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Emissioni: non si risolve tutto con le auto elettriche nuove

A partire dal 2035, in Europa saranno vendute solo auto e veicoli commerciali con zero emissioni. Ma al di là delle polemiche suscitate dalla decisione, resta il problema del parco auto già circolante. E dunque della decarbonizzazione dei carburanti.

Dal 2035 solo veicoli elettrici

La proposta della Commissione europea, contenuta nell’ampissimo pacchetto di misure legislative denominato Fit for 55, di portare al 100 per cento la riduzione dell’anidride carbonica (CO2) emessa dalle automobili e dai veicoli commerciali leggeri che saranno venduti a partire dal 2035 ha ormai quasi terminato il suo iter. Dopo l’ultima votazione del Parlamento, resta l’ultimo passaggio in Consiglio europeo. La questione, almeno per la legislatura che terminerà a metà 2024, dovrebbe essere chiusa.

Tra meno di 13 anni, quindi, le uniche automobili che potranno essere vendute saranno quelle alimentate con energia elettrica o idrogeno, poiché convenzionalmente considerate a zero emissioni di CO2, prescindendo del tutto tanto dal mix di produzione dell’energia elettrica del paese europeo in cui saranno utilizzate, quanto dall’energia necessaria per realizzare le auto e le batterie.

La notizia è stata data come l’impossibilità di vendere auto e furgoni mossi da un motore a combustione interna: questo perché il calcolo attualmente previsto delle sole emissioni allo scarico taglia fuori tutti i carburanti climaticamente neutrali, dunque compatibili con l’Accordo di Parigi e con l’obiettivo di emissioni nette zero al 2050. Vi è tuttavia almeno un combustibile che anche utilizzato direttamente nel motore a scoppio non produce CO2 allo scarico: l’idrogeno.

Strada tracciata anche per i veicoli pesanti

Offuscata da automobili e veicoli commerciali leggeri è poi passata in secondo piano un’altra proposta della Commissione, che ha avviato così l’iter per un nuovo regolamento sulle emissioni del trasporto pesante: veicoli industriali (camion) e autobus.

Gli obiettivi di riduzione della CO2, rispetto ai livelli del 2019, saranno del 45 per cento dal 2030, del 65 percento dal 2035 e del 90% dal 2040. Per stimolare una diffusione più rapida degli autobus a emissioni zero (allo scarico) nelle città, la Commissione propone inoltre di rendere obbligatorio, a partire dal 2030, l’acquisto di tutti i nuovi autobus urbani a zero emissioni. 

Anche in questo caso si tratta di un intervento di notevole impatto sull’industria. Gli attuali obiettivi, stabiliti nel 2019, prevedono una diminuzione del 15 per cento a partire dal 2025 e del 30 per cento a partire dal 2030, sia per i veicoli industriali sia per gli autobus.

Per sostenere la proposta sarà necessario convogliare gli investimenti nei veicoli a zero emissioni e nelle infrastrutture di ricarica e rifornimento, che la Commissione vorrebbe fossero installati a intervalli regolari sulle principali autostrade: ogni 60 chilometri per la ricarica elettrica e ogni 150 chilometri per il rifornimento di idrogeno.

Oggi più del 99 per cento del trasporto pesante in circolazione è alimentato a gasolio e anche la stragrande maggioranza dei veicoli immatricolati ha un motore diesel. L’embrionale concorrenza dei mezzi alimentati a gas naturale liquefatto (Gnl), che per l’elevata densità energetica può competere con il gasolio sulle lunghe percorrenze, ha subito un duro colpo dagli altissimi prezzi del gas. Il Gnl può essere anche di origine non fossile e climaticamente neutrale ma, come per le auto, con il calcolo delle emissioni allo scarico – a regole attuali – non può concorrere al conseguimento degli obiettivi di riduzione delle emissioni di CO2.

