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A scuola il merito parte dai concorsi

Negli ultimi concorsi a cattedra alcune novità hanno permesso di rendere la prova più funzionale. Ma molto resta da fare per riuscire a reclutare docenti preparati, competenti e il più possibile in sintonia con gli obiettivi prefissati. E ridare così credibilità all’intero sistema scolastico.
CONCORSI E RICORSI
Quello dei concorsi per insegnanti è un evergreen con cui si deve confrontare ogni ministro dell’Istruzione italiano. E infatti anche il ministro Maria Chiara Carrozza ha espresso in una recente intervista la sua intenzione di affrontare il problema del reclutamento degli insegnanti per far fronte alle esigenze dei prossimi anni e per permettere alla scuola di “liberare le energie che sono ingabbiate”.
I concorsi e le procedure collegate hanno però più di un problema. Al termine “concorso” viene spesso associato quello di ricorso, di procedure non regolari, di comportamenti non eticamente corretti, con la conseguenza di delegittimare ogni procedura e di inficiarne alla base il valore. E se si ritiene che ogni concorso, indipendentemente dalle prove proposte, non abbia valore o sia inficiato da irregolarità si può dire addio a qualsiasi percorso meritocratico di accesso alla scuola e forse anche all’autorevolezza dell’intero sistema scolastico.
Quello dei concorsi diventa dunque un punto essenziale se si vuole che il sistema scolastico riesca a reclutare docenti preparati, competenti e il più possibile in sintonia con gli obiettivi prefissati.
Una maggiore credibilità delle procedure concorsuali permetterebbe di attrarre i laureati migliori, fiduciosi di essere selezionati per il loro merito, e potrebbe contribuire a riequilibrare la perdita di autorevolezza dei docenti nella relazione con gli studenti e le loro famiglie.
SELEZIONARE: PER QUALE OBIETTIVO E COME
La prima cosa da definire di fronte all’apertura di una procedura concorsuale è chiarire il suo obiettivo finale e rispondere alla domanda: quali conoscenze e quali competenze (per ogni ordine e grado) deve possedere un laureato per diventare un docente?
Cominciamo con le conoscenze. I candidati che accedono alle procedure concorsuali sono laureati che hanno dovuto sostenere prove ed esami tesi a verificare la loro preparazione al fine dell’acquisizione del titolo accademico. Ma ancora oggi un laureato in lettere può conoscere la storia della letteratura italiana, può essere un esperto in storia del teatro o un cultore di filologia romanza. Quali di queste conoscenze fanno parte del kit indispensabile di un docente? La riflessione relativa alle conoscenze di cui deve disporre un futuro insegnante è di pertinenza non solo del ministero, cui spetta il compito di bandire i concorsi, ma anche delle università, che devono porsi con chiarezza il quesito e operare al fine di fornire e certificare le conoscenze richieste.
Definito il kit di conoscenze del candidato con maggiore chiarezza, sarebbe opportuno condividere i principi generali cui ci si è ispirati con chi opera all’interno della scuola per costruire programmi più chiari per le prove concorsuali. Formule generali come Filosofia antica: conoscenza dei principali autori e linee di sviluppo (programmi allegati al bando del concorso a cattedra settembre 2012) oppure diciture non articolate come diritto costituzionale o diritto amministrativo (programma allegato al bando di concorso per dirigente scolastico luglio 2011) lasciano spazio ad arbitrio nella verifica e lasciano nel vago ciò che realmente è materia d’esame. Invece, sarebbe utile una dicitura precisa su ciò che il candidato deve sapere, in vista di ciò che in futuro sarà chiamato a fare.
Veniamo ora alle competenze del futuro docente. Spesso, infatti, nella scuola ci sono insegnanti molto preparati nella loro disciplina, ma privi delle competenze necessarie per mediare didatticamente le loro conoscenze, oppure sprovvisti di strumenti adeguati a costruire relazioni educative con bimbi o adolescenti. Perché il sistema scuola funzioni, occorre che un docente sappia trasmettere conoscenze, ma anche e soprattutto che sia capace di mettere gli studenti nelle condizioni di apprendere. Un buon docente possiede competenze relazionali e didattiche oltre che conoscenze. Una procedura concorsuale dovrebbe quindi verificare anche la loro presenza.
PROCEDURE PIÙ FUNZIONALI
