La riforma fiscale interviene sulla riscossione dei tributi, una problematica che si presta a facili strumentalizzazioni. L’obiettivo è rendere più semplice e trasparente il sistema. Prevista anche la cancellazione automatica dei crediti inesigibili.

Un sistema più semplice ed efficace

La bozza di legge delega per la riforma fiscale si cimenta anche con una tematica inevitabile, ma assai spigolosa, per un sistema tributario: la riscossione dei tributi.

Il sistema di riscossione rappresenta sempre la faccia cattiva dello stato. Tutti lo vorrebbero rispettoso al massimo delle persone in carne e ossa, salvo arrabbiarsi quando vedono i debiti fiscali non pagati di un sorridente finto povero.

La delega attuale replica sostanzialmente lo schema della proposta del governo Draghi, ribadendo il principio che il sistema debba essere (ovviamente) semplificato e rivolto a obiettivi “di risultato piuttosto che di esecuzione del processo” (art. 18.1). Frase che, decodificata, significa che le attività di riscossione dovranno essere orientate in funzione della dimensione del credito da riscuotere e del pericolo di sparizione del relativo debitore.

Le procedure riscossive sono, infatti, caratterizzate, da un lato, da opportune garanzie per il contribuente ma, dall’altro, anche da ingombranti caratteri di ordine burocratico (a cominciare dalla esasperante scansione temporale degli atti da notificare prima di procedere alla riscossione coattiva). Seguirli tutti alla lettera comporta un dispendio di tempo ed energie tale da rendere, nei fatti, impossibile onorarli tutti per la generalità dei crediti d’imposta. Con il risultato che se si perseguono i crediti in funzione del tempo in cui si sono formati, si rischia di operare legittimamente ma con scarso costrutto. L’amministrazione finanziaria è così costretta a operare scelte implicite –oggi opache – nelle modalità di procedimento dell’azione riscossiva. Il principio portato dalla delega va, dunque, nella direzione giusta di legittimare quest’azione inevitabilmente discrezionale dell’amministrazione (quantomeno nella valutazione del pericolo incombente) subordinandola alle regole specifiche – si spera più funzionanti – che il legislatore delegato dovrà fissare con l’obiettivo di rafforzarne l’azione innanzitutto per i crediti di maggior importo.

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Questa scelta, per converso, potrebbe mettere in crisi i creditori di somme più modeste (i comuni) che vedrebbero assottigliarsi la propria fett(in)a. La maggior libertà organizzativa indicata dalla delega potrebbe però esplicarsi proprio nel costituire una sezione dedicata a questi specifici creditori (che già oggi si avvalgono di riscossori alternativi all’Agenzia delle entrate). Si potrebbe pensare anche alla cessione (a sconto) a società private di masse di crediti di modesto importo, ma la delega non si spinge a tanto.

Condivisibile, infine, la maggior precisione nella indicazione della strumentazione tecnica da mettere in campo, che consentirebbe, per esempio, l’uso della fattura elettronica come strumento di aggressione del debitore già presso l’intermediario finanziario del contribuente stesso.

La cancellazione dei crediti non esigibili

Su un punto, invece, la delega innova davvero rispetto alla proposta precedente: la cancellazione dei crediti d’imposta inesigibili. Si tratta di una tematica che ha spesso avviato un dibattito lunare sia sul loro ammontare, sia sulle aspettative di introito che ne potevano derivare. L’ammontare dei crediti d’imposta viaggia da anni su dimensioni superiori ai mille miliardi di euro (oggi dell’ordine di 1.150 miliardi). Altrettanto note sono le comunicazioni – anche in sede parlamentare – del direttore dell’Agenzia delle entrate pro-tempore che da anni quota la parte effettivamente perseguibile (cioè forse riscuotibile) in un ordine di grandezza inferiore a 100 miliardi di euro (l’ultima stima è stata di 81 miliardi). La forte divaricazione deriva essenzialmente dalla lentezza con cui il sistema prende atto dell’esaurirsi delle azioni attivabili per materializzare l’incasso di un credito pur indiscutibilmente spettante all’erario. Si va da contribuenti deceduti debitori di tributi solo personali o senza eredi (o con eredi che hanno accettato l’eredità con beneficio d’inventario) a società fallite senza attivo da ripartire (o con attivi attribuibili a creditori privilegiati rispetto al fisco), a contribuenti spariti (perché emigrati altrove o semplicemente trasferitisi senza lasciare traccia), a garanti o obbligati in solido che hanno seguito lo stesso destino. Le procedure con le quali queste circostanze di fatto vengono assunte dal sistema sono così complicate e lente che la montagna dei crediti inesigibili tende ad ampliarsi invece che a ridursi e trasmette un senso di inefficienza nell’operato dell’amministrazione finanziaria davvero immeritato.

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La proposta contenuta nella delega porta all’automatica cancellazione di quei crediti che non risultano riscossi nei cinque anni successivi a quello di affidamento all’Agenzia delle entrate – Riscossione. Deve trattarsi di debiti per i quali l’Agenzia non ha raggiunto alcun accordo col debitore o per i quali non è in corso una (legittima) trattativa con lo stesso. La scelta è coraggiosa e condivisibile ma suona, al tempo stesso, un po’ ricattatoria nei confronti dell’Agenzia delle entrate (se non ti attivi, cancello). Tant’è che viene rimessa in termini (può, cioè revocare la cancellazione automatica) se viene in possesso di “nuovi e significativi” elementi reddituali o patrimoniali successivamente alla cancellazione. Si prevede anche – né si poteva fare diversamente – la revisione della disciplina della responsabilità dell’agente della riscossione, mantenendola operante solo nel caso di dolo o colpa grave.

Va sottolineato, in positivo, il cimentarsi con una problematica assai spigolosa e che si presta a facili strumentalizzazioni. Il giudizio finale va comunque sospeso in attesa dei decreti attuativi, che consentiranno una più puntuale verifica della bontà delle scelte qui solo tratteggiate.

Ci si misura, infine, con la durata delle dilazioni di pagamento per fissare in 10 anni (120 rate) il termine massimo ammissibile. La memoria dei 23 anni di dilazione accordati alla Società Sportiva Lazio nel primo decennio del secolo, evidentemente, brucia ancora.

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