Cresce il numero degli studenti fuori-sede nelle università del Nord. L’insufficienza dei posti alloggio è forse il più importante discrimine nell’accesso all’istruzione terziaria. Il contributo affitto potrebbe essere una parziale soluzione.
Crescono i fuori sede nelle università del Nord
L’università italiana si prepara a fronteggiare un calo di 70 mila immatricolati entro il prossimo ventennio. Una misura che può contrastare, almeno in parte, il fenomeno è connessa alla residenzialità studentesca. Tra il 2015 e il 2019, c’è stata una crescita costante di studenti fuori sede (5,54 per cento), trainata in particolare da atenei del Nord quali Milano, Torino, Bologna, Modena, Ferrara. All’aumento degli studenti fuori sede fa da contraltare la carenza strutturale di posti letto: si riesce a coprire a malapena il 12 per cento del totale e il 29,8 per cento degli studenti aventi diritto a un alloggio (Tabella 1).
La disponibilità di posti-letto
La copertura varia all’interno delle aree geografiche; nel 2020/2021 solo cinque regioni sono riuscite a destinare posti-letto ad almeno metà degli aventi diritto. Molise e Valle d’Aosta non ne hanno alcuno a disposizione (sono perciò escluse dal calcolo della media per area geografica). Le situazioni più tragiche si registrano in Lazio (89,7 per cento di idonei non beneficiari) e in Abruzzo (92,7 per cento di idonei non beneficiari).
Gli studenti che non trovano alloggio nelle residenze pubbliche sono costretti a ricorrere al mercato privato, molto più oneroso soprattutto negli ultimi anni, con l’arrivo di piattaforme digitali per affitti brevi prevalentemente turistici. In sei anni, c’è stata una riduzione nella copertura (-8,8 per cento), connessa all’incremento degli idonei, fermi restando i posti letto disponibili.
Se si sposta il focus sulla disponibilità di posti letto nel paese (Tabella 2), si può vedere come sia destinata solamente in parte agli studenti borsisti (67,7 per cento nel 2020/21) o più in generale agli iscritti alle università (86,4 per cento). La percentuale residuale (13,6 per cento) è assegnata a studenti provenienti da atenei esteri, a dottorandi o a ricercatori e docenti. Dal 2012/2013 c’è stato un incremento dei posti letto totali (10,2 per cento), mentre si è ridotta la capacità di copertura di posti assegnati a studenti (3,3 per cento) e a studenti borsisti (2,8 per cento). Il forte calo di posti letto disponibili nel 2020/2021 rispetto all’anno precedente è dovuto alla necessità di garantire il distanziamento sociale per il contingentamento dei contagi di Covid-19. Per fronteggiare la situazione, al contempo, sono stati incrementati del 28,8 per cento i contributi per gli alloggi.
L’incremento dei posti disponibili è in larga parte connesso al cofinanziamento statale per la realizzazione o adibizione di edifici a residenze universitarie secondo i bandi previsti dalla legge n. 338/2000. Durante il periodo 2005-2019, hanno consentito di incrementare di 13.700 i posti letto in Italia.
Ai finanziamenti della legge 338 le regioni hanno partecipato in misura non equilibrata (Figura 1): ne hanno tratto maggiore beneficio Emilia-Romagna, Lombardia, Lazio e Toscana, cui è destinato il 70 per cento dei fondi.
Come interviene il Pnrr
L’ultimo bando (il quinto) è stato pubblicato nel 2022 e prevede lo stanziamento di 467 milioni di euro per il cofinanziamento statale, dei quali 300 milioni sono connessi al Piano nazionale di ripresa e resilienza. Il Pnrr prevede altri 660 milioni di euro, destinati a privati, con l’obiettivo di garantire la disponibilità di 100 mila posti letto entro il 2026, da assegnare in via prioritaria ai “capaci e meritevoli anche se privi di mezzi idonei al conseguimento della borsa di studio e dei prestiti d’onore”.
L’incremento predisposto dal Pnrr punta a coprire la domanda di almeno il 20 per cento dei fuori sede, in modo da allineare l’Italia alla media degli altri paesi europei.
Garantire il posto letto agli studenti idonei è un meccanismo necessario per favorire l’inclusione nel sistema universitario di coloro che provengono dai contesti socioeconomici e culturali più svantaggiati, i quali più difficilmente, senza le misure pubbliche, possono permettersi di intraprendere gli studi universitari o di farli lontano dalla propria provincia di provenienza.
Vivere presso la famiglia di appartenenza è una scelta che gli studenti tendono a fare in maggiore misura se sono figli di genitori con un livello di istruzione fino alla terza media (74,4 per cento), rispetto a figli di genitori con licenza media superiore (69,9 per cento) e a figli di genitori laureati (65,5 per cento).
