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Per il diritto internazionale non tutto è “sanzione”

Nell’ultimo anno si è parlato molto di sanzioni, indicando come tali tutte le misure imposte alla Russia dopo l’invasione dell’Ucraina. Ma qual è la definizione nel diritto internazionale? Alcuni chiarimenti sul significato giuridico dei termini.

Una distinzione preliminare

A un anno dall’inizio dell’invasione su larga scala dell’Ucraina, è utile soffermarsi sul concetto di sanzione nel diritto internazionale, tentando di chiarire i termini utilizzati e il loro significato giuridico. Ci concentriamo sulle questioni giuridiche essenziali per un dibattito informato, senza entrare nel dibattito sull’efficacia delle sanzioni o sulla loro opportunità politica.

Nella discussione politica, il termine “sanzione” è spesso utilizzato in modo ambiguo per indicare qualunque misura che non riguardi l’uso della forza adottata con intento sanzionatorio da uno o più stati, o organizzazione internazionale, in risposta a un fatto illecito commesso da un altro soggetto.

Ad esempio, si utilizza il termine sanzione per indicare le misure unilaterali adottate dall’Unione europea contro Mosca, come, da ultimo, l’imposizione di un tetto al prezzo dei prodotti petroliferi che hanno origine o sono esportati dalla Russia. Allo stesso modo, si utilizza il termine sanzione anche per indicare le misure adottate da organizzazioni internazionali di cui la Russia è parte, come l’espulsione dal Consiglio d’Europa.

Per il diritto internazionale, si può parlare propriamente di sanzioni solo nel secondo caso. La caratteristica essenziale che definisce le sanzioni è l’esistenza di un rapporto verticale tra lo stato e l’organo che le emana, assente nel caso in cui la misura unilaterale sia adottata da un’organizzazione di cui lo stato non è parte, o da un altro stato. Infatti, il concetto di sanzione presuppone l’esistenza di un sistema istituzionale e di un organo con competenze sanzionatorie. Ad esempio, il Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite è competente a emanare sanzioni contro gli stati membri secondo l’articolo 41 della Carta Onu. In assenza di un meccanismo istituzionale, il rapporto orizzontale tra i due soggetti non permette di parlare propriamente di sanzioni e sarebbe più corretto chiamarle misure unilaterali.

È utile distinguere tra misure unilaterali e sanzioni per identificare il diverso regime giuridico.

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Le misure unilaterali contro la Russia

Nel rispetto del principio dell’uguaglianza sovrana, nessuno stato ha poteri sanzionatori nei confronti di un altro stato. Ne deriva il carattere decentrato dell’imposizione delle norme tramite forme di autotutela regolate dal diritto consuetudinario. Per descrivere il quadro giuridico applicabile a questo tipo di misure, è necessario riferisti ai lavori della Commissione del diritto internazionale, l’organo delle Nazioni Unite dedicato alla codificazione e allo sviluppo progressivo del diritto internazionale. Secondo l’articolo 22 del suo Progetto sulla responsabilità degli stati, uno stato non incorre nella responsabilità internazionale se viola una norma come forma di contromisura rispetto a una violazione che ha subito. Gli articoli 49-54 determinano le condizioni in cui si può ricorrere a contromisure. In generale, uno stato le può adottare solo per imporre il rispetto di una norma di diritto internazionale, e devono consistere nella violazione temporanea di un obbligo che lo stato che impone la misura ha verso lo stato responsabile. Le contromisure devono essere proporzionali alla violazione sofferta, considerando la gravità e gli obblighi violati.

Nel caso particolare delle misure unilaterali contro la Russia, non è solo l’Ucraina a poter agire in autotutela. Di fronte alla violazione della proibizione dell’uso della forza, altri stati o organizzazioni internazionali possono intervenire nel rispetto dell’articolo 51 della Carta Onu e della legittima difesa collettiva. Inoltre, siccome la proibizione dell’uso della forza è uno di quegli obblighi cosiddetti erga omnes che uno stato ha verso l’intera comunità internazionale, la possibilità di adottare contromisure nell’interesse collettivo è menzionata (p. 137), ma non pienamente supportata, dalla Commissione del diritto internazionale.

Per determinare la legalità di ciascuna misura si deve procedere caso per caso, valutando se viola un obbligo internazionale del soggetto che la impone, e, in caso positivo, se può essere giustificata come misure di legittima difesa collettiva o come contromisura. Al di fuori di questo schema, uno stato o un’organizzazione internazionale non è libera di violare obblighi a scopo sanzionatorio. In questo senso, non è possibile valutare in generale la legalità di tutte le misure imposte contro la Russia, ma è necessario avanzare argomentazioni per ciascuna.

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Le sanzioni adottate dalle organizzazioni di cui la Russia è (o era) membro

Le organizzazioni internazionali spesso prevedono la possibilità di sanzionare uno stato membro per la violazione degli obblighi che derivano dall’appartenenza all’organizzazione. Ad esempio, se uno stato è indietro con i propri obblighi finanziari, alcune organizzazioni possono decidere di sospendere il godimento di alcuni diritti, come quello di voto. Il rapporto verticale tra organo sociale e stato membro permette di parlare di poteri sanzionatori. In questo caso, le norme interne di ciascuna organizzazione regolano la legalità delle decisioni prese.

Nel caso della Russia, il fatto che l’imposizione di sanzioni da parte delle Nazioni Unite sia bloccata dal potere di veto nel Consiglio di sicurezza, non ha impedito ad altre organizzazioni internazionali di adottare sanzioni nell’ambito delle proprie competenze. Così, la Russia è stata espulsa dal Consiglio d’Europa, sospesa dal Consiglio dei diritti umani, sospesa dall’Organizzazione mondiale del turismo, e ha subito altre sanzioni in altrettante organizzazioni.

Alcune organizzazioni internazionali hanno adottato sanzioni anche in assenza di specifiche norme nei propri strumenti costitutivi. Ad esempio, l’Organizzazione internazionale del lavoro ha sospeso alcuni diritti di partecipazione pur non avendo una specifica competenza e base giuridica. La validità di questi atti è discutibile, tuttavia, si tratta di misure adottate a maggioranza degli stati membri e spesso senza un meccanismo istituzionale per valutarne la legalità.

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  1. paola

    Grazie dell’articolo, che ho trovato molto interessante. Vorrei chiederle: a suo avviso, quali caratteristiche deve avere un paese per riuscire a istituire misure del tipo che lei definisce unilaterale? In particolare, cosa consente secondo lei a un simile paese di risolvere per suo conto (diciamo tirandosi su per i lacci delle scarpe) il problema di autolegittimazione della propria iniziativa, di porsi come solutore dei problemi del mondo? (La colpevolezza in base allo stesso diritto internazionale del paese punito non basta evidentmente, dovendosi giustificare una cosa diversa.) Suppongo conti tra le altre cose il suo potere politico e militare. Di certo anche la convenienza, dati i suoi interessi a lungo termine (ossia trascurati quelli a breve sacrificati istituendo la misura), dei danni inflitti al paese colpevole. Ma poi? Io non appartengo alla classe dirigente e non ne conosco la psicologia, sempre che esista, quella cosa che consentiva ai re di sentirsi re, ma dobbiamo immaginare qualcosa del genere?

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