La scarsa partecipazione femminile al mercato del lavoro è uno degli elementi alla base della bassa crescita del Mezzogiorno. La Calabria rappresenta una delle regioni più problematiche. Mancanza di servizi alle famiglie e minore livello d’istruzione sono tra gli ostacoli a uno sviluppo duraturo e diffuso.

Tra le caratteristiche negative che contraddistinguono il panorama economico italiano, vi è la sovrapposizione di una sorta di “questione femminile” all’interno del mercato del lavoro con la più tradizionale “questione meridionale”.

Il tasso di disoccupazione femminile in Italia, per esempio, è stato pari al 10,2 per cento nel 2020, contro un tasso di disoccupazione degli uomini dell’8,2 per cento. I conteggi territoriali evidenziano l’incrocio pericoloso tra le due questioni: alla disoccupazione femminile nel Nord del 7 per cento fa da contraltare un tasso del 17,9 per cento nel Mezzogiorno.
Tuttavia, la disoccupazione è un concetto complicato anche dal punto di vista contabile. Se nessuno dichiara di cercare lavoro, la disoccupazione è zero. Meglio guardare al tasso di occupazione, cioè alle persone che lavorano rispetto a quelle che potenzialmente potrebbero farlo nella corrispondente fascia di età.

La figura presenta numeri inquietanti per l’occupazione femminile. Nel 2020, in Italia abbiamo un distacco di dieci punti percentuali rispetto alla media Ue, in crescita rispetto a dieci anni prima. Nel Mezzogiorno, la forbice con l’Europa supera i ventisei punti. In Calabria, supera i trentatré punti, e il tasso di occupazione femminile è addirittura più basso rispetto a quanto osservato nel 2011. C’è un Sud al Sud e il fatto che si abbia qualche contezza di queste evidenze nel dibattito pubblico non conforta. C’è qualcosa, anzi molto, che non funziona, e non si può seriamente immaginare una crescita del prodotto potenziale del sistema-Paese, come si vorrebbe fare con il Pnrr, senza passare per la soluzione o almeno la riduzione di questi problemi nel mercato del lavoro, in particolare per le donne nel nostro Mezzogiorno.
Se è abbastanza logico, in queste condizioni, registrare nel 2020 un Pil pro capite della Calabria di appena 15.289 euro a fronte dei 27.820 della media nazionale e dei 35.155 della Lombardia, non si capisce perché si debba continuare ad accettare la presenza di divari strutturali nella dotazione di alcuni servizi essenziali per le famiglie.

Leggi anche:  La Zes unica parte dal presupposto sbagliato

La carenza di servizi essenziali nel Mezzogiorno

Per gli asili nido che accolgono i bimbi fino a tre anni, i dati evidenziano, nel 2019, un valore medio nazionale di 26,9 posti per 100 bambini, ancora distante da quel 33 per cento indicato dall’Ue in sede di Conferenza di Barcellona per sostenere la conciliazione della vita familiare e lavorativa e promuovere la maggiore partecipazione delle donne al mercato del lavoro. Non sorprenderà, a questo punto, che, secondo Istat, mentre il Nord è prossimo a quel target del 33 per cento, il Mezzogiorno è al 14,5 per cento e in Calabria la quota è del 10,9. Ecco, non siamo sicurissimi della circostanza che le donne calabresi preferiscano tenere i bimbi a casa piuttosto che lavorare (mandandoli all’asilo). Certo, non è questa l’unica determinante dell’esiguo tasso di occupazione. Tuttavia, analisi più fini confermano che la presenza di figli (piccoli) disincentiva le donne meridionali a partecipare al mercato del lavoro più che in altre regioni: mentre nella fascia di età 25-49 lo scarto tra i tassi di occupazione delle donne con e senza figli è di 14 punti nel Centro Italia, nel Mezzogiorno è di 18 punti percentuali.

Ancora. Il gender pay gap esiste quasi ovunque. In Italia, secondo le elaborazioni del Bes che utilizzano i dati Inps, nel 2019 la media delle retribuzioni per gli uomini è pari a 16.297 euro, mentre per le donne il valore è pari a 11.260 euro, con un divario retributivo di quasi il 31% per l’Italia, che nel Mezzogiorno raggiunge il 33%. La differenza è significativa in quanto l’occupazione meridionale presenta, in generale, e in particolare per la componente femminile, un’accentuazione nel settore pubblico, ambito nel quale, ovviamente, gli scarti retributivi di genere sono nulli o quasi.
Sulle pagine di questo sito, Alessandra Casarico e Massimo Taddei hanno anche evidenziato il ruolo della fiscalità nel comprimere l’offerta di lavoro femminile.

I divari in termini di istruzione

Aggiungiamo la “questione istruzione”, nella convinzione, supportata da biblioteche di studi empirici, che maggiore sia la dotazione di competenze e abilità più ampie saranno le possibilità di un appagante inserimento nel mondo del lavoro. Non c’è bisogno di richiamare le solite statistiche sulle percentuali di laureati o diplomati, notoriamente sfavorevoli al Mezzogiorno e alla Calabria, in particolare. Ricordiamo soltanto che, nel 2020, su un totale nazionale di oltre 4,4 milioni di laureate nella popolazione italiana tra i 15 e i 64 anni, in Calabria in questa condizione se ne contano 115mila (il 2,6 per cento), a fronte di un’incidenza della popolazione femminile residente della stessa fascia d’età pari al 3,2 per cento. In Emilia Romagna, su una platea di eleggibili pari al 7,4 per cento, le donne laureate sono l’8,5 per cento del totale nazionale.

Leggi anche:  Parità retributiva donna-uomo: il diritto del lavoro non basta

In modo ancora più pregnante l’Istat suggerisce nel 2020, e nel 2021, nel Report sui livelli d’istruzione e sui ritorni occupazionali che “Nel Mezzogiorno, i vantaggi occupazionali dell’istruzione sono maggiori rispetto al Centro-nord; in particolare le donne residenti nel Mezzogiorno che raggiungono un titolo terziario aumentano considerevolmente la loro partecipazione al mercato del lavoro e riducono il divario con gli uomini e con le donne del Centro-nord. Ciononostante, i tassi di occupazione nel Mezzogiorno restano molto più bassi che nel resto del Paese e quelli di disoccupazione molto più alti, anche tra chi ha un titolo di studio elevato”.
Mettendo a sistema queste considerazioni, la conclusione è una: alle donne del Mezzogiorno, specialmente in alcune regioni, lavorare non conviene. Ora, poiché la demografia gioca contro – sia come saldo naturale sia come saldo migratorio – o rendiamo più semplice, dignitoso e profittevole alle donne meridionali lavorare, oppure i divari col resto dell’Italia sono destinati a crescere. E senza Sud la stessa Italia resterà indietro nei confronti dell’Europa.

Lavoce è di tutti: sostienila!

Lavoce.info non ospita pubblicità e, a differenza di molti altri siti di informazione, l’accesso ai nostri articoli è completamente gratuito. L’impegno dei redattori è volontario, ma le donazioni sono fondamentali per sostenere i costi del nostro sito. Il tuo contributo rafforzerebbe la nostra indipendenza e ci aiuterebbe a migliorare la nostra offerta di informazione libera, professionale e gratuita. Grazie del tuo aiuto!

Leggi anche:  Quanto incide il contratto di lavoro nelle scelte di fecondità