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Dove vanno le risorse del Pnrr per la transizione ecologica

Se si analizza la distribuzione delle risorse per l’energia della Missione 2, dedicata alla transizione ecologica, una revisione degli obiettivi del Pnrr sembra auspicabile. I fondi vanno al Superbonus, alle rinnovabili e a investimenti già programmati.

Le risorse della Missione 2

In due successivi interventi (qui e qui), Tito Boeri e Roberto Perotti hanno suggerito una revisione critica del Piano nazionale di ripresa e resilienza, in modo da focalizzare la scarsa capacità amministrativa del paese sui progetti più utili. Questo articolo vuole contribuire al dibattito attraverso un esame più specifico di alcuni progetti nella Missione 2 del Pnrr, dedicata a “Rivoluzione verde e transizione ecologica”.

La Missione 2 prevede investimenti per poco meno di 60 miliardi di euro, in quattro componenti: agricoltura sostenibile ed economia circolare; energia rinnovabile, idrogeno, rete e mobilità sostenibile; efficienza energetica e riqualificazione degli edifici; tutela del territorio e della risorsa idrica. In particolare, ci concentreremo qui sugli interventi relativi alle tecnologie per la produzione e il consumo di energia. Sono circa 32 miliardi di euro, divisi praticamente a metà tra prestiti e sovvenzioni. Di queste ultime, la gran parte (poco meno di 14 miliardi) è imputabile all’ecobonus. Secondo il quadro finanziario pubblicato sul sito italiadomani.gov.it, le uniche risorse già spese sono circa 10 miliardi per l’ecobonus.

La tabella 1 riassume i programmi qui esaminati.

I primi cinque investimenti pesano per poco meno dei tre quarti del totale (23,6 miliardi, di cui 13,9 per l’ecobonus). Il 47,4 per cento delle misure afferiscono all’efficienza energetica (15,3 miliardi, in gran parte ecobonus), il 15,8 per cento ai gas rinnovabili (prevalentemente idrogeno), il 15,0 per cento alle rinnovabili elettriche, il 12,7 per cento alle infrastrutture elettriche, il 6,8 per cento all’autoconsumo e alle comunità rinnovabili, il 2,3 per cento alla mobilità elettrica.

Su lavoce.info dell’ecobonus si sono occupati tra gli altri Giuseppe Pisauro, Leonzio Rizzo e Francesco Figari, Luca Gandullia, Diego Piacentino.

Le fonti rinnovabili

Per quanto riguarda le fonti rinnovabili elettriche, sono previsti 1,5 miliardi per il parco agri-solare (pannelli fotovoltaici sui tetti di stalle, capannoni), 1,1 miliardi per il parco agro-voltaico (pannelli a terra, compatibilmente col mantenimento delle attività agricole), 675 milioni per il supporto a tecnologie innovative (“incluso offshore”). Si tratta di scelte discutibili. Infatti, non si fa che ripetere che le rinnovabili sono competitive e possono stare sul mercato. Per esempio, la principale associazione di categoria parla di un costo medio attualizzato di 65 euro/MWh, mentre in altri paesi le aste per il sostegno a queste tecnologie si sono chiuse a prezzi ben inferiori ai 60 euro (Regno Unito, Spagna) fino al record portoghese e tedesco di aste a prezzo negativo. Tali costi vanno confrontati coi prezzi dell’energia elettrica che oggi si aggirano attorno ai 150 euro/MWh e che in nessuno scenario sono destinati a scendere al di sotto dei 60-80 euro. Se si prendono sul serio questi dati, non si capisce per quale ragione le rinnovabili debbano ricevere dei sussidi.

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È possibile che, dietro il sostegno, si nascondano altri obiettivi, che però andrebbero esplicitati e misurati: per esempio il supporto alle filiere agricole o allo sviluppo tecnologico. D’altronde, l’evidenza suggerisce che non sia la prospettiva di una remunerazione insufficiente a frenare la diffusione delle energie verdi nel nostro paese. Finora, il principale strumento di sostegno alle rinnovabili elettriche in Italia sono state le cosiddette aste Fer, attraverso cui la collettività mette a disposizione la garanzia di un certo livello di prezzo attraverso un contratto alle differenze a due vie (in pratica, se il prezzo di mercato è inferiore a quello pattuito, il produttore riceve la differenza; se è superiore, la restituisce). Ebbene, le procedure svolte finora si sono sistematicamente chiuse con richieste di incentivi ampiamente inferiori a quelli disponibili, e di conseguenza con prezzi prossimi alla base d’asta. Il vero problema riguarda il rilascio delle autorizzazioni: se quello è il collo di bottiglia, la soluzione va cercata nelle semplificazioni, certo non nella concessione di contributi che vanno solo ad alimentare la rendita per i pochi fortunati che ottengono il pezzo di carta.

Per quanto riguarda i gas rinnovabili, la maggior parte dei fondi è destinata all’idrogeno. Complessivamente si tratta di tre miliardi di euro, a cui se ne aggiungono altri due per il biogas e biometano. In questo caso, almeno in via di principio può trattarsi di iniziative sensate, in quanto per il momento i gas rinnovabili non sono competitivi – soprattutto in uno scenario di normalizzazione dei costi del gas metano. Inoltre, rappresentano l’unica alternativa concreta (assieme alla cattura e sequestro della CO2, che però non è per ora contemplata) per la decarbonizzazione dell’industria pesante e di alcune modalità di trasporto.

La domanda da porsi è se sia davvero necessario stanziare così tanti soldi o se non sarebbe più opportuno concentrarsi, quanto meno per l’idrogeno, su progetti pilota.