C’è poi il problema procedurale. Gestire concorsi in cui si presentano centinaia di migliaia i candidati, come è accaduto negli ultimi anni, non è semplice, come emerso in tre recenti occasioni: il concorso per dirigenti scolastici del 2011-12, quello per l’accesso ai Tfa (accesso a corsi finalizzati a ottenere l’abilitazione all’insegnamento) e quello per i concorsi a cattedra nella scuola del 2012-13. In tutti questi casi, si sono allungati i tempi di svolgimento del concorso per la pioggia di ricorsi avanzati dai candidati prima, durante e dopo lo svolgimento delle prove. La difficoltà però non deve essere considerata un alibi per abbassare l’attenzione sull’organizzazione delle procedure che rivestono un ruolo fondamentale per ridare credito al sistema scuola nel suo insieme.
Uno dei temi al centro del dibattito è stato l’impiego dei quiz come strumento di selezione. Da più parti si sono levate critiche sull’utilizzo di questo strumento, indicato come assolutamente inefficace per saggiare le conoscenze e funzionale, nel migliore dei casi, solo a verificare le capacità mnemoniche dei candidati. (1)
Il problema, tuttavia, non sembra essere il quiz di per sé, quanto la sua modalità di attuazione. Nei concorsi degli ultimi due anni è emersa un’attenzione non sempre commisurata alla rilevanza e alla difficoltà del problema da parte dell’amministrazione nell’organizzazione della procedura concorsuale, che ha creato situazioni difficili o paradossali, come la presenza di idonei non sufficienti a ricoprire i posti messi a bando per la difficoltà della prova. (2)
Alla luce di questi episodi, il problema non sembra essere la presenza dei quiz nelle prove preselettive quanto piuttosto la chiarezza degli argomenti su cui è costruita la prova e la serietà con cui si organizza l’intero percorso concorsuale che, oltre a quelle preselettive, deve prevedere prove tese all’accertamento anche delle altre competenze necessarie all’insegnante.
Infine, se i concorsi devono garantire la scelta dei migliori, è irrinunciabile che le prove siano attuate e monitorate da personale attento, competente e retribuito adeguatamente.§
Nei recenti concorsi, oltre alla fase preliminare di preparazione del bando e organizzazione delle prove (quiz preselettivi) curata centralmente dal ministero, le fasi successive sono state gestite localmente all’interno delle singole Regioni o atenei, generando differenze sia nella gestione (titoli delle prove e griglie di valutazione differenti in ogni Regione) che nell’organizzazione (tempi differenti sia nella correzione che nei calendari delle prove orali) che non sempre soddisfano criteri di uniformità e che hanno aperto diversi contenziosi con risoluzioni differenti a secondo delle singole Regioni, come nel caso del concorso per dirigenti scolastici.
I commissari d’esame per questa seconda fase vengono individuati localmente da parte degli Uffici scolastici regionali tra i docenti e i dirigenti scolastici che operano nella Regione.
A seguito della mancanza di risorse economiche, le retribuzioni per questo incarico aggiuntivo si sono ridotte, così come è stata eliminata la possibilità di ottenere l’esonero dall’insegnamento o dalla dirigenza durante lo svolgimento della funzione di commissario d’esame. È accaduto così che i docenti e i dirigenti scolastici coinvolti abbiano spesso ricevuto una retribuzione molto ridotta: un membro di commissione nei concorsi a cattedra ora in svolgimento, per esaminare cinquecento candidati, arriverà a percepire tra i 200 e i 300 euro. Il risultato è che la procedura finisce per coinvolgere troppo raramente i docenti più preparati e meglio formati per operare in linea con obiettivi condivisi.
In conclusione, anche se per i recenti concorsi a cattedra alcune innovazioni hanno permesso di rendere la prova più funzionale, fornendo ai candidati la possibilità di presentare in sede di prova orale una lezione, altri aspetti necessitano ancora di maggiore attenzione per ridare credibilità a un sistema che deve essere sicuramente rifondato. Tra le tante, rimane ancora aperta la domanda di come sia possibile svolgere un lavoro rigoroso nell’esaminare centinaia di candidati percependo 50 centesimi per prova corretta, senza alcuna forma di esonero dalle proprie normali funzioni, in tempi serrati e senza una definizione comune di che cosa debba sapere e saper fare un buon docente.
(1) Nel concorso per dirigenti scolastici, ad esempio, i 5mila quiz da cui poi sarebbero stati tratti i 100 oggetto della verifica erano noti un mese prima della prova d’esame.
(2) Per il concorso da dirigente scolastico, un quinto dei quiz proposti dal ministero per la preparazione del concorso erano errati e quindi sono stati ritirati a un mese dalla prova. Per il Tfa nella classe di concorso A036 – Filosofia e Psicologia,  su oltre 4mila candidati iscritti è passato solo il 3 per cento. In atenei come Milano, Cagliari, Sassari, Urbino e Trento, nessuno è risultato promosso.

