L’Italia è tra i paesi che hanno rilasciato meno permessi di lavoro per immigrati qualificati. Incentivare l’arrivo di competenze dall’estero aiuterebbe le imprese e migliorerebbe la percezione verso l’immigrazione.
Nonostante gli slogan anti-immigrazione, uno dei provvedimenti che il nuovo Parlamento dovrà approvare riguarderà la semplificazione delle procedure di ingresso di alcune categorie di immigrati.
Lo scorso 2 agosto, infatti, la Camera ha approvato in via definitiva la legge di delegazione europea 2021, riguardante il recepimento di alcune direttive europee, tra cui la nuova Direttiva 2021/1883 che modica le regole sulla Eu Blue card (direttiva 2009/50/EC).
La nuova direttiva, che dovrà essere recepita entro novembre 2023, semplifica le procedure di ingresso e offre condizioni più favorevoli per il soggiorno dei titolari di blue card. Tra le novità, ci sono una riduzione della durata minima del contratto di lavoro (6 mesi) e della retribuzione minima da offrire (tra 1 e 1,6 volte la retribuzione media), meno vincoli e burocrazia per cambiare posto di lavoro una volta in Italia e procedure più favorevoli per i ricongiungimenti familiari.
La Blue Card oggi
La Blue Card, in vigore dal 2012, è un canale di ingresso che consente l’assunzione dall’estero e al di fuori delle quote fissate con il decreto flussi, di lavoratori in possesso di un titolo di istruzione superiore post secondaria (di durata almeno triennale) e di una qualifica professionale riconosciuta in Italia.
La procedura prevede una domanda effettuata direttamente dal datore di lavoro al Ministero dell’Interno. Al lavoratore viene rilasciato un permesso di soggiorno di durata biennale, nel caso di contratto di lavoro a tempo indeterminato, oppure della durata del rapporto di lavoro.
A oggi, ed è il motivo della revisione avvenuta a livello europeo, la Blue Card è stata utilizzata molto poco: nel periodo 2013-2020, sono stati rilasciati circa 80 mila permessi Blue Card nell’Unione, pari ad appena l’1,3 per cento dei 6,2 milioni di permessi per lavoro (Tabella 1).
Suddiviso per gli otto anni considerati, equivale ad una media di 10 mila Blue Card all’anno a livello europeo.
Gli unici Paesi che sembrano aver utilizzato in maniera significativa questo strumento sono Lussemburgo (24,8 per cento dei permessi per lavoro) e Germania (16,6 per cento). Naturalmente, in termini assoluti i numeri del Lussemburgo sono molto contenuti, per cui le oltre 50 mila Blue Card “tedesche” rappresentano quasi due terzi del totale europeo.
Oltre a Germania e Francia, sono invece i Paesi dell’Est ad averne beneficiato di più: Polonia, Repubblica Ceca, Lituania, Romania e Bulgaria.
L’Italia ha rilasciato nel periodo 2013-2020 appena 2.131 Blue Card (266 all’anno), pari all’1 per cento del totale dei permessi per lavoro. Non è un caso quindi se la presenza straniera nel mercato del lavoro italiano si concentra nelle posizioni di bassa qualifica (Figura 1).
Infatti, se l’incidenza dei lavoratori immigrati è mediamente del 10 per cento rispetto al totale (2,26 milioni su 22,5 milioni di occupati totali), il valore varia da 2,2 per cento nelle professioni qualificate e tecniche a 29,2 per cento in quelle non qualificate.
I vantaggi della migrazione qualificata
Questa analisi consente una riflessione sulla presenza immigrata nel mercato del lavoro italiano.
Da un lato, la scarsa presenza di personale qualificato è funzionale al sistema produttivo italiano, che necessita di manodopera non qualificata in molti settori, specie quelli legati alla stagionalità (turismo, agricoltura) o al lavoro di cura.
Dall’altro lato, però, vi sono due effetti negativi da sottolineare.
In primo luogo, questa segmentazione limita la crescita e le aspirazioni delle nostre aziende. Se prendiamo l’esempio di realtà tecnologiche come la Silicon Valley, è evidente come il contributo dei lavoratori immigrati non si limiti solo all’apporto di manodopera, ma anche di idee e ingegno (non è un caso se buona parte dei dirigenti delle grandi aziende tecnologiche americane ha origini immigrate).
In secondo luogo, questa segmentazione del mercato del lavoro alimenta nell’opinione pubblica l’immagine dell’immigrato povero e poco integrato, perpetrando una serie di stereotipi connessi: marginalità sociale, criminalità, peso sul welfare pubblico.
Al contrario, quindi, favorire un’immigrazione di “alto profilo” porterebbe maggiori competenze e talenti e consentirebbe di migliorare la percezione dell’immigrazione nell’opinione pubblica. Si tratta ovviamente di mettere da parte gli slogan “a favore” o “contro” l’immigrazione e cominciare davvero a pianificare ingressi funzionali alla nostra realtà.
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Savino
Nel buio demografico gli italiani pensano solo ad incrementare il grasso per i pensionati baby e ad aumentare gli stipendi ai generali dell’esercito che non fanno la guerra nemmeno in tempo di guerra.
Non aver pensato al futuro dei nostri giovani crea queste problematiche ed è inutile fare i meloniani e i salviniani dopo, a cose fatte, con il blocco impossibile delle migrazioni che sono un fenomeno a dir poco epocale.
Mahmoud
In Italia non ha senso cercare di ottenere un permesso per motivi di lavoro visto che l’attuale protezione speciale permette a chiunque di sanarsi non appena arriva sul territorio. Anche se la domanda è rigettata dalle Commissioni si rimane nel frattempo regolarmente in Italia sino a quando con gratuito patrocinio non si esprime il competente Tribunale e a Torino ad esempio per questi ricorsi fissano data prima udienza a cinque (5) anni dalla data di iscrizione del ricorso. Non è possibile comparare i numeri di un sistema tanto distorto quanto quello Italiano con gli altri Paesi europei.
Claudio Piccinini
Il tema riguarda soprattutto il riconoscimento dei titoli di studio. L’equivalenza dei titoli di studio conseguiti all’estero con quelli italiani, il riconoscimento del ciclo di studi, è una procedura di fatto bloccata, ad essere buoni, dall’avvento del COVID-19. Tema che si ripercuote su altri versanti come l’impossibilità, per chi, pur lavorando in Italia senza poter accedere a professioni qualificate, pur avendo lauree conseguite all’estero, non ha potuto richiedere il riscatto del periodo di studi ai fini previdenziali.
Enrico Motta
Nel vostro articolo non si considera un effetto assai negativo dell’incentivare la immigrazione di personale qualificato, cioè la perdita di capitale umano dai paesi di provenienza. Se questi paesi fossero tutti più ricchi di noi, ben vengano gli immigrati qualificati. Ma se come spesso accade vengono da paesi molto più poveri di noi, la loro venuta li impoverisce ulteriormente. Pensate ai lamenti per la fuga dei cervelli dall’Italia, e poi immaginate cosa significa per un paese povero, persino con tassi di analfabetismo elevati.