Il governo inglese introduce una riforma radicale del sistema di assistenza agli adulti. Nel farlo tradisce varie promesse elettorali e porta la spesa pubblica a livelli record. Eppure, potrebbe essere un esempio da seguire, anche in Italia.
Cosa prevede la riforma
Nel Regno Unito, il primo ministro Boris Johnson ha presentato il 7 settembre ai Comuni una proposta radicale di riforma del finanziamento del sistema di assistenza sociale per gli adulti. Si tratta di un settore già di enorme importanza, ma che continuerà a crescere con la longevità della popolazione e i miglioramenti nel settore medico che allungano la vita e ne migliorano la qualità. Di particolare importanza elettorale, sia perché gli anziani votano più dei giovani, sia per la straordinaria divisione generazionale alle urne (figura 1), la questione fu la causa principale della disfatta elettorale di Theresa May nel 2017 ed è stata al centro del primo discorso da primo ministro di Johnson, che promise di sistemarla una volta per tutte.
Figura 1 – Distribuzione dei seggi del Regno Unito, a seconda delle fasce di età dei votanti
L’assistenza sociale nel Regno Unito è data da case di riposo, imprese che forniscono assistenza in casa e familiari. Il ruolo di badante, molto diffuso in Italia, è raro. Il finanziamento è responsabilità delle province: il sussidio pubblico, al contrario del sistema sanitario nazionale, (i) dipende dalle condizioni economiche, cosicché chi ha un patrimonio superiore alla soglia deve utilizzarlo per l’assistenza, fino a quando sia ridotto al punto di qualificare l’assistito per l’assistenza pubblica; e (ii) è limitato all’assistenza, non al vitto e alloggio. Negli ultimi anni la Brexit, che ha diminuito la disponibilità di lavoratori sottopagati dell’Est europeo, e la pandemia hanno portato il settore sull’orlo del baratro.
La riforma modifica i parametri per il contributo pubblico all’assistito e aumenta di 12 miliardi di sterline il finanziamento pubblico (la figura 2 illustra il bilancio attuale). Ci sarà un massimale di 86 mila sterline al contributo personale alla componente di assistenza sociale, simile alla franchigia di un contratto di assicurazione. Raggiunta questa spesa, la provincia paga il 100 per cento a tutti (sempre escludendo i costi “alberghieri”), dall’ex disoccupato al miliardario in pensione. Stabilisce inoltre il principio che il costo di chi paga da sé l’assistenza debba essere uguale a quello pagato dalle province per servizi identici: le province non potranno più, come oggi fanno spesso, negoziare con le case di riposo sconti per gli assistiti pubblici con la minaccia del non rinnovo del contratto, sconti che inevitabilmente impongono un costo maggiore agli ospiti privati. Alle province sarà anche imposto di pagare il costo di assistenza a chi non dispone di fondi liquidi, ottenendone il rimborso in seguito al decesso dell’assistito, con i proventi della vendita dell’abitazione di residenza.
Nel complesso, si tratta di proposte condivisibili, già presenti nel rapporto Dilnot, che dividono in modo abbastanza sensato l’onere tra chi ha bisogno (e tra questi chi ha mezzi e chi non ne ha) e il contribuente.
Aumentano le tasse
Per finanziare la riforma ci sarà un sostanziale aumento delle tasse, che arrivano a una quota del Pil mai vista, se non in tempi di guerra. Nonostante sia sbandierata come una nuova tassa, il “tributo sanitario e di assistenza sociale” (health and social care levy) è una pura addizionale sull’imposizione dei redditi di lavoro.
Oggi, questi sono tassati in due modi, l’income tax (equivalente all’Irpef) e la national insurance (contributi Inps), che, come in Italia, differiscono nel fatto che la seconda si paga solo sui redditi da lavoro, la prima sul totale (quindi anche dividendi affitti e pensioni). La seconda, al contrario che in Italia, è fortemente regressiva: fino al 1975, era addirittura un contributo uguale per tutti i percettori di salario, da Cristiano Ronaldo alla cassiera del Lidl. Poi vennero introdotte aliquote crescenti fino a un massimale di reddito oltre al quale non si pagava nulla. Il motivo della regressività è svelato dal nome: era nata come forma di assicurazione (insurance) contro i fattori che rendono difficile lavorare: disoccupazione, malattia ed età avanzata. Per tutti e tre questi impedimenti il beneficio è indipendente dal reddito e quindi, come il premio che si paga per un’assicurazione privata, in linea di principio era naturale che anche il costo fosse indipendente dal reddito. Fu Gordon Brown, nel 2003, a scalfire questo principio, aggiungendo una componente proporzionale al reddito, nella misura del 2 per cento in questa imposta, senza però alterare i benefici.