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13 commenti

  1. LP

    Per trentasei anni sono stato un docente di discipline scientifiche e per trentasei anni ho subito le contumelie contro gli insegnanti e queste contumelie in genere provenivano dai professori universitari – coloro che ci avevano laureato (sic) – da laureati in psico-pedagogia adatti alle scuole elementari e materne, i quali non volendo insegnare ai bambini si sono riciclati come formatori dei professori di liceo e degli istituti con lo slogan che ci vogliono competenze psicologiche. Balle! Tutte balle, la scuola non funziona perché all’interno della scuola è stato distrutto l’ordinamento giuridico che teneva in piedi l’istituzione, perché la scuola pubblica è e deve essere un’istituzione della Repubblica. La scuola è stata distrutta per darla in gestione al vaticano e ai preti, infatti oggi guadagna più un professore di religione che un professore di matematica. E questo dice tutto.

  2. Giuseppe Farinetti

    Le osservazioni sono interessanti, ma meritano almeno una breve osservazione. Come la prof.ssa Cocchi saprà certamente, per esperienza acquisita nelle discipline che insegna, i laureati che entrano nella scuola superiore sono spesso in possesso di conoscenze settoriali e limitate, inadeguate al sistema italiano che assegna a un medesimo insegnante materie diverse (filosofia e storia, italiano e latino, matematica e fisica, italianio latino greco storia e geografia, addirittura l’insieme delle discipline che cadono sotto il nome di scienze). Inoltre moltissimi nuovi docenti non sanno (e non potrebbe essere altrimenti) gestire l’ora scolastica: per mancanza di conoscenze di base sui loro interlocutori (adolescenti con diverse capacità di apprendimento e diverse motivazioni), per ovvia inesperienza, per mancata formazione specifica (quale professione si impara senza un training specifico e senza un percorso di apprendistato? Questo non dovrebbe essere fondamentale soprattutto per chi ha precise responsabilità nei confronti di minori?). Credo che su questi temi in Italia non sia stata avviata una vera riflessione, all’altezza di un paese civile, in quanto per dare risposte serie e ragionevoli sarebbero servite (e servirebbero) importanti risorse (finanziarie e non) e capacità di pensare e progettare il futuro: attitudine che le classi dirigenti che si sono succedute nella storia repubblicana (e i loro interlocutori storici, forze politiche e sindacati) non hanno mai dimostrato di possedere.
    Cordiali saluti e buon lavoro

  3. Salvo De Luca

    Ma i concorsoni per reclutare docenti hanno ancora senso? Io ne ho fatto uno solo e insegno senza avere fatto un solo giorno di precariato, quindi parlo da “privilegiato”. Ho visto e vissuto le bestialità durante l’espletamento delle varie fasi del concorso del 2000, le metodologie irrazionali di inserimento dei neo-assunti (colleghi con 20 anni di servizio costretti all’anno di prova con relazione finale). Mi chiedo: non è molto, ma molto più semplice copiare dai paesi dove il reclutamento e la scuola funzionano per davvero (Germania, Finlandia, ecc.)? La risposta è banale, ma questo comporta investimenti che nessuno ha il coraggio e la forza di fare. Allora via alla cortina di fumo e al tira e molla tra sindacati e ministero sui 10 euro in più in busta paga pur di non spendere seriamente, anzi tirando via tutto il possibile e riducendo la scuola al lumicino!

  4. Ylenia

    Come si fa a dire che non serve la conoscenza della psicologia nel lavoro di insegnante? Potrebbe per favore argomentare meglio?

  5. ylenia

    Sinceramente bisognerebbe abolirlo proprio il concorso pubblico, non sono utili nemmeno gli aggiustamenti che avete proposto, è un sistema di reclutamento sbagliato, sono d’accordo con il commento di Salvo de Luca qui sotto.
    Dovrebbero istituire le lauree specialistiche per l’insegnamento (cosa che avevano detto di fare con il 3+2 e poi si è arenata nei meandri…), lì davvero si forma e si seleziona chi diventerà insegnante. Poi la selezione dovrebbero farla le singole scuole, si possono individuare procedure e metodi che selezionino solo chi ha la vocazione e una vera attitudine per questo mestiere. Il reclutamento degli insegnanti in Italia è un disastro, vi siete mai chiesti perché buona parte dei ragazzi non sa l’inglese quando esce dalla scuola superiore? Vi siete mai chiesti come vengono reclutati gli insegnanti italiani di lingue straniere in Italia e che preparazione hanno? Chiedetevelo. Approfondite, poi mi dite se vi fa piacere dover ri-pagare il servizio mandando vostro figlio in una scuola privata per imparare le lingue.

