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Il reddito di cittadinanza secondo l’Ocse

L’ultimo Rapporto Ocse dà alcune indicazioni su come riformare il reddito di cittadinanza. L’obiettivo è costruire una misura in grado di coprire un numero più alto di persone in povertà, incentivare la ricerca di lavoro e migliorare l’inclusione.

Il Rapporto Ocse

Nelle ultime settimane si è riacceso in Italia il dibattito sulla riforma del reddito di cittadinanza. Vi hanno contribuito i nuovi dati sui percettori diffusi dall’Inps (Inps 2021), il rapporto di monitoraggio pubblicato dalla Caritas (Caritas 2021), nonché l’ultimo rapporto Ocse sull’Italia (Ocse 2021).

Molti giornali hanno riassunto la posizione dell’Ocse sul reddito di cittadinanza con la frase “ridurre il sussidio per incentivare il lavoro regolare”. La posizione dell’Organizzazione sul tema è però più articolata, in quanto include non solo modifiche al Rdc ma anche all’Irpef, al bonus dipendenti e al sistema di trasferimenti alle famiglie. Le modifiche del reddito di cittadinanza non possono quindi essere estrapolate dal resto (perché tutte le componenti di reddito sopracitate interagiscono le une con le altre). La tabella 1 sintetizza le principali direttrici della riforma suggerite dall’Organizzazione e rimandiamo alle sue pubblicazioni per approfondimenti (Ocse 2019 e Bulman et al. 2020).

L’Italia ha fatto una serie di passi avanti rispetto alle riforme suggerite nel rapporto Ocse (2019). Ad esempio, si è proceduto al riordino delle misure di sostegno alle famiglie con figli mediante l’istituzione di un assegno unico. Inoltre, è stato istituito il programma nazionale Garanzia occupabilità dei lavoratori (Gol), stanziando fondi per complessivi 5 miliardi nel Piano nazionale di ripresa e resilienza al fine di potenziare le politiche attive del lavoro e di inclusione sociale rivolte, tra gli altri, ai percettori di Naspi, cassa integrazione e reddito di cittadinanza. Un piccolo passo avanti è stato fatto anche con le modifiche al bonus dipendenti in termini di maggiore importo e décalage meno rapido rispetto al reddito.

Rimane invece in cantiere la revisione del reddito di cittadinanza sul quale l’Ocse si è dunque nuovamente soffermata nel Rapporto 2021.

La proposta di riforma del Rdc suggerita dall’Ocse include una serie di interventi organici.

Migliorare il “targeting”

La copertura del Rdc rispetto alle persone classificate come “povere” è bassa. In un recente contributo su lavoce.info, Di Nicola (2021) ha calcolato che solamente il 20 per cento dei poveri “relativi” è raggiunto dalla misura, mentre Baldini e Gallo (2021) nell’ultimo rapporto Caritas hanno mostrano che solamente il 44 per cento dei poveri “assoluti” beneficia del sussidio.

Su questo punto, l’Ocse suggerisce di ridurre l’importo del trasferimento per una persona sola (dove il rischio di povertà è inferiore e il trasferimento è tra i cinque più generosi dei paesi Ocse – si veda il marker quadrato della figura 1) aumentando i trasferimenti per le famiglie numerose (dove il rischio di povertà è maggiore, vedi Istat 2020).

Nello specifico, gli interventi suggeriti dall’Ocse sono i seguenti:

  1. la revisione della scala di equivalenza del Rdc, ovvero dei coefficienti che definiscono l’ammontare del sussidio al variare della numerosità familiare, attualmente particolarmente bassi e penalizzanti per le famiglie con più di tre componenti;
  2. l’istituzione di un assegno unico per le famiglie con figli caratterizzato da importi più alti rispetto ai programmi esistenti;
  3. l’introduzione di un “in-work benefit” con importi crescenti al crescere del numero di figli così da arginare il fenomeno dei “lavoratori poveri” (per i quali la numerosità familiare è una delle principali cause di povertà – si veda il rapporto della Commissione europea 2019).
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Si suggerisce inoltre di migliorare il targeting del Rdc mediante due ulteriori interventi:

  1. abbassare da 10 a 5 anni il requisito sulla residenza in Italia (quello attuale di 10 anni è il più restrittivo tra tutti paesi Ue, insieme a quello della Danimarca). Ciò consentirebbe a molti immigrati residenti regolarmente in Italia (ovvero una categoria con un tasso di povertà superiore alla media) di ricevere aiuto e poter partecipare ai programmi di riqualificazione professionale e di inserimento lavorativo rivolti ai beneficiari di Rdc;
  2. abolire la soglia di eleggibilità Isee di 9.360 euro che, insieme agli altri requisiti patrimoniali particolarmente alti rispetto agli altri paesi (Pacifico 2021), finisce per escludere dal Rdc molti poveri di reddito ma che possiedono un piccolo patrimonio (spesso non facilmente liquidabile, vedi Di Nicola 2021). 

