Dal 1° gennaio 2024 entrerà in vigore la Global Minimum Tax. Nel frattempo, l’Italia avrà approvato la riforma fiscale, che prevede agevolazioni sul reddito di impresa. Andrà coordinata con la norma europea, per evitare che i benefici perdano efficacia.

Riforma tributaria e Pillar 2

L’articolo 9, comma 1, lett. d) della bozza di riforma fiscale si preoccupa di coordinare le disposizioni agevolative in materia di reddito d’impresa – ivi incluse quelle solo genericamente indicate nell’articolo 6, comma 1, lett. a) della stessa riforma stessa – con le norme stabilite dalla direttiva 2022/2523 (“Pillar 2”). 

La preoccupazione è giustificata dal fatto che la direttiva impone l’entrata in vigore del Pillar 2 (cioè la Global Minimum Tax) dal 1° gennaio 2024 e, ancorché applicabile solo a gruppi nazionali o internazionali con fatturato superiore a 750 milioni di euro, comporta un trattamento peggiorativo per gli incentivi basati sulla riduzione di base imponibile o su riduzioni di aliquota dell’imposta sui redditi societari. La riforma fiscale dovrà, quindi, mettere mano alla meccanica con cui vengono garantiti i benefici in questione perché altrimenti potrebbero diventare inefficaci nei fatti proprio per l’applicazione dell’imposta perequativa prevista dal Pillar 2 (“Top-Up-Tax”, applicabile se l’imposta effettivamente pagata è inferiore al 15 per cento e fino al raggiungimento di tale valore). 

I margini di manovra

La discrasia fra tempistica della riforma – con i decreti attuativi proiettati nei 24 mesi successivi alla sua approvazione finale – ed entrata in vigore del Pillar 2 obbliga a verificarne i possibili margini di manovra. Non a caso la direttiva si cimenta con la tematica delle disposizioni transitorie idonee a lenire le difficoltà applicative connesse all’entrata in funzione di regole assai complicate e con una proiezione internazionale non agevole da coordinare.

Viene, infatti, stabilito che la Top-Up-Tax non è dovuta (“shall be reduced to zero”) per i primi 5 anni da: (i) multinazionali che si trovano nella loro “fase iniziale”; (ii) i gruppi solo domestici di grandi dimensioni. Si considerano, a tali fini, multinazionali “nella fase iniziale” quelle che possiedono in paesi diversi da quello di residenza della maggiore entità (quindi non necessariamente la capogruppo) meno di 6 società controllate e i cui asset totalizzino un valore inferiore a 50 milioni di euro. Per i grandi gruppi solo domestici, invece, il differimento quinquennale si applica sempre. 

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Il sostanziale rinvio in avanti dovrebbe risultare particolarmente gradito alle multinazionali tascabili italiane che avranno così non solo più tempo per attrezzarsi a dovere, ma anche per trarre beneficio dalle esperienze che matureranno in testa a quelle più grandi e, presumibilmente, meglio predisposte a seguire regole più complesse causa le frequentazioni internazionali correnti. 

La sospensione della debenza della Top-Up-Tax non sospende, però, gli adempimenti. I gruppi che resteranno per un quinquennio esclusi dal versamento dovranno, ciononostante, procedere al computo di tutti gli elementi richiesti per l’applicazione del Pillar 2 e dovranno altresì presentare la dichiarazione prevista a tali fini entro 15 mesi dalla chiusura dell’esercizio in cui il Pillar 2 si renderà applicabile. Il che vuol dire – salvo maggiori precisazioni – entro il 31 marzo 2026. Occorrerà, quindi, in ogni caso dettare a breve disposizioni che prevedano la raccolta dei dati necessari per redigere la dichiarazione senza eccezioni fra imprese tenute al versamento della Top-Up-Tax da subito (le multinazionali di maggiore dimensione) e quelle i cui obblighi di versamento (ma solo quelli) sono differiti al 2028.

Quanto al coordinamento fra benefici fiscali indicati – sia pur genericamente – dalla bozza di riforma e potenziali rettifiche derivanti dal Pillar 2, va detto che la riforma prevede benefici connessi agli “investimenti” e alle “nuove assunzioni”. Lo spazio per coordinare queste tipologie di agevolazione con il Pillar 2 è qui ben presente e permette un approccio positivo. La disciplina internazionale consente, infatti, un abbattimento dell’imponibile rilevante ai fini del computo dell’Effective Tax Rate (“Etr”) in funzione del valore delle (i) immobilizzazioni e delle (ii) spese di personale (Substance-Based Income Exclusion, “Sbie”). A tali fini un importo pari al 5 per cento di entrambe le voci è portato in abbattimento del reddito imponibile con la conseguenza di ridurre l’ammontare di quello da mettere a confronto con l’imposta effettivamente pagata. Per esempio: (a) imponibile prima degli aggiustamenti Sbie = 100; (b) imposte pagate = 13; (c) valore degli asset = 250; (d) costi del personale = 50; (e) Sbie (c+d) = 300*5% = 15; (f) imponibile rettificato con Sbie (a-e) = 85; (g) Etr (13/85) = 15,29%; (h) Top-Up-Tax dovuta = 0 (15,29% maggiore di 15%). 

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Consegue che maggiore è la dimensione degli asset e dei costi del personale, maggiore è il beneficio nel computo dell’aliquota effettiva dell’imposta rilevante a fini Pillar 2 (Etr). 

A queste considerazioni va aggiunto che le disposizioni transitorie della direttiva prevedono che la percentuale Sbie applicabile a partire dal 2024 sia pari, per i costi del personale, al 9,8 per cento e per il valore degli asset al 7,8 per cento. Percentuali che degradano progressivamente fino al 2032, quando si renderà applicabile l’aliquota standard del 5 per cento.

Insomma, non moriremo di noia!

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