Negli ultimi anni l’economia israeliana ha avuto una straordinaria crescita, con bassa inflazione. Ora però le riforme istituzionali proposte dal governo rischiano di far precipitare in una seria crisi un paese polarizzato e dalle forti disuguaglianze.

I segnali di crisi economica

La situazione economico-finanziaria israeliana ha cominciato a risentire delle crescenti tensioni insorte tra palestinesi e israeliani ma, soprattutto, fra israeliani, dopo le elezioni politiche dello scorso novembre e la successiva nomina di Benjamin Netanyahu alla guida di un governo ultraconservatore.  

I mercati finanziari, come al solito, sono stati i primi a reagire. La borsa israeliana ha cominciato la sua caduta a metà di agosto e da allora, a differenza degli altri mercati azionari, non si è più ripresa. Così negli ultimi sei mesi i principali indici del Tel Aviv Stock Exchange (Tesa) hanno perso oltre il 15 per cento del loro valore. Poi è toccato ai tassi d’interesse sui titoli di stato israeliani che nelle ultime settimane hanno registrato rialzi ben superiori alle aspettative inflazionistiche e alla volontà della banca centrale. Infine, negli ultimi giorni la tempesta ha toccato il mercato dei cambi. Qui lo Shekel israeliano è passato da 0,30 sul dollaro a 0,27, ma soprattutto la sua volatilità è tornata a livelli che non si osservavano dalla crisi pandemica. È probabile che nelle prossime settimane la Bank of Israel debba intervenire se proseguirà la fuga all’estero dei capitali.

Eppure, l’economia israeliana negli scorsi anni aveva stupito tutti gli osservatori per la sua straordinaria crescita, accompagnata da un livello d’inflazione molto più basso di quello osservato nei principali paesi avanzati. Nel 2022 il Pil israeliano è cresciuto del 6,5 per cento, dopo essere salito dell’8,6 per cento l’anno precedente. Così in pochi anni il Pil pro-capite israeliano ha superato quello italiano, nonostante una crescita della popolazione superiore al 2,2 per cento annuo. I prezzi al consumo hanno poi mostrato lo scorso anno un tasso di crescita del 5,3 per cento, poco meno della metà di quello europeo. 

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Qualità delle istituzioni e polarizzazione della società

Date queste premesse, perché tante preoccupazioni per l’economia israeliana? I motivi sono sostanzialmente due: il primo ha a che fare con la qualità delle sue istituzioni; il secondo con la crescente polarizzazione della sua società. 

La scienza economica ha ampiamente dimostrato che la qualità delle istituzioni gioca un ruolo sostanziale nel determinare le prospettive di sviluppo di una nazione. Avere efficaci sistemi di check and balance, che tutelano la società dagli abusi del potere politico, che proteggono la proprietà privata e i diritti delle minoranze, è un elemento molto importante nel favorire la crescita economica. Ora le riforme proposte dal governo Netanyahu in termini di riduzione di autonomia e poteri dell’Alta Corte israeliana sembrano andare esattamente nella direzione opposta. Ed è particolarmente grave per una giovane democrazia come quella israeliana, priva di una Costituzione e dove già oggi molti diritti sono affidati ai tribunali rabbinici.

Altrettanto importante è il grado di polarizzazione di una nazione. Nei paesi poco omogenei il grado di fiducia reciproca diminuisce e così gli investimenti sia privati che soprattutto pubblici. Il bene comune non è più visto come una priorità e le persone si comportano in maniera più egoistica. Ora Israele non è mai stato un paese particolarmente omogeneo, diviso come è tra sefarditi e ashkenaziti, laici e religiosi, oltre che tra palestinesi ed ebrei. Tuttavia, un passato drammatico di molti suoi abitanti e un presente circondato da continue minacce esterne è servito da collante per costruire una nazione forte e indipendente. Oggi, tuttavia, lo scontro tra una sinistra più ricca, istruita, laica e progressista, che tiene le redini dell’economia e della difesa, divenuta sempre più tecnologica, e una destra religiosa più povera e rissosa, rischia di distruggere il miracolo di uno stato che in pochi decenni ha saputo crescere, farsi rispettare e apprezzare. 

Alla base della polarizzazione vi è anche una distribuzione del reddito particolarmente iniqua. Israele, nato da una spinta socialista ed egualitaria, si è trasformato nel tempo in uno dei paesi dove le disuguaglianze sono tra le più alte al mondo, molto vicine ai livelli raggiunti dagli Stati Uniti, dal Cile e dalla Turchia. Molte sono le cause di questa situazione, fra cui la forte globalizzazione, l’innovazione tecnologica, ma la principale va ricercata in anni di governi di destra, che hanno ridotto il ruolo dello stato nella ridistribuzione del reddito. 

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Ora, tuttavia, la situazione appare davvero complessa e sarebbe un peccato se, per motivi biecamente personali, un leader come Netanyahu non ascoltasse le parole di mediazione del presidente Isaac Herzog, e distruggesse il sogno di un popolo millenario.

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