I costi della vita fuori sede ammontano in media a 9 mila euro annui e la possibilità di accedere a una residenza universitaria – accompagnata dall’erogazione della borsa di studio – consente agli studenti meno abbienti di affrontarli.
L’investimento nella residenzialità studentesca dovrebbe diventare strutturale per riuscire nell’obiettivo di coprire la domanda e di invertire la decrescita delle immatricolazioni. La prospettiva di un aumento di circa 60 mila posti alloggio non deve distogliere l’attenzione dalla problematica della carenza di posti alloggio, che caratterizza il paese in ogni sua area. Sono quindi necessarie altre misure continuative e non contingenziali (come il contributo-affitto) per permettere agli studenti più svantaggiati, in particolare gli idonei non assegnatari di posti alloggio di continuare a studiare in questa lunga fase di transizione.
Prima o poi si dovrà affrontare la questione della regolamentazione del mercato immobiliare nell’ottica di un accesso maggiormente perequativo all’utilizzo delle risorse.
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Jeriko
Sarebbe interessante sapere se tra i criteri di assegnazione ci sono parametri che misurino la “necessita” di essere fuori sede (studenti che arrivano da province sprovviste di universita) e la “scelta” di studiare fuori sede (studenti che invece di frequentare lúniversita nella propria citta decidono di spostarsi in altre citta, ad esempio perche le universita sono piu prestigiose).
In quest´ultimo caso riterrei inopportuno un´invetsimento pubblico in quanto si tratta di scelte personali.
Cristina Specchi
Caro Jeriko, i criteri di assegnazione del posto alloggio sono subordinati a quanto disposto dal D.P.C.M. del 9 aprile 2001, in attuazione dell’Art. 34 della Costituzione, secondo cui i capaci e meritevoli, anche se privi di mezzi, hanno il diritto di accedere ai più alti gradi di istruzione. L’Art. 8, co. 3, del D.P.C.M. definisce fuori sede gli studenti che risiedono in un luogo distante dalla sede del corso frequentato e che prende alloggio a titolo oneroso per almeno 10 mesi in tale sede. E’ demandata alle regioni (o agli enti per il diritto allo studio) e alle provincie autonome la definizione della distanza. In generale il criterio utilizzato è avere residenza in un comune distante oltre 90 minuti di trasporto pubblico dalla sede universitaria. Lo scorso anno, alla luce di disagi infrastrutturali in Puglia, l’ente regionale per il diritto allo studio, ha ridotto tale minutaggio a 60 minuti (cfr. https://w3.adisupuglia.it/wp-content/uploads/2014/10/Bando-Benefici-e-Servizi-2021_2022.pdf). L’accessibilità al posto alloggio, come stabilito dal D.P.C.M. e dal d.lgs 68/2012, è sottoposta a requisiti di reddito (indicatore della situazione economica equivalente ed indicatore della situazione patrimoniale equivalente) e di merito (raggiungimento di un numero minimo di crediti formativi universitari – cfr. Art.6 co. 4 e ss., entro il 10 agosto di ciascun anno accademico). La normativa italiana non presenta alcun altro tipo di discrimine e non necessita di motivazioni da parte degli studenti, per garantire il pieno accesso all’istruzione universitaria. L’investimento pubblico nel diritto allo studio universitario in Italia è altresì fortemente subordinato al principio fondamentale della pari dignità sociale di tutti i cittadini, secondo l’Art. 3 Cost.
Gemma Gomeziani
Ci mancherebbe altro! Si immagini un bravo studente pugliese che voglia studiare, chesso’, al Politecnico di Milano. Non dovrebbe accedere agli aiuti sull’alloggio (che a Milano sono assolutamente improponibili) e studiare, chesso’ a Bari? tra le due, legherei gli aiuti al merito universitario, garantendoli a tutti gli studenti il primo anno, e poi via via gli anni successivi soltanto agli studenti che abbiano dato un congruo numero di esami con una buona valutazione media.
Cristina Specchi
Cara Gemma, condividiamo appieno le tue osservazioni. Per la legge nazionale vigente, applicata su tutto il territorio nazionale, la concessione di posti letto nonché delle borse di studio è subordinata al conseguimento di determinati crediti formativi universitari a determinazione del merito. Il merito non è calcolato in relazione agli esami dati, in quanto in ogni corso di studi ciascun esame può avere un peso diverso. Può consultare i requisiti di merito adottati all’Art. 6 del D.P.C.M. del 9 aprile 2001:
http://attiministeriali.miur.it/anno-2001/aprile/dpcm-09042001.aspx
Il merito è considerato dalla normativa statale in base al superamento stesso degli esami. Tuttavia gli enti per il diritto allo studio nella formulazione delle graduatorie sono liberi di considerare anche le valutazioni agli esami.
silvia
Voi sapete se ad un post doc reserch fellow si può fare un contratto di locazione annuale per studente fuori sede? I ricercatori borsisti sono equiparati agli studenti? Grazie