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Fine di un’epoca

Siamo davvero di fronte a un cambiamento epocale. Un cambiamento che proprio a causa dell’imposizione per legge divide in favorevoli e contrari e complica la discussione. Qui proveremo ad analizzare, più che la bontà della misura, le possibilità che davvero permanga inalterata fino al 2035. Dunque, nessun commento sull’aver spalancato la porta del mercato europeo alla Cina, sulla maggior efficienza delle autovetture elettriche, sull’ineluttabile avvento di una mix generazione tutto rinnovabile, sulla infrastruttura di ricarica, sul peso risibile delle emissioni delle automobili circolanti nell’Ue sul totale planetario, sull’impatto occupazionale, sulla mancanza di un’analisi sul ciclo di vita e neanche su argomenti più originali come l’efficacia della reazione di stakeholder rilevanti, come tutto il motorsport (a cominciare dalla Formula 1). Tutti temi meritevoli – al pari di altri che neanche citiamo – ma che, appunto, non siamo in grado di affrontare sinteticamente. 

I cambiamenti possibili

Possiamo invece dire che trattandosi di una norma, come tutte le norme, può essere democraticamente cambiata. Se è vero, infatti, che la proposta della Commissione nel trilogo e nei vari passaggi non è stata scalfita nei fondamentali, salvo l’importante verifica nel 2026, è altrettanto vero che il Parlamento si è spaccato: se i rapporti di forza tra maggioranza e minoranza attuale dovessero invertirsi, sarebbe difficile che la questione non venisse riaperta. Una eventuale ripresa del dibattito, comunque, non potrà essere uno stravolgimento, perché oltre alla spaccatura politica ve ne è anche una tra paesi: la data del 2035 è comunque frutto di una mediazione e una delle motivazioni della scelta va ricondotta alla volontà di evitare di procedere in ordine sparso, compromettendo il mercato unico (tuttavia, anche la scelta di una data unica per tutti potrà essere frutto di negoziazione futura).

La questione delle vendite

Vi è anche un’altra fondamentale possibile causa di rallentamento e correzione in corsa: le vendite. Come converrà qualsivoglia commerciante, l’auto migliore – al pari di qualsiasi altro prodotto e in più l’auto è un bene costoso per la maggior parte dei consumatori – è quella che si vende bene.

Dunque, se le immatricolazioni di autovetture elettriche procederanno a ritmo sostenuto non ci saranno particolari problemi. Se invece il ritmo dovesse essere blando, le cose si complicheranno parecchio. 

L’andamento attuale delle vendite non è propriamente entusiasmante, specie in relazione alla decarbonizzazione. Secondo la vulgata, infatti, le vendite di auto elettriche sono in continua crescita, ed è cosa vera. Il problema è che l’aumento delle vetture con la spina non compensa la flessione delle altre alimentazioni. Questo, in verità, può essere anche un obiettivo di policy: meno auto si acquistano, meno ce ne sono per le strade, ma ciò è vero solo se si riduce il totale delle auto in circolazione, cosa che almeno per ora non avviene.

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Nel 2022 le vendite di automobili nuove nell’Unione sono diminuite del 4,6 per cento. Il grosso delle immatricolazioni però le fanno i primi cinque mercati nazionali, che da soli rappresentano il 57 per cento del totale dell’Europa a 27 (figura 1).

Se in Germania con il super recupero di dicembre (38 per cento) dopo due anni di crolli si è arrivati all’1,1 per cento in più rispetto al 2021, ma a quasi un milione di unità in meno rispetto al 2019, in Francia, con 1,5 milioni di auto nuove acquistate, il 2022 è stato il peggior anno dal 1974.

In Italia, che da sola conta molto di più di Belgio, Danimarca, Olanda e Svezia messe insieme, nonostante gli incentivi, le vendite di auto elettriche non solo non aumentano, ma diminuiscono: meno 26,6 per cento nel 2022, meno 8,6 per cento a gennaio. In Spagna le cose vanno un po’ meglio per le elettriche, ma non in generale. In Polonia le vendite di auto elettriche sono tutt’altro che decollate.

