Istituito con la riforma del Reddito di cittadinanza, il Supporto per la formazione e il lavoro è molto diverso dagli assegni sociali per il lavoro in vigore in otto paesi Ue. Le sue caratteristiche lo rendono ben poco adatto a contrastare la povertà.

La riforma nel decreto Lavoro

Col varo del decreto Lavoro, l’Italia è diventata ufficialmente l’unico paese europeo senza una misura di contrasto alla povertà basata sul principio dell’universalismo selettivo, ovvero una misura accessibile a tutte le persone bisognose con determinati requisiti di residenza, reddito e patrimonio indipendentemente dalle loro caratteristiche individuali o familiari (come, ad esempio, l’età o la presenza di minori nel nucleo).

Da questo punto di vista, il nostro paese torna indietro nel tempo, esattamente al primo gennaio 2018, quando il nuovo sostegno nazionale contro la povertà appena varato dal governo Gentiloni, il Reddito di Inclusione (Rei), era appunto rivolto a delle categorie specifiche di poveri: le famiglie con almeno un minore, un figlio disabile, una donna in gravidanza o un disoccupato ultra55enne anni senza Naspi. Come nella prima fase di attuazione del Rei (fino alla sua modifica in senso non categoriale avvenuta il primo luglio 2018), anche la nuova misura del governo Meloni, l’Assegno di inclusione lavorativa (Adi), identifica le famiglie povere “meritevoli” di sostegno – le famiglie con almeno un minore, un over60, un disabile o un invalido civile – ed esclude tutti gli altri.

Per i poveri a cui viene negato l’accesso all’Adi, la riforma prevede una indennità chiamata Sostegno per la formazione e il lavoro (Sfl), erogata solo in caso di partecipazione a corsi di formazione o a lavori socialmente utili. La durata dell’indennità, pari a 350 euro al mese, dipende dalla durata del corso di formazione e non può essere comunque superiore a 12 mesi. 

Le differenze con gli assegni sociali per il lavoro europei

Il nuovo Sfl è una misura molto diversa dagli assegni sociali per il lavoro (Aspil) attualmente previsti in otto paesi dell’Ue (tra cui Austria, Finlandia, Francia, Portogallo, Svezia e Spagna). 

L’accesso agli Aspil dipende principalmente dal livello di reddito familiare, dal livello di occupabilità del disoccupato e dai contributi sociali versati prima di perdere il lavoro. La frequenza a un corso di formazione non rientra nei requisiti di eleggibilità, anche se ovviamente può essere richiesta in un secondo momento, esattamente come avviene per qualunque altro strumento di sostegno al reddito delle persone prive di occupazione. Una breve rassegna sugli assegni europei è disponibile nel recente rapporto Caritas sulle politiche di contrasto alla povertà (capitolo 2).

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Indennità di frequenza simili al nuovo Sfl Italiano esistono in altri 14 paesi dell’Ue (inclusi Austria, Finlandia, Francia, Germania, Lussemburgo, Polonia, Repubblica Ceca, Slovenia e Svezia). In Germania, ad esempio, il beneficiario della misura nazionale di contrasto alla povertà – molto vicino al Reddito di cittadinanza italiano, in quanto accorpa in un solo strumento l’assistenza contro la disoccupazione e l’assistenza sociale – può ricevere un rimborso per le spese sostenute in caso di partecipazione a corsi di formazione. Esiste quindi un unico strumento assistenziale (il Bürgergeld) che assolve vari obiettivi: sostegno contro la povertà, contro la disoccupazione e per incentivare la formazione. 

In Austria, al contrario, un disoccupato povero può percepire contemporaneamente più assegni di diversa natura: l’assegno contro la povertà (Sozialhilfe), l’AspiL (Notstandshilfe) e un sostegno per la formazione di natura forfettaria (Umschulungsgeld) nell’eventualità che frequenti un corso di riqualificazione professionale. La possibilità di percepire più assegni, tuttavia, non si traduce necessariamente in un reddito più alto. Infatti, i redditi provenienti dal Notstandshilfe e dal Umschulungsgeld sono inclusi in quello impiegato per calcolare il Sozialhilfe, riducendone dunque l’ammontare di pari misura.