La nuova imposta è una proporzionale del 2,5 per cento sul reddito. Le prime pagine riportano un aumento dell’1,25 per cento. Come sottolinea l’IFS (Institute for Fiscal Studies), e come insegniamo ai nostri studenti, l’ammontare effettivo di un’imposta sul lavoro è la somma delle aliquote imposta al lavoratore e al datore di lavoro, indipendentemente da chi versa il ricavato al Tesoro. In questo caso, 1,25 per cento pagato dal lavoratore e 1,25 per cento dall’impresa fa 2,5 per cento. Presentandola in questo modo, Johnson non solo nasconde la vera entità dell’imposta, complice l’ignoranza economica dei commentatori politici, ma riesce perfino a presentarla come equa, perché divisa tra lavoratori e imprese. In realtà, il costo del lavoro è aumentato del 2,5 per cento, ed è questa la variabile che determina il livello di occupazione. Come il costo viene diviso tra lavoratori e imprese dipende solo dal loro rispettivo potere negoziale. Ronaldo potrà mantenere il suo stipendio netto, la cassiera del Lidl rischia il posto se il costo del lavoro più alto costringe il supermercato a ridurre l’occupazione.
Un altro trucco verbale è definire il tributo “progressivo”, perché i percettori di reddito alto, che sono il 14 per cento del totale, pagheranno metà dell’imposta complessiva. In realtà, nonostante il beneficio sia proporzionalmente maggiore per i redditi più bassi, un’imposta proporzionale sui lavoratori fa davvero poco per ridurre le disuguaglianze sociali. È vero che è accompagnata da un’imposta sui dividendi nella stessa proporzione, ma i redditi che derivano dal capitale, come le rendite e i guadagni in conto capitale, diventano ancor più avvantaggiati.
Johnson ha motivato il tradimento della promessa elettorale di non aumentare le tasse con l’affermazione, indiscutibile, che nessuno aveva prevista la pandemia nel programma elettorale. L’aumento delle tasse era inevitabile, ma una seconda promessa elettorale, quella di non imporre a nessuno di vendere la casa dove abita per pagare l’assistenza è mantenuta solo a parole, dato che saranno gli eredi a dover disporre della casa per restituite il prestito alla provincia. Forse sperando che gli elettori non si accorgano di un terzo tradimento, Johnson ha anche sospeso un’altra irrazionale promessa, la cosiddetta triplice garanzia agli anziani. Difficile dire come reagiranno gli elettori. Per il momento, l’inaffondabile Johnson pare non aver subito danni irreparabili, ma cominciano a emergere sondaggi in cui la maggioranza sembra lentamente ridursi.
Un modello da seguire
L’allungamento della vita che i continui miglioramenti medici permettono continuerà certamente nei prossimi decenni e il sistema dell’assistenza agli adulti diventerà sempre più importante, soprattutto in paesi, come l’Italia, con aspettativa di vita già molto alta.
Dalle proposte di Johnson sembra emergere un modello separato dal servizio sanitario, fondato sui pilastri del finanziamento pubblico in strutture private, con un finanziamento di tipo assicurativo, in cui, a parte la franchigia per chi non sia in condizioni economiche disagiate, il contribuente paga per tutti, e della fornitura dell’assistenza casalinga non lasciata alla contrattazione individuale. Il modello potrebbe costituire un esempio da seguire, mutatis mutandis, in Italia. Soprattutto l’ultimo aspetto – la prevalenza in Italia di contratti individuali tra l’anziano e la badante, mutuato da quello tra la “colf” e un nucleo famigliare con due redditi – ha il potenziale di maggiori rischi di abusi laddove una delle due parti sia in condizioni di debolezza, per motivi fisici, legali o economici. La responsabilità andrebbe invece trasferita a imprese che organizzano chi fornisce assistenza in casa come dipendenti e al tempo stesso garantiscano continuità e garanzie legali nel servizio agli assistiti.
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Alberto Ritteri
Grazie del suo articolo chiaro ed informativo.
Fabio Marra
Che dire? Risorse e risorse per gli anziani, in Italia e all’estero. Niente risorse per i giovani, anzi maggior costo del lavoro (e minor lavoro!) a vantaggio di chi il lavoro lo ha avuto e si gode la pensione. E ne in Italia ne altrove i giovani beneficeranno dell’eredità come tardivo risarcimento generazionale. Infine “l’ignoranza economica dei commentatori politici”, ignoranza o ignavia (o peggio collusione)? Alessandro Barbero è l’unico che si salva. Grazie all’autore per il lucido e chiaro contributo.