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Quando l’inflazione è da profitti

Nel 2022 i profitti unitari delle imprese nell’area euro sono aumentati, contribuendo a quasi tre punti percentuali di maggiore inflazione. In Italia il fenomeno è meno forte: salgono i profitti del settore energia, a spese delle produzioni made in Italy.

L’inflazione importata

Il biennio 2021-2022 è stato segnato dalla risalita dell’inflazione europea, dopo molti anni su livelli elevati.

La scomposizione contabile di quali redditi siano stati remunerati dai maggiori prezzi consente di evidenziare il ruolo determinante svolto dall’inflazione importata. Il fenomeno è riconducibile all’aumento delle quotazioni delle materie prime e ai problemi nel funzionamento delle catene di fornitura dopo la pandemia. Nella figura 1 questa componente è rappresentata dall’area marrone, che descrive il contributo della variazione delle ragioni di scambio alla crescita del deflatore della domanda nazionale. 

La perdita di ragioni di scambio ha avuto un peso superiore rispetto ad altre aree perché i paesi europei sono importatori netti di materie prime e per effetto dell’impennata delle quotazioni del gas, il cui andamento sul mercato europeo si è disallineato da quanto osservato in altre aree.

Alla luce della recente caduta dei prezzi delle materie prime e del superamento dei problemi nelle catene di fornitura, ci si attende che questo tipo di effetti si ridimensioni, assecondando il rientro dell’inflazione.

Tuttavia, uno dei rischi dei prossimi trimestri è rappresentato dall’aumento del contributo all’inflazione dei redditi interni, che potrebbero sostituirsi ai rincari degli input importati.

Cosa succede ai profitti

L’attenzione è stata rivolta soprattutto alle dinamiche salariali. La crescita del costo del lavoro si è però mantenuta su ritmi nel complesso moderati, tant’è che i salari si sono ampiamente contratti in termini reali. Più di recente, invece, il dibattito si è concentrato su un altro versante, quello dei profitti.

In presenza di uno shock sui costi di produzione, ci si dovrebbe attendere una reazione graduale dei prezzi, che dovrebbe condurre inizialmente a una decelerazione dei profitti unitari. Tuttavia, nel corso del biennio passato, pur con incrementi sostenuti dei costi degli input di importazione, le imprese dell’area euro non hanno registrato contrazioni dei margini. I profitti unitari hanno quindi fornito un contributo positivo alla dinamica dei prezzi, come evidenziato dall’allargamento dell’area arancione nella figura: questi spiegano un incremento dei prezzi nell’area euro dell’1,1 per cento nel 2021 e del 2,7 per cento nel 2022 contro un valore medio annuo dello 0,5 negli anni precedenti.

La crescita dei margini unitari potrebbe rivelare un elevato potere di mercato delle imprese, probabilmente legato al fatto che sinora la domanda finale ha mostrato di riuscire ad assorbire i maggiori prezzi senza troppi tentennamenti (ma da qualche mese in realtà lo scenario si sta incrinando). Ciò potrebbe essere dovuto al fatto che parte dei rincari ha riguardato voci di spesa (energia e alimentari) dove l’elasticità della domanda ai prezzi è inferiore rispetto ad altre, trattandosi di consumi necessari.

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Un altro aspetto significativo è che le famiglie stanno finanziando gli acquisti attraverso l’eccesso di risparmio accumulato nel corso della pandemia per effetto delle politiche di bilancio espansive varate dai governi, che hanno sostenuto il reddito disponibile delle famiglie, a fronte delle misure di distanziamento sociale, che ne hanno ridotto le possibilità di spesa.

Dopo le riaperture si sarebbe quindi osservata una riduzione dell’elasticità della domanda ai prezzi che rifletterebbe gli effetti ritardati della politica fiscale espansiva degli anni scorsi.

Inoltre, è da considerare anche una dimensione psicologica della fase delle riaperture dopo il lungo periodo in cui i consumatori sono stati limitati nelle rispettive decisioni di spesa. La voglia di tornare a partecipare a eventi, come spettacoli e manifestazioni sportive, o di trascorrere dei periodi di vacanza, avrebbe portato a destinare a queste spese quote di reddito più elevate. Tuttavia, non è immediato stabilire se il mutamento delle preferenze sia di carattere permanente, ad esempio perché la percezione dell’importanza di determinati consumi si è radicata, portando a un cambiamento culturale che ridefinisce le priorità, oppure se si tratti di comportamenti di consumo di tipo quasi liberatorio, destinati a ridimensionarsi presto, quando il vincolo di bilancio tornerà a stringere. 