Perché non è una misura adatta a contrastare la povertà 

Le indennità di frequenza come il nuovo Sfl italiano hanno caratteristiche funzionali al loro obiettivo primario, ovvero promuovere la partecipazione dei disoccupati a percorsi di formazione utili al loro reinserimento professionale (tabella 1).

Queste caratteristiche rendono le indennità per la formazione poco adatte al contrasto della povertà. Come indicato nella recente raccomandazione del Consiglio europeo, i programmi di contrasto alla povertà devono fornire un sostegno (1) garantito e accessibile a tutti i poveri, (2) continuativo (fintanto che la persona si trova in stato di povertà); (3) adeguato (al livello di bisogno del povero).

Al contrario, le indennità per la formazione sono temporanee, non danno un sostegno commisurato alla condizione economica del beneficiario e non sono garantite a tutte le persone in condizione di bisogno. Non è detto, infatti, che tutti i poveri siano nelle condizioni di partecipare a un corso di formazione o ad altre misure di politica attiva per il lavoro. Inoltre, non è affatto detto che i poveri “occupabili” vengano subito presi in carico dai centri competenti e che sia possibile avviarli immediatamente a un percorso di formazione o reinserimento lavorativo adatto al loro profilo. 

L’Italia prima e dopo la riforma 

Per mostrare quanto la riforma del governo allontani l’Italia dall’Europa sul fronte delle politiche di contrasto alla povertà, la figura 1 mostra per tutti i paesi europei il livello di supporto ricevuto da un disoccupato di 45 anni che vive solo, senza disabilità e con un passato contributivo sufficientemente lungo da avergli consentito l’accesso all’indennità assicurativa contro la disoccupazione (la Naspi in Italia). I calcoli assumono che la persona sia disoccupata da 25 mesi e che non stia frequentando nessun corso di formazione (al momento). Per consentire il confronto tra paesi, gli importi in figura 1 sono stati divisi per la mediana del reddito disponibile del paese. In tal modo, possono essere confrontati con la linea di povertà Ocse, pari al 50 per cento del reddito disponibile mediano.

Nella maggioranza dei paesi europei, il sostegno ricevuto dal disoccupato proviene, dopo 25 mesi di disoccupazione, dal programma di contrasto alla povertà (barre gialle e la barra verde per l’Italia prima della riforma). In alcuni paesi, il sostegno proviene invece dagli AspiL (le barre blu scuro). Solo in Belgio, il sostegno proviene ancora dall’indennità assicurativa contro la disoccupazione. In Francia e Spagna il disoccupato riceve, oltre all’Aspil, un supplemento proveniente dal programma contro la povertà. Infatti, poiché l’assegno contro la povertà è più alto dell’Aspil, il beneficiario riceve un’integrazione al reddito. 

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In Italia, al contrario, dopo la riforma, il disoccupato povero che non sia stato ancora preso in carico dal centro per l’impiego, oppure che sia stato preso in carico ma non sia stato ancora avviato a un corso di formazione, oppure che abbia terminato la fruizione del nuovo Sfl, risulterebbe privo di qualunque sostegno pubblico e uscirebbe completamente dal radar delle istituzioni pubbliche, non avendo il diritto di accedere all’Adi e ai programmi di inclusione e attivazione a cui i beneficiari sono tenuti a partecipare. Il risultato, come ben dimostrato dai calcoli di Arpea, Gallo e Raitano, è un aumento significativo dell’incidenza della povertà e della diseguaglianza nel nostro paese, in particolare dopo il primo anno di implementazione della riforma per via della impossibilità di poter rinnovare l’Sfl dopo i primi 12 mesi di fruizione.

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