Figura 1 – Generosità dei trasferimenti non contributivi per diverse tipologie familiari, famiglie in affitto senza redditi da lavoro

Fonte: Pacifico (2021) su dati Ocse. Per i dettagli si rimanda alle note della figura 7, capitolo 11 del rapporto Caritas.

Incentivare la ricerca attiva di lavoro

Il reddito di cittadinanza non fornisce i giusti incentivi a cercare attivamente lavoro. Per capire meglio questo aspetto, è utile riportare una figura elaborata da Pacifico (2021) che mostra chiaramente la relazione tra reddito da lavoro (area grigia), Rdc (area gialla) e dell’annesso contributo per l’affitto (area verde) per una coppia monoreddito con due figli.

Come mostrato nella figura 2, il valore dell’Rdc si riduce proporzionalmente al crescere del reddito da lavoro, producendo aliquote marginali effettive pari al 100 per cento per livelli di reddito da lavoro fino a circa 12 mila euro annui (per questa tipologia familiare). In altri termini, tutto il reddito da lavoro guadagnato in questo intervallo è compensato da una riduzione di pari ammontare dei trasferimenti ricevuti, lasciando dunque il reddito disponibile della famiglia invariato rispetto al caso di completa assenza di lavoro. È quindi chiaro che in questo intervallo di reddito gli incentivi al lavoro siano modesti se non totalmente assenti.

Figura 2 – Variazione delle componenti del reddito disponibile di una coppia con due figli in affitto al variare del reddito lordo da lavoro di uno dei due adulti.

Fonte: Pacifico (2021) su dati Ocse. Per i dettagli si rimanda alle note della figura 7, capitolo 11 del rapporto Caritas.

Secondo quanto riportato in numerosi contributi (Ocse (2019), Inps (2019), Baldini e Gallo (2021), Pacifico (2021) e Cnel (2021)), l’ammontare massimo del Rdc è vicino – se non addirittura superiore – alla retribuzione media che potrebbero ottenere i beneficiari della misura nel caso trovassero occupazione in alcune aree del paese. Ad esempio, secondo i dati Inps (2019), il 45 per cento degli occupati nel settore privato nel Sud Italia ha un reddito netto da lavoro inferiore al valore del Rdc. Allo stesso modo, secondo dati Cnel (2021), i minimi retributivi contrattuali in alcuni settori a basse competenze (ovvero dove i percettori del Rdc potrebbero trovare lavoro con maggiore probabilità, come ad esempio agricoltura e lavoro domestico) sono in certi casi addirittura inferiori all’importo massimo del Rdc.

In questo contesto, l’Ocse suggerisce di incentivare la ricerca attiva di lavoro – per coloro che hanno la capacità di lavorare, si intende ‑ attraverso la combinazione delle seguenti misure:

1. modulare l’in-work benefit descritto sopra mediante la stessa logica del trasferimento Primé d’Activité francese o della Earned income tax credit degli Stati Uniti, ovvero rendendo gli importi prima crescenti al crescere del reddito da lavoro (fino a un determinato livello, ad esempio la soglia di incapienza Irpef) e poi decrescenti fino ad azzerarsi per valori prossimi al salario mediano. Ciò avrebbe come effetto quello di aumentare il gap tra il reddito netto in assenza di lavoro e il reddito netto in caso di occupazione, stimolando quindi la ricerca attiva di lavoro;

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2. escludere dal calcolo del Rdc il 25 per cento del reddito da lavoro del percettore del sussidio, come accade in molti paesi Ocse (per esempio, l‘Universal Credit del Regno Unito). Ciò avrebbe l’effetto di aumentare la pendenza della linea del reddito disponibile riportata in figura 2, stimolando così la ricerca attiva di lavoro. Oggi, il Rdc consente di escludere dal calcolo del sussidio il 20 per cento del reddito da lavoro. La durata dell’incentivo è tuttavia temporanea poiché termina col recepimento della nuova posizione reddituale nella successiva dichiarazione Isee;

3. ridurre l’importo del Rdc per un single non occupato, in modo da aumentare ulteriormente il gap tra reddito netto in assenza di lavoro e reddito netto in caso di occupazione.

Esistono ovviamente altre possibili opzioni di riforma del reddito di cittadinanza, complementari a quelle che abbiamo evidenziato. Ad esempio, il nuovo programma di reddito minimo spagnolo varato nel 2020 (Ingreso Mínimo Vital) definisce una soglia minima nazionale per un single (come in Italia) e poi consente alle 17 comunità autonome di aumentare liberamente tale valore mediante dei programmi di reddito minimo locali.

