”, che non porta a nessun altro rapporto di lavoro dipendente nei 5 anni successivi, riguarda una quota minoritaria, pari al 13 per cento, che compone il terzo tipo di giovani apprendisti.

In ogni caso, è evidente il vantaggio dei giovani assunti con un contratto di apprendistato: rispetto a chi è entrato nel mercato del lavoro con un altro tipo di contratto, nei tre anni successivi, gli apprendisti mostrano un più alto contenuto di lavoro, del tutto analogo, anzi superiore, a quello dei loro coetanei che hanno iniziato il percorso lavorativo con un contratto a tempo indeterminato e molto più elevato rispetto a coloro che hanno iniziato con un tirocinio extracurriculare.

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Figura 2 – Contenuto di lavoro a tre anni dall’avviamento per tipo di contratto di ingresso (under 30)

Fonte: elaborazioni Irpet su dati delle comunicazioni obbligatorie al lavoro

A conferma della maggiore potenzialità dell’apprendistato come trampolino di lancio nel mercato del lavoro, la figura 3 mostra che la probabilità di avere un lavoro alle dipendenze dopo 3 anni dall’avviamento è del 70 per cento per un giovane apprendista e del 59 per cento per un tirocinante.

Nell’analisi delle carriere emerge, tuttavia, una interessante complementarietà tra le due modalità di ingresso nel mercato del lavoro: insieme danno luogo a un percorso virtuoso verso l’occupazione stabile che inizia con il tirocinio, evolve successivamente in apprendistato e garantisce la permanenza nel rapporto alla scadenza del periodo formativo (al 50 per cento degli apprendisti che provengono da un tirocinio).

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  1. Loris Batacchi

    si fa prima ad andare all’estero.

    • bob

      Bravo!

      Con tutto il rispetto rimango allibito che 4 esperti continuano a “girare intorno ” ad un problema che ha una sola soluzione: drastico abbassamento del costo contributivo. Oltre che una liberalizzazione vera del mercato del lavoro senza spreco di tempo e risorse per assumere una persona. Minori contributi vuol dire busta paga più sostanziosa per il dipendente. Nel settore edile un muratore costa ad una azienda 4500 euro al mese al muratore vanno in busta paga 1200 euro un buon muratore “pretende” una parte in nero per arrivare a 1600-1700 euro mensile. Agli esperti chiedo: mi dite come una azienda possa sopportare un carico fiscale e finanziario mensile di queste dimensioni?
      La soluzione vergognosa è sotto gli occhi di tutti soprattutto in particolari settori di servizi con la creazione di cooperative farlocche che dopo 3 anni chiudono e lasciano un contenzioso di contributi non versati.
      Possibile che un Governo non si ponga queste domande?

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