Certamente, tra i fattori determinanti per l’acquisto di una vettura elettrica, almeno per ora, il reddito parrebbe contare abbastanza. Ma qui abbiamo solo spazio per dire che nessun buon venditore, se non vende, dà la colpa all’acquirente. Come possiamo ricordare che nel 2022 i risultati non brillanti sono da ricondursi ai problemi sul lato dell’offerta, con la crisi microchips, il caro energia e così via. Ma, di nuovo, se non si riesce a offrire un prodotto, è difficile pensare che si possa vendere.

Resta il fatto, che le automobili già in circolazione sono molte, molte di più di quelle che si acquistano, e non spingere al massimo anche sulla decarbonizzazione dei carburanti resta davvero poco comprensibile e anche piuttosto rischioso.

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Il Punto

  1. Marcello Romagnoli

    Purtroppo questa decisione non considera importanti colli di bottiglia per l’elettrico a batteria.
    1) Non abbiamo la infrastruttura capace di rispondere alle nuove curve di richiesta energetica definita da milioni di auto che si caricano nello stesso momento. Già in California, GB e Cina stanno sperimentando questo problema.
    2) Occorreranno spazi molto più grandi per le stazioni di riferimento.
    3) La nostra industria non è pronta e si troverà schiacciata da produttori di auto e batterie come la Cina.

    Le auto elettriche a idrogeno costano molto e non c’è ancora una infrastruttura adeguata.

  2. Sbagliato pensare che lelettrico risolverà i problemi di inquinamento…. creerà disoccupazione e penso che produrrà un disastro ambientale mai visto prima…. oggi mon siamo pronti per un cambiamento così drastico . Un passaggio così grande deve essere fatto più gradatamente… bisogna prima pensare a preparare tutto linee elettriche e produzione di energia…. ne servirà tanta soprattutto nelle grandi città… poi ci sono molti biocombustibili che andrebbero bene senza sconvolgere il mondo

  3. Ha scritto il prof. Pedrocchi del Polimi ( Dialoghi sul clima, Ed. Rubbettino 2022, pag. 194 e seg. ): Le strade proposte per difendersi dal cambiamento climatico sono essenzialmente due: la strategia della mitigazione, che consiste nel contenimento delle missioni antropiche di gas serra, in particolare la CO2 e la strategia dell’adattamento, che consiste nell’adattarsi ai cambiamenti geofisici conseguenti al cambiamento climatico.
    Pedrocchi fa presente che non esiste certezza che le emissioni antropiche siano la causa principale dell’aumento della Temperatura Globale Media del Pianeta ( Tgm ) e, a quanto pare, egli è fra coloro che sostengono che l’aumento della Tgm sia la causa, e non la conseguenza, dell’aumento della CO2 nell’atmosfera, nonostante il seguente grafico della World Meteological Organisation ( WMO ) induca a respingere tale ipotesi.
    E’ invece convincente l’argomentazione delle pagine successive del testo citato che portano Pedrocchi a concludere che la strategia della mitigazione non è una soluzione realizzabile. Infatti l’assunto su cui si fonda l’obiettivo stabilito dal Cop del 2015 di Parigi, del contenimento dell’aumento della Tgm entro 1,5 °C, è smentito anche dagli stessi dati del WMO. Da essi risulta infatti che, anche dopo che sarà stata realizzata la neutralità carbonica, il livello della concentrazione di CO2 raggiunto in quel momento sarà tale da far continuare l’aumento della temperatura e le altre sue (oggi quasi universalmente ritenute) nefaste conseguenze.
    La proposta dalla commissione UE del blocco delle vendite dei veicoli a trazione termica a partire dal 2035 causerebbe un cambiamento “disruptive”. Come illustrato da Schumpeter, le “disruption” causate dal progresso tecnologico portano, a lungo temine, esiti positivi per la reazione dei consumatori all’opportunità offerta al mercato dagli innovatori della tecnologia. Non sarebbe questo il caso del cambiamento “disruptive“ che è imposto artificialmente ”top down” dall’autorità comunitaria. Più convincenti appaiono invece le iniziative delle società petrolifere di Cattura delle CO2 per il suo utilizzo nella produzione mediante energia elettrica rinnovabile di combustibili, da sostituire a quelli fossili: un processo di tipo indubbiamente circolare.

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