Un’altra strategia, seguita ad esempio da paesi come Svezia e Finlandia, è quella di garantire oltre a un certo reddito minimo di base anche la copertura di una serie di spese ritenute essenziali (come ad esempio l’affitto e le medicine) entro dei massimali differenziati a livello locale.

Migliorare i programmi di attivazione e inclusione sociale rivolti ai percettori di Rdc

Un ultimo punto su cui si è dibattuto in seguito alla pubblicazione del rapporto Ocse è che “il numero di beneficiari che di fatto hanno poi trovato impiego è scarso”.

È un punto ben noto per chi si occupa di politiche attive, ovvero che molti percettori di assistenza sociale hanno caratteristiche occupazionali e problematiche personali (e familiari) tali da rendere molto difficile la possibilità di trovare lavoro (Pacifico at al. (2018), Cnel (2020), Baldini e Gallo (2020), Boeri e Perotti (2021)).

La scarsa occupabilità dei percettori di prestazioni di assistenza sociale non è tra l’altro una particolarità italiana. La quota di occupati tra i percettori di prestazioni di assistenza sociale in Europa è appena del 23 per cento (Pacifico (2021)), una percentuale inferiore a quella dell’Italia (29 per cento) e superiore a quella di paesi come Germania (20 per cento), Svezia (11 per cento) e Finlandia (9 per cento).

Alla luce di ciò, è comprensibile che solamente una minima parte dei percettori di Rdc abbia finora trovato lavoro. Tuttavia, ciò non deve sminuire le inefficienze dei programmi di attivazione e inclusione sociale che hanno caratterizzato i primi due anni di avviamento Rdc (Giubileo e Pastore (2021) e Ciglieri (2021)).

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Il Punto

  1. Asterix

    Il problema del reddito di cittadinanza è il nome.. se si fosse chiamato Reddito minimo garantito applicato in tutti i Paesi OCSE (salvo Grecia e Italia) non ci sarebbero state troppe polemiche.
    Il tema è sostanzialmente politico: qualcuno l’ha utilizzato come arma elettorale ed ora altri lo vogliono eliminare per altre logiche elettorali.
    Se fosse questa la ragione delle critiche sarebbero sicuramente giustificate.
    Diverso, invece, sarebbe il discorso se si vuole colpire il RC perché l’Italia, essendo un Paese fortemente indebitato, non può permetterselo.. questo sarebbe un pessimo segnale sull’autonomia di bilancio del nostro Paese su cui molti economisti italiani dovrebbero interrogarsi..

  2. Matteo D'Emilione

    Ci sono due questioni rilevanti che credo sia utile porsi a seguito delle proposte OCSE.

    La prima è la seguente: la sacrosanta necessità di migliorare la capacità di intercettare i più bisognosi (poveri assoluti) cosi come le persone immigrate (le due categorie spesso si sovrappongono) si porta dietro un aumento considerevole della platea dei beneficiari che si rivolgerebbero al sistema dei servizi (sociali e per l’impiego) già in grandi difficoltà in molte aree del paese.

    La seconda è la seguente: come affrontare l’oggettiva ‘inoccupabilità’ di una platea di beneficiari con livelli di istruzione spesso bassissimi? Ha senso ‘inventarsi’ meccanismi all’inglese o alla francese di premi all’attività lavorativa di dubbia efficacia sui target più fragili? O ha più senso forse puntare a un programma complementare (serio) di recupero/miglioramento delle competenze (istruzione) delle persone?

    In entrambi i casi si tratterebbe di interventi costosi e onerosi in termini di tempo, capacità amministrative e..non ultimo volontà politica di aiutare davvero e in maniera organica le persone in difficoltà.

  3. Felice Di Maro

    Quello che non ha funzionato per il Reddito di Cittadinanza è che i percettori non hanno trovato un lavoro stabile. Appare chiaro che modificando i parametri se complessivamente non aumenta l’area degli occupati il livello di povertà non si abbassa. Sappiamo anche che in generale i nuovi processi di organizzazione del lavoro con l’uso dei sistemi di automazione si richiede sempre meno personale a basso profilo professionale. Alzare il livello professionale è quindi importante ma non basta se nell’insieme non aumenta la cultura professionale che viene acquisita, scusatemi, anche con investimenti personali ( in prevalenza come penso). Una nuova economia può alzare il livello degli occupati ma io vedo in Italia, tra le varie s’intende, un problema di formazione (mirata) che deve avere processi progressivi di soluzione con progetti in linea con gli investimenti pubblici e privati.

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