Reti e filiere

Il rafforzamento delle reti elettriche assorbe oltre 4 miliardi di euro. In buona parte sono investimenti che sarebbe necessario sostenere comunque, perché riguardano l’adeguamento delle infrastrutture elettriche alla crescente penetrazione delle fonti rinnovabili e l’adattamento ai mutamenti del clima. Senza il Pnrr, tali iniziative sarebbero finanziate a carico dei consumatori elettrici, con un costo medio del capitale attorno al 5-6 per cento. Appare dunque ragionevole approfittare dell’opportunità di ottenere le stesse risorse a un tasso inferiore, sebbene si debba tenere conto dell’effetto che ciò può avere sugli incentivi degli operatori di rete, i quali appunto si finanziano attraverso il rendimento del capitale investito. Un discorso analogo, peraltro, vale per gli investimenti previsti nelle reti idriche.

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Infine, il Pnrr prevede circa 1,5 miliardi di euro per il rafforzamento delle filiere nazionali delle rinnovabili, dell’idrogeno e delle batterie. Ma è possibile stimolare la nascita di un’industria italiana in questi settori? È possibile, con poche centinaia di milioni di euro, scalzare i produttori cinesi di batterie e pannelli o quelli danesi e spagnoli di pale eoliche? E soprattutto: è davvero una questione di denaro pubblico oppure è una partita che non può e non dovrebbe essere condotta con decisioni prese dall’alto alle spalle delle generazioni future?

Complessivamente, la missione del Pnrr dedicata alla transizione ecologica – quantomeno nelle sue componenti legate all’energia – lascia l’amaro in bocca. Una parte sostanziale delle risorse è stata destinata a uno strumento controverso come il Superbonus. Altri denari sono indirizzati al supporto di fonti rinnovabili che, più che dei soldi, necessitano di un percorso autorizzativo più semplice. Altri ancora sono impiegati su iniziative di politica industriale le cui prospettive sono assai inferiori alle ambizioni. Infine, una fetta dei finanziamenti serve a sostenere investimenti già programmati, come quelli sulle reti elettriche. Non è il peggiore degli utilizzi, ma probabilmente non era questo che si intendeva quando si è voluto disegnare “Next Generation EU”.

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  1. Savino

    Riempire sterilmente certe aree del Paese di pale eoliche o di pannelli fotovoltaici deturpa il paesaggio e non dà risparmi in bolletta, anzi favorisce le mire della criminalità organizzata.

  2. pt

    “probabilmente non era questo che si intendeva quando si è voluto disegnare “Next Generation EU”.

    La “proverbiale” lungimiranza UE non esiste, quindi non sarei così sicuro che le intenzioni fossero “migliori”. Con un pizzico di coraggio in più, e andando oltre a una mera valutazione della “qualità” delle scelte prese, si può provare a rispondere alla domanda delle domande:

    Era veramente ragionevole pensare che con le regole, la burocrazia, gli importi, le scadenze, l’orizzonte temporale brevissimo di questo programma (e sempre e comunque all’interno di limiti di spesa dentro cui le spese per il pnnr devono stare, perché non sono investimenti esclusi dal calcolo del deficit) si potesse fare molto altro che spendere per spese programmate e distribuire qualche sussidio qua e la?

  3. Paolo

    Per completare il quadro sarebbe opportuno esaminare anche le linee di azione dedicate agli immobili scolastici e del ministero della giustizia: riqualificazioni FINTAMENTE energetiche, di immobili per il 90% ubicati a roma (un caso?), con esiti di riduzione delle emissioni ridicole anche in confronto ai già deludenti risultati del superbonus.
    I soldi delle infrastrutture di ricarica saranno sprecati installando le colonnine presso i distributori di carburanti già esistenti (cioè lontano da dove le auto si possono lasciare per le decine di minuti che impiega la ricarica, invece che nei parcheggi dove ci sarebbero i giusti tempi per la ricarica anche lenta), quelli per l’idrogeno sono già su tutti i giornali di questi giorni come flop.
    Gli incentivi al teleriscaldamento sono già in contestazione con la Commissione, quelli dell’agrivoltaico hanno obiettivi mediocri (2 mld per realizzare 2 GWp, in pratica un finanziamento 100% a fondo perduto tipo superbonus), il parco agrisolare se lo mangeranno tutto le industrie dell’alimentare sui loro capannoni (sì, sono ammesse pure loro, alla faccia del nome agri).
    Viste le iniziative finanziate e la situazione di ritardo generalizzato, sarebbe opportuno rinunciare immediatamente a tutti i prestiti, e “girare” altri 40-50 mld delle sovvenzioni non ancora spese (nelle altre missioni) a copertura del Superbonus (che abbiamo comunque già impegnato nei prossimi 4 anni per 65 mld). In questo modo avremmo i classici due piccioni con una fava: eliminazione delle spese improduttive e garanzia di riuscire a completare gli investimenti entro il 2026.

  4. Leonardo Bargigli

    L’articolo a mio avviso è scarsamente propositivo. La conclusione (sbagliata) che se ne può trarre è che la spesa pubblica a sostegno della transizione energetica è del tutto inutile. Basta deregolamentare e il mercato ci penserà da solo. Peccato che Cina e USA si stiano muovendo in direzione opposta. Se questa forma estrema di liberismo non rappresenta il pensiero dell’autore, occorrerebbe specificare meglio quali potrebbero essere gli interventi alternativi. Altrimenti, non si tratta di una critica al pnrr ma alla spesa pubblica in generale.

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