Margini unitari in forte aumento in Germania, molto meno in Italia

Elementi interessanti traspaiono se si valutano le differenze nei comportamenti che hanno caratterizzato i diversi paesi e i vari settori produttivi all’interno di questi.

I dati evidenziano innanzitutto come la crescita dei profitti unitari non sia stata uniforme nei diversi paesi: è più accentuata in Germania, molto meno in Italia; un aumento significativo si osserva in Spagna, ma successivamente a una fase di ampia contrazione.

Sulle differenze settoriali, la contabilità nazionale mostra alcuni andamenti principali, anche se non del tutto condivisi fra i diversi paesi. Inoltre, non per tutti i paesi sono disponibili le informazioni settoriali di contabilità nazionale con una disaggregazione dettagliata.

In generale, comunque, profitti unitari in forte aumento hanno caratterizzato i settori dell’industria estrattiva e l’agricoltura, rispecchiando l’aumento dei prezzi internazionali dei rispettivi prodotti. Sono cresciuti molto i profitti del settore dell’energia (in Francia, Spagna e Italia, ma non in Germania), dove contano evidentemente i meccanismi di fissazione del prezzo di mercato in base ai costi del produttore marginale, a fronte di diversi produttori che operano con costi decisamente inferiori. 

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Se invece concentriamo l’attenzione sul solo comparto manifatturiero, caratterizzato da un maggiore peso delle materie prime nei costi di produzione e più esposto alla pressione della concorrenza internazionale, si osservano aumenti significativi dei profitti unitari in Germania, ma non in Italia e Francia.

Una spiegazione possibile è che si tratti di strutture produttive che fronteggiano segmenti della domanda caratterizzati da una elasticità al prezzo differente a causa dei tipi di beni prodotti e della rispettiva fascia qualitativa (esemplificando, il consumatore che acquista una Mercedes dopo una fase di ritardi nelle consegne potrebbe essere meno attento ai rincari di prezzo rispetto a chi acquista una Panda).

In Italia, il settore dell’energia amplifica i costi del settore manifatturiero

Soffermando l’attenzione sull’Italia, è evidente come le disparità settoriali siano state molto marcate, soprattutto perché il settore dell’energia con i suoi profitti ha amplificato le spinte sui costi degli altri.

Ne hanno fatto le spese alcuni settori manifatturieri utilizzatori di energia. L’andamento è stato solo parzialmente compensato dai crediti d’imposta a favore di quelli più “energy intensive”.

Considerando la variazione cumulata nell’intero triennio post-pandemia, registrano riduzioni dei profitti molti settori che rappresentano l’asse portante del made in Italy: l’alimentare, il tessile, l’arredamento e la farmaceutica e tutta la metalmeccanica.

In generale, quindi, gli elevati rincari dell’energia hanno amplificato i costi per i settori esposti alla concorrenza internazionale che, per limitare la perdita di quote sui mercati interni ed esteri, hanno contratto i loro profitti unitari. Per l’Italia, dunque, il problema non pare tanto quello di una anomala crescita dei profitti unitari, quanto la loro distribuzione fra i settori produttivi.

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Don Milani economista

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Anche per il lavoro servono le riforme costituzionali

  1. Savino

    Controlli sui prezzi, piu’ concorrenza e salari adeguati come non accade da 30 anni

  2. Jacopo Tramontano

    Il mancato aumento del margine nel manifatturiero è più da attribuire, come l’autore stava già facendo, alla struttura industriale che permette meno potere di mercato, e forse anche al nostro modo di stare nei mercati dell’export – siamo molto più fornitori che produttori finali. Per la qualità è un falso assunto che la Germania faccia meglio di noi: le Panda le facciamo in Serbia, in Italia facciamo il prodotto fino.

  3. Molto interessante il contributo analitico di Fedele de Novellis., in particolare l’accento sulla variabile profitti unitari e sui meccanismi di fissazione dei prezzi che merita un approfondimento anche riguardo agli impatti macroeconomici?

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