  6. Luigi Di Porto

    Per me sono i concetti che stanno alla base del reclutamento degli insegnanti che non possono funzionare: fai un concorso, diventi di ruolo e fai l’insegnante per tutta la vita. Messa così, per chi ha entusiasmo e voglia di fare, sembra una condanna e, per quel poco che ricordo dei miei brevi trascorsi da insegnante, in buona misura lo è pure.
    Mi sono sempre chiesto come possa una persona andare avanti più di 40 anni a spiegare la stessa geometria euclidea e lo stesso calcolo algebrico. Un incubo. Concorsi e ruoli non garantiscono la qualità dell’insegnamento che non dipende dalle prove superate al concorso ma da mille altre condizioni legate alla preparazione, ma soprattutto al carattere e alla motivazione dell’insegnante.
    Questo sistema poi preclude l’insegnamento a chi avrebbe qualcosa da insegnare, persone che, dopo aver passato qualche anno nel mondo del lavoro, potrebbero portare, magari per un tempo limitato, la loro esperienza nell’insegamento.
    Perché non pensare ad una scuola nella quale i singoli istituti siano veramente autonomi, nel senso che possono decidere in proprio chi assumere e chi premiare in funzione di un insegnamento di sempre maggior qualità?
    Al potenziale studente si assegna una specie di voucher che andrà a spendere nella scuola che considererà la migliore per le proprie esigenze. Lo stato smette di erogare soldi alla scuola e i vari istituti, con i soldi dei voucher pagano gli insegnanti, il personale non docente, le apparecchiature varie, le opere edili, etc.
    Le scuole migliori sarebbero piene di studenti e quindi di soldi e potrebbero premiare i migliori, le peggiori chiuderebbero e a quel punto il personale di queste scuole resterebbe senza lavoro, come accade in qualsiasi normale azienda.
    La cosa dovrà essere corretta per tener conto di zone disagiate e possibili sootterfugi ma penso sia sempre meglio di un sistema ingessato come il nostro attuale.

  7. caterina pifano

    sono un’insegnante da circa venti anni dei quali una buona parte passati nel precariato. Ho una laurea, un master, sono bilingue italiano ed inglese, ho svolto (durante il precariato) molte altre attività quali analista finanziario, redattore, formatore nel campo dell’economia e della finanza. All’istituzione scolastica di tutto ciò non è mai importato, e tuttora, non importa niente. Curriculum e professionalità non sono argomenti validi per insegnare a scuola, è meglio essere pazienti ed iscriversi nelle graduatorie. Dopo due abilitazioni mi dimentico di reinserirmi nella graduatoria “permanente” e la mia carriera nella scuola statale viene cancellata. Per fortuna ero ormai di ruolo nella formazione professionale della provincia di Bolzano, ove comunque curriculum, attività e potenzialità di un docente non vengono valorizzati in alcun modo. Purtroppo l’assenza di una selezione corretta e di una carriera premiante, oltre agli stipendi fuori mercato per un laureato, fanno sì che spesso alla cattedra si arrivi per inerzia piuttosto che per merito.

    • Simone

      Gli stipendi non sono fuori mercato. Bisogna considerare la remunerazione oraria. Un qualsiasi laureato impiegato in banca (ottima posizione dal punto di vista retributivo) prende la metà di un insegnante se si quantifica la paga oraria, questa infatti e a livello di dirigente

      • mac67

        Pensare che un docente lavori solo nelle 18 ore di lezione settimanali in classe equivale a pensare che un orchestrale lavora solo le due ore in cui la sua orchestra si esibisce.

      • pasquale morea

        non capisco quale criterio di calcolo lei abbia usato per quantificare la paga oraria, sarebbe interessante che lo chiarisse. Se poi si è basato sul semplice calcolo aritmetico delle ore contrattuali settimanali (suppongo 40 a 18) beh allora non c’è più bisogno che chiarisca nulla, è già tutto chiaro che il confronto è…falsato all’origine.

    • Ylenia

      è proprio così, si arriva per inerzia piuttosto che per merito, chi è paziente ad aspettare le graduatorie. Hai fotografato la realtà italiana benissimo con la tua esperienza.

  8. Renza Bertuzzi

    Condivido l’ impostazione dell’ articolo, sul filo del buon senso. I concorsi devono rimanere perchè ce lo dice l’ art. 97 della Costituzione ( ” Agli impieghi nelle pubbliche amministrazioni si accede mediante Concorso, salvo i casi stabiliti dalla legge”) , mentre l’ art. 98 precisa che ” i pubblici impiegati sono al servizio della nazione” . Quindi, spiegare e insegnare per molti decenni gli stessi argomenti ( e non è mai una mera ripetizione anonima, i docenti sanno bene come l’ esperienza approfondisca e maturi l’ insegnamento) è un impegno preso con la nazione tutta a formare i giovani e non una dipendenza da singole e magari ” stravaganti” scuole.

    • ylenia

      Le regole si possono cambiare, la Costituzione non è le tavole di Mosè scolpite nella pietra, il mondo è completamente cambiato negli ultimi 60 anni, aggiorniamoci anche noi. I concorsi non sono il sistema migliore per reclutare il personale, potrei portare degli esempi in tutte le categorie.

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